Sette padri americani

Questo testo, uscito sul blog di Paolo Cognetti, è liberamente tratto da due romanzi, sei racconti e una poesia. (Immagine: Robert Capa.) 

Tuo padre e la sua macchina sembravano una cosa sola. Preferiva le Chevrolet. Parlava dell’Ovest in cui era cresciuto come dell’unica America ancora intatta: dove un uomo poteva avere tutto lo spazio che gli serviva, e una macchina per attraversarlo da parte a parte. Conservi una foto di lui a ventidue anni, appoggiato al cofano di un furgoncino Ford, una sfilza di persici gialli in una mano e una bottiglia di birra nell’altra: fissa l’obiettivo con aria di sfida, come se facesse a gara con qualcuno, ma è il sorriso che lo tradisce, l’impacciata spavalderia di quell’età. La birra è una Bud. Per tutta la vita, senza troppo successo, tuo padre ha cercato di sembrare un duro.

Tuo padre e le sue chiacchiere da imbonitore. Discorsi seri, da uomo a uomo, su argomenti che magari eri troppo piccolo per capire, ma un giorno eccome se gli avresti dato ragione. Ogni tanto ti chiedevi se non stesse parlando da solo. Se accennava a tua madre la chiamava proprio così: tua madre. L’umore di lei oscillava tra il poco arrabbiata e il molto arrabbiata con lui. Una volta che era poco arrabbiata lasciò che tuo padre ti portasse a sciare, alla vigilia di Natale, a patto di essere a casa per cena: soltanto che, nella neve del pomeriggio, lui trovò una qualità rara e preziosa che lo spinse a un’ultima discesa, e poi a un’ultima ancora, e poi a un’ultimissima.

Per Esmé, con amore e squallore 5

Per Esmé: con amore e squallore è la rubrica di Paolo Cognetti dedicata all’arte della narrazione. Qui le puntate precedenti. (Immagine: Raymond Carver ritratto da Bob Adelman.)

Se avessi uno studio tutto per me, con una bella libreria e la luce giusta e i ritratti incorniciati di Hemingway e Fitzgerald, sul muro davanti al tavolo appenderei la regola di Sant’Agostino, solo un po’ modificata: Ama i tuoi personaggi, e poi fai quel che vuoi.

Davvero sento che questa è l’origine di ogni buona storia, e tutto il resto viene di conseguenza. Chi se ne frega della trama. «La trama», disse Grace Paley, «la linea assoluta tra due punti, roba che ho sempre disprezzato. Non per ragioni letterarie, ma perché non lascia speranze. Qualunque personaggio, vero o inventato che sia, merita un destino aperto nella vita». Per questo scriveva racconti: la forma breve le permetteva di scardinare le prigioni narrative e dedicarsi a ciò che le interessava, le voci, i ricordi, le vite delle persone. Ama i tuoi personaggi sarebbe piaciuto anche a lei, nonostante l’imperativo.

Per Esmé, con amore e squallore 4

Per Esmé: con amore e squallore, è la nuova rubrica di Paolo Cognetti – in concorso al Premio Strega 2013 con Sofia si veste sempre di nero – dedicata all’arte della narrazione. Qui le puntate precedenti. Domani sera, a Casa Bellonci, avverrà la prima votazione per la designazione della Cinquina dei finalisti al Premio – per la prima volta sarà possibile seguire l’incontro in streaming qui.

Lui non l’avrebbe mai ammesso, ma Hemingway aveva paura del buio. Per questo diventò un direttore della fotografia tanto bravo. Come i maestri di quell’arte lavorava in bianco e nero: non solo la scena dei suoi racconti è sempre perfettamente illuminata, ma la luce ne è la protagonista tanto quanto i personaggi, e spesso l’intera storia è in tensione (e in contrasto fotografico) tra il visibile e l’invisibile, ciò che sta sotto il sole e ciò che si nasconde nell’oscurità. Gli indiani escono dall’ombra del bosco per svelare i segreti del padre di Nick. Sua madre al contrario si nega agli sguardi, è soltanto una voce nelle tenebre. Da adulto Nick chiude gli occhi e rivede ciò che vorrebbe dimenticare: per questo preferisce il giorno alla notte e non ha alcuna voglia di andarci, a pescare nella palude.

