Nuovo cinema paraculo: la vita e le chiappe di Adèle
La palma d’oro Vita di Adele sta al cinema radical-chic francese come Sacro Gra sta al cinema radical-chic italiano. Se il nostro (nostro di aspiranti borghesi, mettiamola così) appetito di realismo, non desiderava altro che un regista italiano ci esimesse – con un documentario non troppo punitivo – dall’ansia di occuparci di quello che succede oltre la cintura urbana, nelle occupazioni, nelle baracche dei migranti, tra chi non ha nel 2013 l’acqua potabile in casa, tra chi lotta per il diritto alla casa (giusto per dire), ecco che la nostra coscienza disfunzionale nelle relazioni sentimentali ma conformista nei suoi consumi sessuali, non cercava altro che un regista francese ci confezionasse un film con una doppia morale perfettamente assortita: vizi pubblici, private virtù (ossia la formuletta che la fine delle ideologie ci assicura da anni come una scelta non troppo gravosa di impegno politico).
“Sacro Gra” e la non fiction
Sono nato a Roma. La casa in cui sono cresciuto è in un quartiere molto verde appena a ridosso delle mura aureliane, abitato in grande maggioranza da liberi professionisti e dai loro vecchi genitori – sorprendentemente quasi tutti ancora vivi – che invece lavoravano per lo stato o per gli enti.
Me ne sono andato di casa relativamente presto e, per le stesse ragioni economiche di molti miei coetanei trentenni, l’allontanamento dalla famiglia ha significato la cacciata dall’Eden in cui ero vissuto e avrei voluto continuare a vivere: grosso modo Roma compresa tra il fiume e la tangenziale est.
Dove vivo adesso, tra la Prenestina e la Casilina, più vicino al raccordo che al centro, gli immigrati comprano gli appartamenti dalle famiglie che vivono della pensione minima degli anziani. Anche gli italiani sembrano stranieri e non c’è una libreria o un cinema raggiungibili a piedi.
Il Leone d’Oro a “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi
Sabato scorso – in un’edizione che alcuni commentatori hanno definito storica – è stato assegnato a Sacro Gra di Gianfranco Rosi il Leone d’Oro per la Settantesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Dopo quindici anni, ha vinto un regista italiano. Per la prima volta nella storia della Mostra, ha vinto un film documentario. Come non facilmente succede in seno alle grandi manifestazioni internazionali, è stata inoltre premiata un’idea di cinema indipendente. Questo ha provocato (sta provocando) un terremoto sulla complicata scena del cinema italiano. Ringraziamo Dario Zonta (il produttore creativo di Sacro GRA) per averci concesso di pubblicare questa sua testimonianza uscita ieri su “L’Unità”.
di Dario Zonta
Il Leone d’Oro a Sacro Gra dovrebbe essere letto, nella sua dirompente eccezionalità, come un segnale fortissimo che viene dato al sistema del cinema italiano. L’eco del ruggito di questa settantesima Mostra, una volta superata la laguna si trasforma in un urlo di gioia e di rabbia per dire che non solo esiste un “altro cinema” italiano, documentario, sperimentale, innovativo e indipendente, ma che questo può affermarsi in competizioni internazionali scalzando talvolta la concorrenza di produzioni consolidate spesso votate alla reiterazioni di dispositivi consumati.
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