Loro 1 e 2: la fascinazione ambigua di un Sorrentino innamorato
di Chiara Babuin e Adriano Ercolani
Innanzitutto, il titolo: non “Silvio Berlusconi”, non “Il Cavaliere di Arcore”, ma “Loro”. Già da qui si percepisce l’ambizioso piano dell’opera: non limitarsi a raccontare il politico-impreditore più discusso d’Europa (del Mondo?), ma tutto il sistema che si è creato e ha gravitato attorno alla sua figura.
Berlusconi, nel suo essere incarnazione definitiva e vittoriosa dei difetti tradizionali del carattere italiano, è la summa di tutte le ossessioni di Paolo Sorrentino: la solitudine del Potere nella sua decadenza (Il Divo, The Young Pope), la vecchiezza dilaniata tra rassegnata saggezza e puro desiderio di nuova vita da parte di un uomo che ha tutto, unita alla fascinazione per vite scintillanti ma piene di vuoto (Youth, La Grande Bellezza), l’ossessione erotica mai risolta (Le conseguenze dell’amore), il recupero di un’identità immaginaria (This must be the place). “Abbiamo una gamma limitata di cose che che sappiamo fare, quindi facciamo sempre un unico film con delle variazioni sul tema”, afferma infatti lo stesso regista.
A tavola con l’Hyperion
Hyperion è il nome di una scuola di lingue aperta a Parigi negli anni ’70, che per alcuni fu il vero e segreto cervello delle Brigate Rosse. Questo è il racconto di un incontro con Corrado Simioni, fondatore di Hyperion. Simioni è scomparso nell’ottobre 2009. L’articolo è stato pubblicato nel novembre 2009 su L’Europeo.
L’arrivo.
Avvio il motore della macchina alle otto del mattino del 30 dicembre 2007, vigilia di capodanno. Raggiungerò il luogo in cui Corrado Simioni vive, una frazione collinare nel dipartimento della Drôme, Francia sud orientale, soltanto intorno alle sei di sera. Di Corrado Simioni si dice che sia stato, nei primi anni ’60, un militante della corrente autonomista del PSI. Dal quale poi venne espulso. Si dice che a Milano lavorò per L’Usis, un istituto culturale con compiti di diffusione della cultura americana nel mondo, ma all’occorrenza utilizzato in funzione anticomunista. Si dice che a Monaco di Baviera, alla metà degli anni ’60, lavorò per Radio Free Europe, emittente radiofonica foraggiata dalla Cia. Si dice che fu tra i relatori del convegno di Pecorile con il quale, nell’agosto 1970, si sciolse il Collettivo Politico Metropolitano e nacque il primo nucleo delle Brigate Rosse.
Un estratto da “Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica”
Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Giuseppe Antonelli, Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica. Ringraziamo editore (Laterza) e autore.
di Giuseppe Antonelli
Un messaggio pubblicato su Twitter il 4 febbraio 2013 ammoniva: «#Grillo parla nelle piazze un linguaggio semplice e comprensibile gli altri sono nella loro torre d’avorio il risveglio sarà amaro #M5S». Solo che la storia del linguaggio semplice l’avevamo già sentita più di vent’anni fa.
La sbandieravano prima Bossi e poi Berlusconi («Non più quel linguaggio da templari che nessuno capiva: si sentiva il bisogno di un linguaggio semplice, comprensibile, concreto »). La confermavano gli studi sul lessico berlusconiano, mettendo in luce – tra l’altro – l’alto tasso di comprensibilità del suo modo di parlare.
Cinico mai più — Prima Parte
Pubblichiamo la prima parte di un saggio scritto da Giorgio Vasta per il terzo cofanetto (uscito a dicembre) che raccoglie la produzione di Ciprì e Maresco, gli ideatori di Cinico Tv. Proprio pochi giorni fa è scomparso uno dei volti più simbolici del programma, Pietro Giordano, morto a 69 anni nella sua abitazione di Palermo.