Per Esmé, con amore e squallore 3

Per Esmé: con amore e squallore, è la nuova rubrica di Paolo Cognetti – in concorso al Premio Strega 2013 con Sofia si veste sempre di nero – dedicata all’arte della narrazione. Qui le puntate precedenti. Oggi alle 18 Paolo Cognetti incontra i lettori alla libreria Lazzarelli di Novara.


Una storia, secondo Alice Munro, è un oggetto simile a una casa: con la sua porta d’ingresso e le sue stanze vuote o piene, ampie o anguste, illuminate o buie; con i suoi muri, i corridoi, le soglie per passare da una stanza all’altra e le finestre per guardare fuori; e se scrivere è come costruire questo spazio leggere è come abitarlo, o almeno trascorrerci una notte o due. A me pare che la similitudine sia vera anche al contrario: ogni casa è una storia. Intanto perché, proprio come un racconto, è un contenitore che divide il mondo in due spazi, un dentro e un fuori in conflitto tra loro. Poi perché una casa cambia con il tempo, e che altro c’è da raccontare se non questo – conflitti e cambiamenti? Così, per cominciare a immaginare la storia di una casa potremmo chiederci: quale segreto nascondono i suoi muri, quale tesoro proteggono? E quale minaccia o lusinga c’è appena fuori? E poi: come viene modificata, la casa, dalla vita dei suoi abitanti? Andiamo a stare in una casa nuova, e il primo lavoro che facciamo è imbiancare le pareti. Cancelliamo dalla casa la storia di chi non c’è più: abitandola ci scriviamo sopra la nostra.

Per Esmé, con amore e squallore 2

Per Esmé: con amore e squallore, è la nuova rubrica di Paolo Cognetti – in concorso al Premio Strega 2013 con Sofia si veste sempre di nero – dedicata all’arte della narrazione. Qui la prima puntata. Oggi Paolo Cognetti è ospite del Salone del Libro di Torino: appuntamento alle 18 al Caffè letterario per un incontro sugli scrittori emergenti insieme a Emanuela Abbadessa e Matteo Cellini. Interviene Piero Dorfles.

Quali possibilità ho, come scrittore, di partire per terre selvagge? Se scrivere fosse come scalare una montagna, dove potrei trovare una cima vergine, o almeno una via mai percorsa prima? E se non esistesse più alcun territorio inesplorato? Queste domande mi fanno tornare in mente il famoso finale del «Grande Gatsby». Nick Carraday, il narratore, osserva il panorama di Long Island dopo che l’estate è finita, Jay Gatsby è morto e la sua villa sulla spiaggia è ormai buia e deserta.

Per Esmé, con amore e squallore

Inauguriamo oggi Per Esmé: con amore e squallore, la nuova rubrica di Paolo Cognetti – in concorso al Premio Strega 2013 con Sofia si veste sempre di nero – dedicata all’arte della narrazione. Di volta in volta Cognetti affronterà un autore diverso, a partire da Ernest Hemingway. Alle 18, a Benevento, verranno presentati ufficialmente i dodici candidati al Premio – per la prima volta sarà possibile seguire l’incontro in streaming qui.

Il racconto non è solo una narrazione breve, è una narrazione incompleta. Comincia dopo che qualcosa è già accaduto, finisce quando qualcos’altro deve ancora accadere: lascia fuori un bel pezzo della storia, e certe volte quello che resta fuori è perfino più importante di quello che c’è dentro. Il racconto, diceva Grace Paley, è un punto di domanda. Il romanzo ha l’ambizione di rispondere, di contenere tutto – se non proprio tutto il mondo almeno tutto un mondo – di costruire per noi una casa in cui abitare: alla fine chiuderemo la porta su un luogo che ci ha accolti per un po’ di tempo, e che conosciamo bene. Il racconto è piuttosto una finestra sulla casa di qualcun altro (o come in una poesia di Carver, “Chiudersi fuori e poi cercare di rientrare”, è una finestra su casa nostra quando abbiamo dimenticato le chiavi). Da fuori possiamo solo indovinare che cosa c’è dentro, farci un’idea della vita di chi ci abita, riflettere su quante cose non sappiamo. Confessare che non ne sappiamo quasi niente: il racconto è insieme una resa (non provo neanche a scrivere questa storia per intero, perché sarebbe un fallimento) e una sfida (ma ne scrivo un pezzo: tu sei capace di immaginare il resto?).

