La corrente spirituale nelle poesie di Raymond Carver
Molte volte nella vita mi è sembrato di stare dentro una poesia di Carver. Pensarlo e basta è bello, accontentarsi della sensazione, godersi il momento, che si tratti di un’alba più rosa o di un caffè, o di un dolore a sorpresa. Capire il perché vuol dire mettersi a scrivere, significa venire a patti con […]
Parlar figurato: santi che muoiono male e altre figure retoriche
di Valentina Manganaro
Non esiste la versione definitiva di Google. Scrivere è riscrivere. Il tutto vale anche per colossi della letteratura come l’Orlando Furioso: nel febbraio di 499 anni fa vedeva la luce la sua seconda versione. Per meglio dire, edizione. Nemmeno l’ultima, a essere sinceri: quella che ha traumatizzato me, per esempio, è la numero tre; quella che si studia nelle scuole e nelle università.
«Vorrei proporle un gioco, visto che studia Storia dell’arte. Le va?»
Primo anno della Triennale, sede d’esame di Letteratura italiana: a questa domanda, una studentessa (la sottoscritta) sentì confermati tutti gli incubi che l’ansia pre-esame potesse congetturare.
La violenza dell’esistere e del resistere. James Purdy e l’imbelle teatro del quotidiano
di Marco Di Marco
Il mio incontro con James Purdy ormai affonda all’inizio del millennio, quando lessi quel piccolo gioiello sull’assenza che è Il nipote, al momento della sua ripubblicazione per minimum fax (nel 2005, nella collana Miminum Classics), un romanzo che probabilmente – pur essendo soltanto il secondo scritto da Purdy dopo il peculiare esordio di Malcolm nel 1959 – riesce a mettere in campo tutte o quasi le componenti dell’universo letterario di questo autore che da sempre, come lui stesso ha affermato, scorre come «un fiume sotterraneo che ha attraversato il paesaggio americano senza mai venire alla luce».
Negli anni, Purdy è infatti diventato una sorta di icona dell’autore di culto, religiosamente ossequiato da un’enclave ristretta, quasi custode del sacro mistero racchiuso nella sua scrittura, della quale diversi grandi autori (da Dorothy Parker a Samuel Beckett, Tennesse Williams e Paul Bowles, da Gore Vidal a Susan Sontag, Jonathan Franzen e David Means) non esitano a riconoscere la tragica e avvenente magia, sempre in flottante equilibrio tra la realtà e il suo specchio iperreale.
Guardando ovunque. Gli straordinari racconti di Grace Paley
Amo Grace Paley al punto che una volta ho tentato di catturare (per poi usare) il suo sguardo e di chiuderlo dentro una poesia. L’ho presa come se fosse ancora viva (e non lo è?) e l’ho portata a Napoli, in pieno centro, davanti alla chiesa dello Splendore di Montecalvario. Volevo vedere che effetto potesse avere la capacita di osservazione, di sintesi, di empatia, di lucidità, spostata da New York (teatro vivente di tutta la sua opera) a Napoli; la mia città d’origine, vitale e piena di gente e voci proprio come nel Bronx, ma voci di un coro molto diverso.
Io sarò qualcuno. Nell’America profonda con Willy Vlautin
Tra tutti gli spettri in giro per il mondo, ce n’è uno che affiora di tanto in tanto in superficie, per essere subito ricacciato sotto nel magma ribollente dove stanno assieme umanità considerate periferiche e fenomeni buoni per saltuarie indagini sociologiche; il fantasma è quello della cosiddetta America profonda, piantata lì dentro nella vastità degli Stati Uniti. Ne avrete sentito parlare: è quello scenario che emerge in certi film-documentari indipendenti; o dai capolavori letterari di Raymond Carver o nei romanzi di Kent Haruf e Chris Offutt.
“Il vizio di smettere”, i racconti di Michele Orti Manara
Circa trent’anni fa, sul New York Times comparve un pezzo a firma di Don David Guttenplan dal titolo The Boom in Short Stories in cui si proponevano le risposte di editor e scrittori alla domanda «Perché il racconto è tornato di moda?». Se si esclude Carver, che spostava l’attenzione dal perché su un chi e un quando – chi: Gordon Lish; quando: la ripubblicazione dei racconti di John Cheever, nel 1978, sull’onda del successo di Falconer – il commento migliore riportato dall’articolo era, forse, quello di Bobbie Ann Mason, che diceva di non poter scrivere che storie brevi: per lei, i suoi personaggi e i loro problemi erano troppo noiosi per non risultare intollerabili oltre il confine di una manciata di pagine.
I difetti fondamentali – intervista a Luca Ricci
È appena uscito il tuo nuovo libro I difetti fondamentali. Non solo un libro di racconti con una major, nel 2017, ma addirittura un libro di racconti sugli scrittori. Come hai fatto a convincere Rizzoli?
Nell’autunno 2015 si è svolto un pranzo di lavoro a Milano, tra me e due figuri che si sono qualificati come Michele Rossi (responsabile narrativa italiana Rizzoli) e Stefano Izzo (editor narrativa italiana Rizzoli). Di lavorare insieme a un «libro di racconti»- espressione che è l’equivalente culturale di «Frau Blücher» in Frankenstein Junior, insomma fa imbizzarrire gli editori- me l’hanno proposto loro. Io sulle prime ho pensato a uno scherzo, poi invece mi è arrivato addirittura un contratto. Le questioni tra editore e scrittore sono storie d’amore, e Rizzoli ha saputo corteggiarmi, non c’è dubbio.
Due Natali fa
Questo racconto è uscito su Abbiamo le prove, che ringraziamo.
di Clara Mazzoleni
All’ultimo piano della villa le grandi finestre splendevano come specchi. La luce impietosa del mattino si riversava nella stanza. Io ero sveglia, nel letto che una volta era mio, col cellulare in mano. Lo chiamavo: lui non rispondeva. Da una settimana mi aveva lasciato, dopo cinque anni insieme. Fino a quel momento l’amore più solido e intenso della vita di entrambi. Lo richiamavo: continuava a non rispondere. Fumavo e avevo già voglia di piangere. Ma non volevo cedere al richiamo che mi tentava.
Nei giorni precedenti ero stata forte: avevo lavorato, ero andata a correre, avevo mangiato sano, mi ero presa cura dei miei capelli, avevo addirittura guardato un film di Antonioni, Il deserto rosso, e messo uno smalto dorato sulle unghie dei piedi.
Piero Ciampi: un cantautore? No, un poeta!
Il testo che segue compare nel disco antologico Ciampi ve lo faccio vedere io, antologia dedicata al cantautore livornese con interpretazioni di Bobo Rondelli.
di John Vignola e Antonio Vivaldi
Si può dire, oggi, questo di Piero Ciampi: che è stato capace, per indole o per abitudine, magari per entrambe, di cambiare l’idea della cosiddetta canzone d’autore e di portarla da qualche altra parte.
Sarà un caso che Ciampi, proprio come capita anche a Luigi Tenco, piaccia a nomi importanti del rock italiano quali Mauro Ermanno Giovanardi, Cristina Donà, gli Afterhours.
Commenti recenti
Stato dell’arte e proposta teorica