Italy Is Burning è un progetto musicale che nasce nel 2007. A idearlo è il dj lombardo Mario Fargetta. Su una base house, una voce sintetica pronuncia una sequenza di frasi. Ogni frase descrive abitudini, usi, costumi, consumi di una determinata comunità cittadina, soprattutto o soltanto composta da adolescenti. Per esempio: «Vivo a Bologna, Studio al Dams, Vivo vicino alle due torri, Abito appena fuori Porta Mascarella, Compro le bici in via Zamboni»; oppure, in Firenze Is Burning: «Vo a psicologia alla Torretta, Fo la ragazza immagine, Mi garba la Ducati Monster, Prima andavo al Mood, ora vado all’ex Mood, Andavo al Cabiria di piazza Santo Spirito, ora vado al Pop Cafè di piazza Santo Spirito»; e ancora, in Roma Is Burning: «’sto disco spigne una cifra, No, al mucca assassina no, è un posto de froci, Carlo Verdone me fa troppo sdraia’, Mangio i panini dallo Zozzone de corso Francia, La Tedesca se dovrebbe fa un po’ i cazzi sua, Roma de notte è da paura».
Ogni frammento di Italy Is Burning contribuisce a dare forma a un repertorio di situazioni tipiche e ricorrenti, tic, clichés, micro-orizzonti di riferimento più o meno consapevolmente condivisi che, nominati, diventano identitari; qualcosa di simile a quanto accade nei profili Facebook Sei di… se… – Sei di Belluno se…, Sei di Lecce se…, Sei di Frosinone se… –, nei quali a segnare un’appartenenza locale è ancora una volta il succedersi di circostanze riconosciute e riconoscibili che gli stessi utenti contribuiscono a dilatare: un’idea di identità – locale e in un certo senso personale – in forma di catalogo.
Bacio della buonanotte per il cancro
Questa intervista a Marco Pesatori, astrologo di D di Repubblica e autore del romanzo Il trigono del sole (Feltrinelli) è uscita su Linus di questo mese, che ringraziamo. Le illustrazioni sono di Silvia Marinelli.
Un giorno di metà dicembre, a sole ormai tramontato, mi trovo di fronte a Marco Pesatori, astrologo, nato a Milano nel 1952. È seduto con un iPad al tavolo di un minuscolo bar. Dal 2003 cura con grande successo l’oroscopo di D, inserto del sabato di Repubblica. «Vogliamo parlare di stelle? Cerchiamo Pesatori», mi aveva suggerito Pietro Galeotti, direttore di linus. Ma nessuno dei due era al corrente della recentissima uscita per Feltrinelli de Il trigono del sole, esordio di Pesatori nella narrativa. Ho cominciato a leggere il libro a colazione, il giorno di Sant’Ambrogio, chiuso in un sottotetto dove lo specchio di un armadio riflette i grattacieli di Porta Nuova. Anche nella storia raccolta in questa prosa sorprendente –ruscellante, inesauribile – si torna spesso in un abbaino milanese, ma in un altro tempo: il 1973. Chiudevo il libro, quindi, e vedevo Milano in uno specchio. Lo riaprivo e vedevo un’altra Milano: ragazze pratiche di esoterismo, materassi, albe, gelidi intellettuali situazionisti (il misterioso STS), furti di libri e professori marxisti. Non folklore settantino, ma una vibrante foresta di relazioni corporee, cerebrali, che coprono il romanzo come un’edera.
Il complottismo italiano
Riprendiamo un pezzo uscito su Doppiozero, ringraziando la testata e l’autore.
di Manuel Anselmi
Qualcuno sicuramente ricorderà quella scena del Dottor Stranamore di Kubrick in cui il generale Ripper, uno dei migliori esempi cinematografici di tipo autoritario paranoide, chiede all’ufficiale della Raf Lionel Mandrake, interpretato da Peter Sellers: “Ha mai visto un comunista bere un bicchiere d’acqua?” per poi aggiungere: “Nessun comunista berrà mai acqua e sanno bene quello che fanno. […] Non sa che la fluorocontaminazione è forse il piano più mostruoso che i comunisti abbiano mai concepito ai nostri danni?”.
Probabilmente oggi pochi sanno cosa sia la fluorocontaminazione, anche detta fluorizzazione. Si tratta della semplice aggiunta di ioni fluoro all’acqua per diminuire l’incidenza di alcune malattie dentarie. Una pratica molto diffusa in Nord America che nel pieno della guerra fredda divenne una delle ossessioni complottiste più note: i comunisti l’avrebbero usata per avvelenare l’acqua degli americani, producendo menomazioni fisiche e mentali. Un’arma chimica che era anche una ipotesi perturbante per le coscienze americane, poiché avrebbe agito nella quotidianità e nella completa invisibilità direttamente nelle viscere delle vittime. Qualcosa di agghiacciante anche per i meno paranoici, ma che per fortuna non è mai accaduta.
