Come conservare un’idea di utopia nelle depressive elezioni di domani.

Domani si vota, io voterò Tsipras. Ieri si sono concluse le campagne elettorali; e andarsi oggi, con calma, a riascoltare i comizi finali, a leggere le dichiarazioni d’intento, e spulciare i programmi, è quello che farà forse una parte piccola di quell’immensa folla di tuttora indecisi. Viste in differita, le ultime fasi, le ultime piazze lasciano una sensazione, un’impressione sottocorticale di delusione. Al di là degli appelli alla speranza, all’emozione, alla rabbia buona, l’aria che si respira è quella di dismissione, di risentimento, di passioni tristi, di depressione di massa: un senso anticlimatico per cui sembra di assistere a un processo ineluttabile di crisi irreversibile. Il linguaggio politico è fatto di piccolo cabotaggio, frecciatine, riferimenti pop. Le battute finali di Renzi e Grillo (il derby che nessuno auspicava) sono tutte in minore, un dai! dai! dai! contro una cupio dissolvi.

Mirandola – Dov’era com’era

Pubblichiamo il discorso che Tomaso Montanari ha pronunciato domenica scorsa a Mirandola. Domani alle 15 Tomaso Montanari sarà al Salone del Libro di Torino per partecipare all’incontro Per una nuova stagione dei beni culturali con Dario Franceschini e Salvatore Settis.

Dopo l’8 settembre del 1943 Augusto Campana non riuscì a rientrare a Roma, dove lavorava come scriptor della Biblioteca Apostolica Vaticana. Così, egli rimase nella sua Romagna fino alla Liberazione. Ma non si chiuse a studiare tra altri libri. Quasi ogni pomeriggio egli percorse in bicicletta i 18 chilometri che separano Sant’Arcangelo da Rimini: per sapere cosa fosse successo alle amatissime pietre di Rimini, minacciate, scomposte, distrutte dalle bombe. Egli tenne un diario, oggi edito appunto con il titolo Pietre di Rimini, che andrebbe fatto leggere ad ogni studente di Lettere del primo anno.

Renzi, Bobbio e l’uguaglianza

Questo articolo è tratto da “Lo straniero” n. 166 (aprile 2014) in uscita in questi giorni in libreria. Sul numero di aprile è possibile leggere, tra l’altro, una lunga intervista a Daniele Giglioli sull’ideologia della vittima, un dossier sulla trasformazione del mercato del lavoro, un dialogo tra Gioacchino Criaco, Francesco Munzi e Goffredo Fofi su come raccontare la Calabria, recensioni su film e romanzi usciti nelle ultime settimane.

A volte gli incroci tra cultura politica e politica rivelano molto più del racconto del tran tran quotidiano del Palazzo. Strano a dirsi, è capitato anche con Matteo Renzi. Nelle stesse settimane in cui si compiva la sua frenetica e forsennata ascesa a Palazzo Chigi, alla guida di un governo in tutto e per tutto identico a quello guidato da Letta (forse con ancora minore qualità), la casa editrice Donzelli ha mandato in libreria una nuova edizione di Destra e sinistra di Norberto Bobbio con una postfazione del neopremier.

Sono passati vent’anni esatti dalla prima uscita del saggio bobbiano. Era il 1994, uscì proprio nell’anno dell’arrivo a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi. Passato un ventennio (“il” ventennio berlusconiano, senza che con esso siano stati fatti i conti), la nuova edizione esce nel 2014, anno dell’ascesa renziana. Curiose coincidenze editoriali.

Patrimonio culturale, Montanelli aveva già scritto tutto

Domani, sabato 5 aprile, Tomaso Montanari sarà ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa (Rai Tre) per presentare Istruzioni per l’uso del futuro. Pubblichiamo un suo articolo uscito sul Fatto Quotidiano.

