La dieta, un racconto

di Francesca Serafini

Quando, più o meno un anno fa, i ragazzi del Collettivo Famelico di Andria mi chiesero un racconto per un’antologia sul tema della fame (che sarebbe poi uscita con l’editore Esemble col titolo Racconti famelici e la curatela di Micaela Di Trani) il mio pensiero costante – così come quello di Giordano Meacci e degli altri della Banda Caligari – era sostenere l’impegno di Valerio Mastandrea, almeno nella vicinanza affettiva, nel trovare le risorse per produrre Non essere cattivo. In quei giorni i medici che seguivano Claudio Caligari avevano ridotto a pochi mesi le sue speranze di vita, e questo lo aveva reso ancora più affamato, appunto, nel desiderio di realizzare il suo film. Ogni tanto tra noi si parlava con le battute di Cesare e di Vittorio, lasciando che la vitalità dei due amici ci contagiasse: era così che bisognava combattere la malattia. Quei due ci abitavano, erano sempre con noi in tutte le cose che intanto continuavamo a fare. E allora, quando al dunque si trattò di scrivere questo racconto, non sapevo come muovermi.

Per tutti quelli che ci hanno lavorato, Non essere cattivo stabilisce un prima e un dopo. Qualcosa che segna. E io sapevo che era necessario spostarmi lontanissimo. Alle prese con una specie di nuova alfabetizzazione letteraria in cui dovevo dimostrarmi di poter vivere anche senza Cesare e Vittorio: senza la lingua di quei due fratelli di vita, che poi avrebbero conosciuto tutti nelle immagini del Maestro e la carne e il sangue di Luca Marinelli e di Alessandro Borghi. Sono nati così i personaggi di “La dieta”: per contrasto. E la sua protagonista ellittica. Anche lei – solo lei – in qualche modo della Banda Caligari.

La dieta

C’era – nel modo in cui muoveva la testa, nell’ingranaggio delle scapole ad allungare il collo nella camminata – una fierezza che eravamo determinati a spezzare. Bisognava ricordarle da dove veniva. E quel compito spettava a noi: questo ci era apparso chiaro fin dal giorno in cui entrò in classe per la prima volta, anche se ancora non sapevamo come ci saremmo riusciti.