Marc Augé e il football come fenomeno religioso
Nel 1967 il Celtic Glasgow, la squadra cattolica della città scozzese, vince la sua prima (e unica) Coppa dei Campioni, battendo in finale l’Inter di Helenio Herrera. Pochi giorni dopo il trionfo un uomo corre all’ufficio anagrafe di Glasgow per registrare il nome del figlio appena nato. Quando avrà coscienza di sé, il bambino scoprirà di avere addosso undici nomi in sequenza, quelli di tutta la formazione titolare del Celtic, dal portiere fino all’ala sinistra («sul certificato i nomi non ci stavano tutti»). Ad aggravare la situazione ecco che la moglie/madre è protestante, e dunque naturalmente tifosa della squadra rivale, dei Rangers.
Il marito approfittò con un certo cinismo del ricovero post parto di sua moglie. Bum: «Per la frustrazione, la donna tirò giù a calci una porta». L’aneddoto è raccontato da Simon Kuper in Football Against the Enemy (in Italia Calcio e potere, uscito per Isbn nel 2008). Il rapporto tra calcio e religione, che a Glasgow si sovrappone(va, il tempo ha modificato leggermente le cose) quasi alla perfezione, torna in un volumetto pubblicato pochi giorni fa da EDB, Football – Il calcio come fenomeno religioso. Si tratta di un saggio di Marc Augé uscito nel 1982 sulla rivista le débat ma per niente invecchiato, perché il ragionamento di Augé si svolge su un piano teorico, per così dire fuori dall’attualità e quindi perfettamente attuale («Agli etnologi è capitato di affermare e poi di dubitare del fatto che la distanza aguzzi lo sguardo etnologico», spiega con una punta d’ironia nelle primissime righe).
Il garantismo deturpato
Questo pezzo è uscito sull’Unità, che ringraziamo (fonte immagine).
di Alessandro Mazzarelli
In politica succede che le parole d’ordine di uno schieramento politico possano cambiare partito, che venga raccolta una bandiera lasciata cadere da altri per issarla sul proprio campo. Basti pensare a parole come libertà, merito, sicurezza.
Per quanto riguarda il garantismo accade una storia ancora diversa, come ci racconta Dario Ippolito nel prologo fulminante del suo Lo spirito del garantismo. Montesquieu e il potere di punire (Donzelli). Garantismo è parola svilita, deturpata dall’abuso, accompagnata da aggettivi sprezzanti, garantismo peloso, garantismo d’accatto, garantismo ipocrita, garantismo eccessivo;sorge il sospetto in chi l’ascolta che sia un modo per salvare il politico di turno, il trucco di chi ha soldi, e bravi avvocati, per sfuggire alla legge.
“Osservo, sogno e disegno”: intervista a Milo Manara
Questa intervista è uscita sul Foglio: ringraziamo l’autore e la testata.
di Salvatore Merlo
“Quando gli amici di mio nipote, che ha diciassette anni, cominciano a guardarmi con una faccia strana, devo ammettere che a volte mi capita di pensare: ‘Ma non è che, forse, stanno leggendo i miei lavori?’”. E quando sorride, quest’uomo di settant’anni, colto e raffinato, composto nel tono e nei modi, si trasforma come il cielo nuvoloso in un giorno di vento, e il suo volto, delicato e misteriosamente ironico, improvvisamente assomiglia a quello di un monello.
Uno sguardo che nasconde, sotto un innocente pagliaio, un sottilissimo ago di spiritosa malizia. “Una volta Michele Serra mi ha detto: ‘Milo, sei l’unico uomo che riesce ad eccitarmi’”. Ed è a questo punto, trovandosi davanti al maestro dell’erotismo a fumetti, che si pone un problema non facile, quello cioè di travestire di abili perifrasi la domanda ormai improrogabile: ma lei lo sa che i ragazzini si masturbano sui suoi disegni?
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Stato dell’arte e proposta teorica