Salgado: l’infinito in bianco e nero

Quando da bambini si osserva un quadro astratto, la prima considerazione, la più spontanea,  sarà quella di sentirsi capaci di realizzare un’opera simile per l’elementarità di linee, forme e colori. Tale slancio verrà prontamente smentito dall’adulto che spiegherà quanto quel reticolo geometrico, a prima vista riproducibile, sia in verità un punto di arrivo, che si lascia alle spalle decenni non solo di tecnica e pratica ma anche di speculazione. Anni consacrati all’osservazione e al conflitto, scanditi da panorami mimetici acquerellati e da moti di rabbia sociale. Soltanto a seguito di tali passaggi sarà possibile dedicarsi all’astrattismo. Non si tratta, ovviamente, di una regola valida per tutta la casistica e delle volte, di sicuro, la genesi artistica di un uomo avrà sottostato a dinamiche ben differenti. È certo, tuttavia, che, con le dovute variazioni, tale legge sia l’anima di numerose parabole d’arte e che spesso, per riuscire a sfiorare i vertici, sia davvero necessario abbracciare il sacrificio in ogni sua declinazione.