Parigi, capitale dell’inesperienza

Questo pezzo è uscito su Orwell. (Immagine: Cara Barer.)

Nella letteratura francese degli ultimi tempi, sempre più visibile è la presenza di opere che hanno per oggetto la vita di personaggi reali. Solo per fare alcuni esempi illustri: le vicende picaresche del Limonov di Emmanuel Carrère; i destini sofisticatamente narrati da Jean Echenoz (quello di Ravel nel volumetto omonimo, del fondista Emil Zátopek in Courir e dell’inventore Nikola Tesla in Des éclairs); la vocazione da medico-esploratore di Alexandre Yersin in Peste et Choléra, ultimo romanzo di Patrick Deville. Dopo l’orgia di insipide autofictions intimiste che, nello snodo fra i due millenni, ha depravato il mondo letterario francese, la salutare lezione del successo di Houellebecq sembra infine essere stata accolta: uno scrittore incapace di confrontarsi con ciò che è altro da sé non merita di essere letto. L’altro può assumere le forme più diverse: la Storia, la società, l’arte, le grandi vite di personaggi celebri o quelle, minime, di anonimi individui. E può assumerle anche nelle varianti di scrittura più egotistiche. Ma non laddove l’egotismo rifiuti di confrontarsi coi presupposti della sua legittimità: una madeleine che non racchiuda in sé l’intera architettura del tempo è, letterariamente, senza sapore.