Wes Anderson all’Esquilino
Questo pezzo è uscito sul Foglio.
È arrivato naturalmente in treno, Wes, che odia l’aereo; alla stazione Termini, con un Frecciarossa e prima ancora con l’Orient Express, quello restaurato, da Parigi, dove risiede la più parte dell’anno. E peccato che ad accoglierlo a Roma sia stata una stazione Termini moderna coi marmi mazzoniani, e forse tassinari anche abusivi e non invece facchini africani in uniforme blu col filetto d’oro come a Milano, con quelli sarebbe impazzito Wes.
Wes Anderson, il poeta della nostalgia foderata in pelle, è stato a Roma. Una Roma naturalmente non contemporanea, una Roma-mondo tutta sua, un “Mondo Monda”, come il cortometraggio dedicato al suo alter ego italiano, Antonio Monda, personaggio dei più andersoniani e direttore della Festa del cinema che l’ha celebrato. Chissà se c’era Mondo Monda ad accoglierlo sotto l’ala mazzoniana; e piace di più però immaginare Anderson, col suo seguito di bauli, spostato un secolo in là, come un Emile Zola che come lui arrivava da Parigi, in treno, nelle annotazioni e making of del suo romanzo Roma.
Verso dove eravamo partiti: il cuore oscuro dell’Europa
Questo pomeriggio alle 18, presso la galleria Carlo Virgilio in via della Lupa, Roma, si inaugura “La Ville Noire – The dark heart of Europe“, mostra fotografica con gli scatti di Giovanni Troilo. Pubblichiamo il testo che Lorenzo Pavolini ha scritto per il catalogo della mostra.
di Lorenzo Pavolini
Il gomito di un gasdotto si staglia sul cielo rosso, sopra i tetti più neri dell’ardesia e la cortina di mattoni velata di fuliggine. Non sembra pesare sulle grondaie e sugli infissi delle finestre chiuse, né sulla vita dietro le tende. Nella sua scomoda virata il tubo incatramato appare collegato al nulla. Il bagliore di un tramonto siderurgico illumina la scena ideale per le sequenze di un Blade Runner europeo. Ma il racconto a cui introduce non si svolge in un prossimo futuro indesiderabile. Non ha nulla di profetico. Il mondo che abita dietro quelle finestre è qui adesso, a pochi chilometri dalle sedi politiche d’Europa, e consuma psicofarmaci in quantità, traffica con le armi e con i corpi in una cruda quotidianità da cui il sogno stesso di un’istituzione capace di far fronte alla sua crisi è stato espulso da tempo, e ormai senza rimedio.
Leggere sul fondo delle scatole
Questo pezzo è uscito su Orwell. (Immagine: Dan Mountford.)
Piccole foto sfocate in bianco e nero che ritraggono un mito: quello di mettersi in contatto col passato grazie a paesaggi e ritratti. Foto in bianco e nero e vecchi dipinti nel libro di W.G. Sebald, Soggiorno in una casa di campagna (Adelphi). Foto e ritagli di giornali nel nuovo libro di Lorenzo Pavolini, Tre fratelli magri (Fandango).
La loro uscita simultanea in libreria è frutto del caso (il libro di Sebald è del 1998), eppure, ad un lettore che per sbaglio li leggesse insieme apparirebbe inevitabile cogliere un legame tra i due testi. Pavolini e Sebald condividono la stessa dedizione nel rimettere insieme le vite dei personaggi lavorando con i frammenti, l’intuizione che sono i luoghi a raccontarci chi li ha percorsi (più che il contrario) e la consapevolezza che la letteratura è un mostro che dà il suo meglio quando avanza con la testa rivolta all’indietro. Il narratore di Pavolini si racconta così: «Compreso com’ero nel ruolo di chi vuole riunire ciò che naturalmente si disperde, stavo impalato sulla spiaggia ad aspettare. Ci sarei rimasto anche tutta la vita». Sebald, di un’altra generazione, è il maestro assoluto della rievocazione, è lo scrittore che per eccellenza lotta contro la forza centrifuga che spinge il Passato lontano dalla memoria, verso la nebbia. Il loro nemico comune è l’oblio.
Autofinzioni
Autofinzione: capita ormai spesso, anche in Italia, di imbattersi in questo neologismo piuttosto fumoso (neologismo per modo dire: la sua paternità, per quanto controversa, risale infatti agli anni settanta). Se il termine pare capace di intercettare pulsioni sociali e artistiche profonde, nuove configurazioni dell’universo mediatico e dell’espressione letteraria, l’uso che ne viene fatto da critici, scrittori e lettori resta decisamente vago e istintivo
Pavolini nonno e nipote
Questo articolo è apparso sullo Straniero di aprile Per chi ne scrive oggi, a oltre sessant’anni di distanza, è difficile non associare il nome di Alessandro Pavolini ai corpi dei partigiani impiccati o infilzati a ganci da macello e lasciati lì a decomporsi in strada. Pavolini è il fondatore delle Brigate nere, il più fanatico […]
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