Alle radici dell’imbecillità

Questo articolo è uscito sul Manifesto, che ringraziamo.

È larga, diffusa, pienamente democratica. È origine e meta, passato, presente e futuro. Ed è irredimibile, inesauribile, strutturale. Come la scimmietta che dentro la testa di Homer Simpson non smette mai di suonare i piatti, l’imbecillità – quella cosa che perfettamente individuiamo nell’altro, dimenticandoci di essere, ognuno di noi, l’altro degli altri – è sempre al lavoro: diligente come un monaco certosino (eppure per nulla eremitica), instancabilmente operosa come un’ape nel suo alveare.

Se è vero che può essere ragione di tormento, è altrettanto vero che possiamo accostarci alla stupidità con un senso di curiosità, di passione se non di incanto, riconoscendo, come Flaubert nel descrivere le gesta di Bouvard e Pécuchet, che la bêtise è il «proprio altrove», ciò che pur appartenendoci come regola abbiamo bisogno di avvertire come eccezione.

La letteratura senza inconscio

Ripeschiamo dal nostro archivio un approfondimento di Gianluca Didino: buona lettura.

Simboli e racconti

Nel suo significato originario, il termine greco σύμβολον, da cui deriva l’italiano “simbolo”, indicava, cito l’Enciclopedia Treccani, un «mezzo di riconoscimento, di controllo e simili, costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es. un pezzo di legno) che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia». L’etimologia del termine contiene dunque il senso di un’unità spezzata che tende al ricongiungimento, un collegamento implicito tra due oggetti ora separati ma che un tempo avevano fatto parte di una stessa totalità. Da qui il significato del termine è passato a indicare un oggetto “che sta al posto” di qualcos’altro, traslando l’idea della connessione dal piano della realtà (le due parti del bastone) a quella delle idee (il senso di amicizia tra le due famiglie). Questo è il presupposto che ha permesso di attribuire al concetto di simbolo una concezione estetica, differenziandolo progressivamente dal semplice “segno”.

Una strada per il romanzo: Jeff VanderMeer e Tom McCarthy

Negli anni 70 il disegnatore e grafico Gunter Rambow produsse per la casa editrice S. Fischer Verlag undici poster che comunicavano il concetto di meta-letterarietà. Le immagini rappresentavano mani che fuoriuscivano dalla copertina per reggere il libro, libri come porte o come finestre, libri che contenevano tutte le facce di una immensa folla. Il lavoro di Rambow esprimeva un’idea piuttosto diffusa all’epoca, veicolata da diverse discipline (post-strutturalismo, semiotica, studi culturali, reader-response criticism), secondo la quale il testo non poteva essere confinato nella dimensione del libro. Roland Barthes parlava della «impossibilità di vivere al di fuori del testo infinito – sia questo testo Proust, o il giornale quotidiano, o lo schermo televisivo: il libro fa il senso, il senso fa la vita» (Il piacere del testo, prima ed. it. Einaudi 1975). Tutto questo costituiva una parte importante di quello che già allora qualcuno definiva postmoderno.

Il voto e i figli di Grillo

(Fonte immagine: ALPOZZI/INFOPHOTO.)

di Cesare Buquicchio

Le analisi sul voto del 24 e 25 febbraio in molti casi sono sorprendenti in modo inversamente proporzionale alla sorpresa degli stessi commentatori rispetto al risultato uscito dalle urne. Più i commentatori sono stati spiazzati da Grillo, più hanno cominciato a macinare triti luoghi comuni sulle dinamiche politiche del web, sul livello alto e/o basso di molte discussioni on line, sulla contrapposizione tra partito liquido e partito ‘radicato’, sulla necessità di apparati comunicativi efficaci in luogo di programmi affidabili e/o appetibili, ecc… Discorsi che, con alcune brillanti eccezioni, appaiono riedizioni di precedenti riflessioni e/o riadattamenti di analisi buone per (quasi) tutte le stagioni.

New Realism: Un dialogo con Antonio Gramsci

Questo pezzo è uscito su Orwell.

Pausa caffè: mi appare il fantasma di Antonio Gramsci. Mi chiede spiegazioni sul “nuovo realismo” di cui si parla molto sui giornali italiani; con un gesto di preghiera, mi ricorda la battuta di Maurizio Ferraris: è uno Spettro che si aggira per l’Europa!. La domanda è inevitabile. I convegni sul nuovo realismo si susseguono negli ultimi mesi al ritmo di urgenti vertici politici internazionali (New York, Torino, Bonn, Freiburg). Da ultimo se n’è parlato a Roma alla Fondazione Rosselli il 19-20 Novembre, a proposito di una batteria di libri tra cui Il senso dell’esistenza di Markus Gabriel (Carocci), La filosofia nell’età della scienza di Hilary Putnam (Il Mulino) e la miscellanea a cura di Mario De Caro e Maurizio Ferraris, Bentornata realtà (Einaudi). Nell’ultima sessione il discorso è passato sul piano politico, a partire da Quale filosofia per il Partito Democratico e la Sinistra? (a cura di Luca Taddio) e l’ultimo numero di Alfabeta2.

