Quelli che vanno a combattere con l’Isis, perché lo fanno?
Questo pezzo è uscito in Germania sulla TAZ. Ringraziamo l’autore e la testata. di Marco D’Eramo È straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani che vivono in Europa, Canada, Australia, persino Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto Stato islamico (Isis), o con altre […]
Archeologia del futuro. Detroit e noi
L’amministrazione statale riprende a funzionare, dopo giorni di tensione sulla tenuta degli Stati Uniti il Congresso ha annunciato che il rischio di shutdown è, per ora scongiurato. Ma la chiusura forzata di alcuni pezzi d’America è già iniziata. Da qualche mese infatti è stato annunciato il fallimento di Detroit: la città fabbrica per antonomasia, che dalla catena di montaggio di Charlot a Papa Hobo di Paul Simon, da Motown a Eminem, da Aretha Franklin ai White Stripes, ha influenzato il nostro immaginario ben al di là di quanto pensiamo. Quello che (non) ricordiamo di Detroit è un viaggio che dura un secolo e ci accompagna attraverso l’ascesa e il declino del mito dell’industria come forza trainante della modernità, della felicità, del benessere condiviso, per tutti. Pubblichiamo questo articolo in occasione dell’apertura del Festival di Storia dedicato quest’anno all’American Revolution.
Il 18 luglio 2013 la città di Detroit ha dichiarato fallimento. A 110 anni dalla fondazione della Ford, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, una grande città ha gettato la spugna. È stato il governatore dello Stato del Michigan Rick Snyder a darne l’annuncio con un video. Una decisione difficile e spaventosa, ha detto: “La città in crisi da ormai mezzo secolo non ha più la possibilità di sostenere uno standard decente di servizi pubblici, la bancarotta”, ha concluso Snyder, “è inevitabile”. Wikipedia ha immediatamente recepito la notizia e già il giorno successivo, nella sezione dedicata alla storia della città si può leggere: “Fra il 2000 e il 2010 la popolazione della città è scesa del 25%, passando dal 18° posto nella classifica delle città più popolose, al 10°. In seguito a questo fenomeno di spopolamento la città ha dovuto ridisegnare il suo ruolo all’interno dell’area metropolitana. La inner city di Detroit ha visto negli ultimi anni l’apertura di tre casinò, nuovi stadi, e di un progetto di rivitalizzazione dei docks. Malgrado questo molti quartieri rimangono in difficoltà. Il Governatore dello Stato ha dichiarato l’emergenza finanziaria nel marzo del 2013, nominando un commissario ad acta. Il 18 luglio del 2013, Detroit ha dichiarato fallimento. Il caso più eclatante nella storia degli Stati Uniti”.
Reset Benedetto Croce: come liberarsi – o quasi – del filosofo di Pescasseroli e magari immaginarsi un diverso modo di fare scuola
Questo pezzo è uscito nella mirabile rassegna estiva del manifesto intitolata Cono d’ombra, una rassegna di intellettuali dimenticati o poco frequentati. Andate a ripescare in rete gli altri notevolissimi pezzi.
di Marco D’Eramo
Un mistero incombe sulla cultura europea del primo ‘900. Un mistero a tutt’oggi insoluto. E questo mistero ha nome e cognome, data di nascita e di morte: Benedetto Croce (Pescasseroli 1866 – Napoli 1952). Rispetto ai «Coni d’ombra», il problema non è capire come mai Croce sia finito nel dimenticatoio (relativamente parlando), quanto capire come non vi sia stato relegato fin dall’inizio. Sulla sua influenza non ci sono dubbi. Pur non essendosi mai laureato e professandosi, con Giordano Bruno, «accademico di nulla accademia», Croce ha esercitato per decenni una sorta di tirannia sulla vita accademica italiana: «Sulla sua estetica si sono formati letterati come Mario Fubini, Natalino Sapegno, Francesco Flora, Luigi Russo; alla sua concezione della storiografia hanno guardato storici come Adolfo Omodeo, Federico Chabod, Walter Mauri, Arnaldo Momigliano, Rosario Romeo, Giuseppe Galasso» (Giovanni Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie del Novecento).
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