«Un soprintendente è tenuto a compiere sopralluoghi, controllare perizie, dirigere i lavori, pubblicare studi, redigere piani paesistici, ma soprattutto resistere ai privati che vorrebbero distruggere tutto per rifarlo in vetrocemento, quasi sempre con l’assenso e l’appoggio delle autorità». «Resistere ai privati»: chi lo sostiene oggi è segnato a dito come talebano, statalista, comunista. A scriverlo, invece, era il liberalissimo Indro Montanelli, in un memorabile articolo comparso sul «Corriere della sera» il 12 marzo 1966. Oggi, invece, un giornale come «Repubblica» scrive che «troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia», sul «Corriere» si invoca un giorno sì e l’altro pure l’intervento salvifico di quegli stessi privati, Matteo Renzi ripete a macchinetta che «Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba».  L’entusiasmo e la fantasia di chi – tra il 1966 e oggi – ha sepolto questo Paese sotto una colata di cemento.

Siamo rovinati, ci piaceva di più lamentarci

Questo pezzo è uscito sull’ultimo numero di IL, il magazine del Sole 24 Ore.

Il ministro? Ma che, sei matto?». B. è un grande amico mio, ha quarant’anni, è romano, sta facendo una rapida e meritata carriera nell’unica tecnostruttura rimasta in un Paese di tensostrutture, ci vediamo per un aperitivo a Monti proprio il giorno dopo il giuramento di Matteo Renzi, cioè 24 ore dopo l’arrivo dei Giovani al Potere, e cioè giovani mica tanto, i nostri coetanei insomma; evento comunque che ci angoscia molto, se ci mettiamo qualche bicchiere per ammetterlo sinceramente.

«Ma che, sei matto?», mi dice, perché per scherzo gli ho chiesto se lui, richiesto, lo farebbe, il ministro.

I nostri pescatori

Stasera Barack Obama sarà a Roma. Incontrerà anche Matteo Renzi, il quale ha promesso che tra le questioni che metterà sul piatto con il Presidente degli Stati Uniti ci sarà quella del caso dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, arrestati in India per l’accusa di omicidio. Riportiamo un articolo di Matteo Miavaldi uscito qualche mese fa su Giap che però ha il pregio di ricostruire questi due anni di giornalismo becero e retorica rivoltante.

di Matteo Miavaldi

Il caso Enrica Lexie, dopo due anni, si sta avvicinando alle fasi finali, dopo una serie di rinvii e complicazioni diplomatiche, mistificazioni e propaganda elettorale tanto in India quanto in Italia: elementi che hanno aperto la strada alla “narrazione tossica” della vicenda dei due marò, strapazzata da un’informazione generalmente superficiale e, in alcune circostanze, platealmente nociva.

Poco più di un anno fa, su Giap, pubblicammo due lunghi(ssimi) articoli, molto densi di dati e fonti, che smontavano punto per punto la ricostruzione offerta da Il Giornale, Libero e Il Sole 24 Ore: una storia che si basa sulle teorie raffazzonate del sedicente “ingegnere” Luigi Di Stefano, dirigente nazionale di Casapound.

Opacità, irresponsabilità, reticenza: le abilitazioni universitarie per la storia dell’arte come ennesimo tradimento dei chierici

Pubblichiamo un intervento inedito di Tomaso Montanari (che uscirà in libreria a fine marzo con Istruzioni per l’uso del futuro) sul caso sollevato dalle abilitazioni universitarie per la storia dell’arte.

Vista nel complesso, questa prima tornata di Abilitazione Scientifica Nazionale assomiglia molto ad un suicidio di massa. Lasciati a noi stessi, con il compito di autovalutarci senza vincoli comparativi, ma solo in scienza e coscienza, noi professori universitari abbiamo dimostrato una totale incapacità, impastata variabilmente a disonestà, faziosità, ignoranza. È il bilancio terrificante raccontato all’opinione pubblica dagli articoli del «Fatto» e di Gian Antonio Stella, cui si aggiunge la valanga di ricorsi individuali e collettivi che – per quanto spesso legittimi, e in alcuni casi sacrosanti – avrà l’effetto di commissariare de facto l’università, affidando ai TAR anche la selezione dei docenti e dei ricercatori. Si fossero assegnate le cattedre attraverso una lotteria non sarebbe potuta andare peggio di così.