Dall’Odissea alle (meta)mappe: sfide di scrittura del territorio

Pubblichiamo un articolo di Alberto Sebastiani, uscito su «Nuova rivista letteraria. Semestrale di letteratura sociale», su mappe e scrittura.

di Alberto Sebastiani

William Smith non aveva dubbi: «stava per realizzare un’opera importante, grandiosa, memorabile», la prima carta geologica dell’intera nazione, «del regno più importante – tale era la Gran Bretagna – di tutto il mondo civile. Non esisteva niente di simile per alcun paese. Ciò che stava per essere creato a Londra sarebbe divenuto un esempio da seguire per tutti. Un archetipo mondiale».

In effetti, era una mappa particolare: la geologia «era una scienza per la quale bisognava considerare una terza dimensione», e la raffigurazione delle sue scoperte è fondamentale in un mondo in trasformazione, come narra Simon Winchester in La mappa che cambiò il mondo (Guanda 2001). Della carta, stampata in quattrocento copie numerate e firmate, datata 1 agosto 1815, restano oggi pochi esemplari, tra cui quella alla Geological Society a Burlington House, Piccadilly, Londra.

New Realism vs Postmodern.
DeLillo, Houellebecq, Egan, Bolaño: quattro modi per uscire dall’impasse

A Bonn, dal 26 al 28 marzo, si terrà un convegno internazionale intitolato “New realism”, organizzato da Maurizio Ferraris con Markus Gabriel e Petar Bojanić. Al convegno parteciperanno tra gli altri Paul Boghossian, Umberto Eco, John Searle. Convitato di pietra: Gianni Vattimo.
Qui potete trovare il pezzo con cui Ferraris introduceva lo scorso agosto, su “Repubblica”, le ragioni del convegno. Si tratterebbe, in definitiva, di contrapporre l’idea di un Nuovo realismo al Postmoderno: “il ritorno del realismo non è una semplice questione accademica italiana, è un movimento filosofico ormai in corso da decenni. La filosofia, e la vita, hanno fame di realtà, dopo decenni in cui si è ripetuto che non ci sono fatti, solo interpretazioni, che non c’è differenza tra realtà e finzione”, dice Ferraris a Left Avvenimenti.

New Realism vs Postmodern.
DeLillo, Houellebecq, Egan, Bolaño: quattro modi per uscire dall’impasse

A Bonn, dal 26 al 28 marzo, si terrà un convegno internazionale intitolato “New realism”, organizzato da Maurizio Ferraris con Markus Gabriel e Petar Bojanić. Al convegno parteciperanno tra gli altri Paul Boghossian, Umberto Eco, John Searle. Convitato di pietra: Gianni Vattimo.
Qui potete trovare il pezzo con cui Ferraris introduceva lo scorso agosto, su “Repubblica”, le ragioni del convegno. Si tratterebbe, in definitiva, di contrapporre l’idea di un Nuovo realismo al Postmoderno: “il ritorno del realismo non è una semplice questione accademica italiana, è un movimento filosofico ormai in corso da decenni. La filosofia, e la vita, hanno fame di realtà, dopo decenni in cui si è ripetuto che non ci sono fatti, solo interpretazioni, che non c’è differenza tra realtà e finzione”, dice Ferraris a Left Avvenimenti.
Postmoderno, Nuovo realismo. Sicuri che la contrapposizione sia proprio questa? A noi sembra che negli ultimi anni ci siano stati degli scrittori che, nella pratica di almeno uno dei loro libri – e in modo molto antiaccademico – abbiano in parte risolto alcuni dei problemi che in via teorica si cercheranno di sbrogliare a Bonn. Roberto Bolaño, Don DeLillo, Michel Houellebecq, Jennifer Egan, per esempio, sono alcuni di questi.

Ovviamente la letteratura romanzesca è molto più ambigua e insidiosa di quanto può esserlo un assunto. Ma proprio in ciò, la sua misteriosa, forse paradossale capacità di sciogliere nodi gordiani.
Una serie di articoli per affrontare il problema da un diverso punto di vista.

Uscire dalla crisi. Jennifer Egan per un paradigma della complessità

Gianluca Didino in un articolo dedicato a Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan, pubblicato sul suo blog.

Shall we doc?

Sul blog Le parole e le cose abbiamo pescato questo interessante articolo di Daniela Brogi dove vengono elencate cinque semplici mosse per fare più spazio al cinema documentario in Italia. Ve lo riproponiamo perché ci è sembrato molto interessante e completo, e ringraziamo l’autrice e il blog per la condivisione.

di Daniela Brogi

1.

Uscire dall’abbraccio dello specialismo.

Assumere che l’arte contemporanea vive, oltre che attraverso i generi più tradizionalmente frequentati (letteratura, musica, pittura, teatro, danza, architettura, cinema…)