Librai

Da settembre Paolo Cognetti sta girando l’Italia per presentare Sofia si veste sempre di nero. Pubblichiamo un pezzo, uscito sul suo blog, in cui racconta alcuni dei librai che ha incontrato.

di Paolo Cognetti

Quella di Sansepolcro aveva fatto l’ostetrica per tutta la vita. Negli anni Settanta, a Firenze, aveva fondato un ambulatorio femminista, che promuoveva il parto in casa e aiutava le donne a praticarlo. Poi si era sposata, aveva avuto tre figli, si era trasferita lì con la famiglia. Anni dopo il marito e i figli se n’erano andati, lei invece aveva aperto una libreria con alcune ragazze più giovani. Mi disse che di quelle ragazze si sentiva un po’ la mamma. Che l’ostetrica e la libraia non le sembravano mestieri poi tanto diversi. Dei suoi figli parlava con orgoglio: uno stava cominciando a esercitare come medico pediatra, l’altra studiava diritto internazionale a Londra, il terzo aveva coltivato il sogno di fare il musicista e inseguendolo si era un po’ perduto.

Paolo Cognetti racconta Richard Yates

Pubblichiamo la prefazione di Paolo Cognetti a Undici solitudini di Richard Yates (segnaliamo anche che oggi dalle 17.15 Paolo Cognetti è ospite di Fahrenheit su Radio3 per presentare Sofia si veste sempre di nero). (Immagine: Edward Hopper.)

Sul tavolo di Richard Yates, sopra le foto di figlie avute da donne diverse, sopra bottiglie e portacenere e pagine scritte e stracciate e riscritte, è stata appesa per anni questa frase: «Gli americani sono sempre stati inconsciamente convinti che tutte le storie avranno un lieto fine». Sono parole di Adlai Stevenson, la grande speranza democratica degli anni Cinquanta: candidato due volte alla presidenza e due volte sconfitto da Eisenhower, e infine superato da un concorrente dotato di carisma, gioventù e bellezza, John Fitzgerald Kennedy. La frase che Yates amava, quella su cui meditava scrivendo, è l’uscita di scena di un perdente: uno che avrebbe potuto cambiare le cose, ma non ce l’ha fatta, uno la cui storia non ha avuto nessun lieto fine.

Sofia si veste sempre di nero

Riprendiamo un testo di Paolo Cognetti, uscito sul suo blog, che racconta «Sofia si veste sempre di nero». Stasera Paolo Cognetti incontra i lettori romani alla libreria minimum fax. (Foto di Henri Cartier-Bresson)

Ho cominciato a scrivere di Sofia nel gennaio del 2008, immaginando una raccolta di racconti su una ragazza della mia età. Sarebbero andati su e giù per la sua vita dagli anni Settanta in poi. Volevo che fossero il più possibile diversi tra loro: molto lunghi e molto brevi; scritti in prima, seconda e terza persona; al passato, al presente e se possibile anche al futuro. In uno la storia sarebbe durata vent’anni, in un altro un giorno solo; non sempre Sofia avrebbe occupato il centro della scena, ma anche nascosta dietro le quinte sarebbe stata la causa o l’effetto delle azioni altrui; e nel percorrere la sua vita mi sarei fermato spesso per tornare indietro, ricominciando da un altro punto di vista. Nelle mie intenzioni ogni pezzo del mosaico doveva poter vivere da solo, oltre che legarsi agli altri e comporre un disegno più ampio, in modo da conservare le qualità che amo tanto nella forma racconto – l’immediatezza, l’economia rigorosa del materiale narrativo, la libertà di sperimentare e quel senso di illuminazione che i migliori finali possiedono – e perseguire allo stesso tempo la profondità, la complessità del romanzo. Naturalmente non era un’idea originale.

Fidelity

Iniziamo questa giornata (mondiale della poesia) regalandovi due poesie di Grace Paley, poetessa americana scomparsa nel 2007, intellettuale militante, pacifista e femminista, che credeva nel valore laico della testimonianza. I suoi ultimi versi, vale a dire le poesie degli ultimi anni, sono stati raccolti nel prezioso volume «Fedeltà», curato e tradotto da Paolo Cognetti e Livia Brambilla.