La migrazione di un nome: Maylis de Kerangal e Lampedusa
Questo pezzo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo. La traduzione dal francese è di Andrea Melis (fonte immagine).
Le parole sono un fenomeno complesso. Circolano nello spazio sociale, generando tanto comprensione quanto equivoci; capita a volte che, inutilizzate, spariscano, così come può anche accadere che un uso eccessivo sottragga loro significato riducendole a vaghi significanti.
È spesso la sorte delle parole veicolate dalla cronaca giornalistica, ed è quello che rischia di accadere – o che forse è già accaduto – alla parola Lampedusa. «Il mio obiettivo», dice Maylis de Kerangal, «è stato estrarre questa parola dallo storytelling mediatico per rimetterla in circolo in una materia più linguistica e culturale: la materia della letteratura».
“Sono guarita scrivendo”: intervista a Maylis De Kerangal
di Francesco Musolino
«Una delle esperienze più forti della mia vita è stata la possibilità di assistere ad un trapianto di cuore. Ho visto con i miei occhi l’attimo preciso in cui il cuore a ricominciato a battere. Ed è stato incredibile».
La scrittrice francese 47enne Maylis De Kerangal è considerata una delle autrici contemporanee più importante, e con il suo nuovo romanzo, Riparare i viventi (edito da Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Alessia Piovanello) è arrivata la definitiva consacrazione in patria. Ma togliamoci subito il dente, Riparare i viventi è un libro coraggioso, maestoso. Si parla spesso della funzione catartica ma pochi hanno scritto di trapianto, del concetto ontologico del dono e della sua «chiave di lettura propagandistica», assistendo in prima persona al reimpianto di un cuore nel soggetto ricevente. La De Kerangal racconta questo libro come un’onda, un movimento che parte dalla prima pagina per spingersi sino alla spiaggia, per giungere dal petto del 20enne Simon Limbres – che troverà la morte cerebrale nelle primissime pagine per un banale colpo di sonno – sino al corpo di Claire Méjan, la donna che ricevendolo, si salverà. Riparando la ferita, lo strappo dal tessuto sociale.
Discorsi sul metodo – 6: Maylis de Kerangal
Maylis de Kerangal è nata a Le Havre nel 1967. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Nascita di un ponte (Feltrinelli 2013)
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Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?
Nei periodi di scrittura intensa quando sono “sotto” scrivo otto ore al giorno anche nove. Nei periodi di “messa in moto” tengo un ritmo più lasso, faccio anche altre cose, lascio che l’idea del libro cresca.
Non ho un limite minimo o massimo di battute, ma la verità è che in una giornata standard se non ho fatto almento tre pagine – nel formato che uso 4500 battute – non sono per niente contenta. Quando poi, dopo 4-5 mesi della suddetta “messa in moto” entro veramente nella produzione del libro, quando, come si dice “il cavallo sente la stalla”, allora devo fare dalle 8000 alle 10‘000 battute al giorno, e ne farei di più, a volte vado avanti anche tutta la notte ma ho imparato anche a interrompere deliberatamente per ripartire più forte il giorno dopo.
Discorsi sul metodo – 3: Emmanuel Carrère
Torna il Premio Gregor Von Rezzori, che ogni giugno porta a Firenze alcuni dei più bei nomi della letteratura mondiale, e con esso tornano i Discorsi sul metodo di Vanni Santoni. La serie di interviste di quest’anno comincia con Emmanuel Carrère, a cui seguiranno Jonathan Lethem, Georgi Gospinodov e Vendela Vida, e poi ancora Tom McCarthy, Dave Eggers, Maylis de Kerangal e Leopoldo Brizuela.
(Le precedenti interviste, a Cunningham, Keret, Winterson, Tóibín, Vásquez, Egan, McGrath e Greer, possono essere lette qui e qui).
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Emmanuel Carrère è nato a Parigi nel 1957. Il suo ultimo libro edito in Italia è La settimana bianca (Adelphi 2014, apparso in Francia nel 1995).
Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?
Non ho quantità fisse di battute o parole, dato che sia il tempo che la produttività dipendono molto, anzi completamente, dalla fase dei lavori in cui mi trovo.
Quando sono all’inizio di un libro, è tutto molto difficile e poco produttivo, devo letteralmente forzarmi per scrivere o anche solo mettermi alla scrivania, e anche quando ci riesco vado lentissimo e non riesco neanche a fare sessioni lunghe, faccio massimo tre o quattro ore, e producendo pochissimo.
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