Tell me your own politik: musica e politica
Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, un estratto dal libro Politics. La musica angloamericana nell’era di Trump e della Brexit, uscito per Arcana.
di Fernando Rennis
“’Cause London is drowning and I, I live by the river”. Un disperato Joe Strummer nel 1979 lanciava un sarcastico e preoccupato appello alle città sperdute, alla generazione post-Beatlesmania e, soprattutto, a una popolazione che proprio quell’anno cominciava a cedere alle tensioni politico-sociali del thatcherismo. Quasi quarant’anni dopo le cose non sono cambiate: le tensioni internazionali, le crisi generazionali e un paese drammaticamente diviso sulla questione Brexit hanno mostrato nuovamente le fragilità del tessuto sociale britannico.
Il potere del Glamour
Questo pezzo è uscito sull’ultimo numero di IL, il magazine del Sole 24 Ore.
La posizione giusta sul glamour è che è sbagliato. Sono costretto a dirlo: appartengo a due categorie sociali e di mercato che escono dalla fabbrica con “Impostazioni – Glamour: sbagliato”. 1) Sono un intellettuale borghese italiano; 2) sono stato adolescente negli anni Novanta.
La seconda categoria ha per principali significanti i capelli sporchi di Kurt Cobain, l’acuto tamarro di Chris Cornell e la musica priva di fascino ma ricca di rabbia e moralità dei Pearl Jam. Il grunge portò, secondo il mercato e il mondo di MTV/Videomusic da cui la mia generazione è stata educata, il ritorno del rock no-nonsense sulla scena musicale e nel costume. L’aristocratica intensa sporcizia chitarristica di Sonic Youth, Pixies, Dinosaur Jr., che aveva tenuto in vita la controcultura americana negli anni Ottanta di tastiere, giacche argentate e sassofoni, arrivava nel mainstream grazie ai Nirvana.
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