Roma. Quattro modi di morire in prosa: Alfonso Berardinelli

“Roma Capitale / Sei ripugnante / Non ti sopporto più”, canta Pierpaolo Capovilla nell’ultimo album del Teatro degli Orrori. Più Roma fa orrore, più appare interessante. Più è disprezzata, più il suo magnetismo trionfa su chi volta lo sguardo dall’altra parte. Una sponda al Parlamento, l’altra al Vaticano. E poi il cinema, la Rai, le periferie, i tassisti, l’editoria indipendente, i giornalisti, i palazzinari, il Seicento e il Novecento, e più lontano i pascoli tagliati da immaginarie linee della metropolitana. Un pezzo al giorno, proviamo a raccontare Roma in quattro atti. Ce ne vorrebbero molti di più e l’esercizio di comprensione sarebbe comunque inutile. Per questo è interessante. Magari diventa un appuntamento fisso di questo blog. Esito incerto, come il passaggio di certi autobus.

Iniziamo con un pezzo di Alfonso Berardinelli uscito sul Foglio. (Immagine: La grande bellezza di Paolo Sorrentino)

Odio Roma e la Dolce Vita

di Alfonso Berardinelli

Che cos’è Roma? Ci sono nato, da genitori nati a Roma, e sono cresciuto a Testaccio. Ma non ho mai capito cos’era questa città. Non mi è mai piaciuta, l’ho sempre rifiutata, da bambino mi sembrava che avesse un odore di sacrestia e di latrina. Ho studiato dai Salesiani fino a tredici anni, la vita personale dei preti mi incuriosiva, mi chiedevo in che cosa credevano loro, in che cosa dovevamo credere noi, se nella messa del mattino o nei film western e nei tornei di calcio con cui ci tenevano occupati di pomeriggio. Perfino con un gigante letterario come Gioachino Belli ho difficoltà. Mi piace leggerlo a voce alta a qualcuno, ma dopo la lettura mi sento letterariamente euforico e moralmente abbattuto. Posso essere fiero del fatto che Roma abbia prodotto un attore come Ettore Petrolini, ma sento che la sua comicità, la sua nausea di sé, è una scorante malattia che nessuno ha mai eliminato dall’aria di Roma. Perciò sopporto male i fanatici della bellezza di Roma, soprattutto se non sono romani. Li considero esteti e guardoni, ciechi alla tristezza, alla metafisica barbarie, al “delirio d’immobilità” che la città trasmette a chi ci nasce. Roma è un mito e un problema? O è semplicemente un luogo meraviglioso e irresistibile?

Il principino

Le opinioni di chi ha sostenuto Renzi finora a proposito l’azzardo di Renzi sono sostanzialmente due, ben sintetizzate dai due editoriali di Luca Sofri e di Francesco Costa sul Post. Il primo dice: abbiamo creduto nella diversità politica, una diversità politica non solo promessa ma dimostrata anche nei modi, e adesso molto di questo credito se l’è bruciato con una mossa da palazzo. Il secondo dice: cosa doveva fare Renzi? continuare a fare il segretario di un governo che non gli piaceva, impantanato nell’impossibile scelta tra sostegno o opposizione a Letta, con il serio rischio di bruciare il suo grande consenso personale, che è una delle poche ragioni della sopravvivenza del Pd? Così Sofri gli fa gli auguri, sperando che Renzi al governo riesca a far dimenticare il peccato originale, e Costa gli dà atto di aver trovato la mossa del cavallo in una situazione di stallo.

“Non rinuncio alla battuta”. Breve fenomenologia di un Pieraccioni arrogantello.

di Francesco D’Isa La retorica è il più astuto dei serpenti, e cambia forma in base alla terra su cui striscia. Dalle nostre parti, ad esempio, assume spesso la forma della simpatia. Si tratta di una manifestazione solo apparentemente banale, che non va considerata con superficialità; già nel ‘23 Max Scheler le dedicò un trattato, […]