Col PIL che cresce del 4,2% la Turchia ringrazia Allah e l’Europa

Pubblichiamo un reportage di Matteo Nucci, uscito sul «Venerdì», sulla Turchia.

A un certo punto, dopo quasi una settimana di strade turche, risalendo la costa di quella che sui libri abbiamo studiato come Asia Minore, in un paesino sul mare di nome Gelibolu, di fronte a un raki che l’uomo ha voluto assolutamente offrirci, la domanda è lapidaria: “ma che fine ha fatto lo stile italiano? che fine ha fatto l’Italia? Il bunga bunga, sì, Berlusconi, certo, l’Europa. Eppoi? Qui siamo colpiti perché non si muove più nulla da voi, neppure al nord! Eravamo abituati allo stile italiano, sia nell’aspetto che nel dinamismo. E ora? Che è successo all’Italia?” L’uomo lavora in una ditta di import-export. Si chiama Serkan Palaur. È di Istanbul ma passa le ultime vacanze nella penisola di Gallipoli, dove il padre della patria, Kemal Mustafa, più tardi detto Atatürk, si fece per la prima volta conoscere dal mondo, tra il 1914 e il 15, diventando protagonista della vittoria sul tentativo di invasione di inglesi e francesi. “Che fine ha fatto lo stile italiano?” ripetiamo insieme a lui brindando al futuro. Serkan Palaur è così felice di vedere due italiani lì, a Gelibolu, nella sua trattoria preferita, che non ammette repliche. Il raki a inizio pasto va bevuto e lo deve offrire lui. Ma troveremo noi una risposta, prima che sia finito il pranzo? Ride, si sbraccia, ordina cose incomprensibili al cameriere. Infine, quando si alza, ridendo ci passa un bigliettino da visita con i suoi numeri. “Ci vediamo a Istanbul, se avrete trovato una risposta…” poi ride “Ma anche se avrete bisogno di qualcosa”.