Di titanio e d’oro: sul Festival di Cannes 2021
di Rosario Sparti Dove eravamo rimasti? Nel 2019 l’onda di Parasite aveva travolto la Croisette per poi dirigersi verso Hollywood. Intanto un’altra onda proveniente dall’Oriente iniziava a travolgere tutto il mondo costringendo il Festival di Cannes, per la prima volta dopo le manifestazioni studentesche del 1968, a fermarsi. Nonostante tutta la sua sfrontata pervicacia Thierry […]
Caligari, due film bellissimi in trent’anni. E il terzo?
Questa intervista è uscita su Internazionale. (Nella foto: una scena del film Amore tossico)
Ho cominciato ad amare Claudio Caligari quando non avevo nemmeno diciott’anni. Come molti post-adolescenti romani, avevo trovato in Amore tossico un film di culto da citare con gli amici. “Frena i freni”, “dammi il pezzo”. Romanzo criminale vent’anni prima di Romanzo criminale. Dal 1984, anno dell’uscita e del successo clamoroso di Amore tossico, Caligari ha realizzato solo un altro film, L’odore della notte nel 1998. Anni rapaci, che qualcuno su internet dà come girato, si è in realtà fermato in fase di pre-produzione nel 2002.
In questi mesi, anzi in questi giorni, sta cercando di cominciare a girarne un altro. Valerio Mastandrea ha lanciato un appello a Martin Scorsese per raccogliere attenzione e soldi intorno a questo progetto. Scorsese non si è dato molto da fare, in compenso qualche produttore si è sentito in dovere di ricordarsi di uno dei più importanti registi italiani. Mentre arrivo a via dell’Acqua Bullicante, dove mi ha dato appuntamento, passo davanti al cinema Impero, chiuso da più di trent’anni. E faccio mentalmente una foto che mi terrò in testa per tutto il tempo.
Comunisti d’America, rivoluzionari di carta
Pubblichiamo un articolo di Riccardo Staglianò uscito sul Venerdì di Repubblica.
di Riccardo Staglianò
New York. La rivoluzione sarà rilegata. Alla Barnes&Noble di Union Square, la libreria il cui caffè si trasforma spesso in temporanea base operativa per anarchici e socialisti newyorchesi, il nuovo pantheon siede immobile sullo scaffale delle riviste. I neonati Jacobin e The New Inquiry. L’adolescente n+1. L’anziano ma rinvigorito Dissent. Per citarne solo alcuni, tacendo della collana Pocket Communism della gloriosa Verso, portabandiera della New Left britannica, a pochi metri di distanza tra i libri. La sinistra è morta, viva l’editoria di sinistra. Rianimata da editor ventenni, per un pubblico (mentalmente) giovane, che vuol fare di tutto per smentire la profezia del pur amatissimo Slavoy Žižek su Occupy Wall Street: «I carnevali costano poco. Quello che importa è il giorno dopo». Loro ci sono ancora. Nonostante le varie dichiarazioni di morte presunta, come quella che si desume da un utile rapporto del locale istituto Rosa Luxemburg: «La sinistra (americana) è dura da trovare e ancor più da definire». Soprattutto se sei europeo, abituato all’equivalenza tra politica e partiti. Che qui conduce solo a frustranti aporie.
Intervista a Bret Easton Ellis
Questo pezzo è uscito su Flair.
Che Los Angeles sia diversa da tutte le altre città te ne accorgi la prima volta che la vedi. È orizzontalissima, con le sue lunghe autostrade e i cactus che sbucano dai guardrail a evocare il deserto in piena metropoli. Quando sei lì gran parte del tempo lo passi guidando da una parte all’altra. Una città che soprattutto la attraversi. “Mi piacciono i grandi spazi. E mi piace guidare”, dice Bret Easton Ellis quando gli domando com’è possibile che non si sia stancato di viverci. A Los Angeles Ellis nel 1964 c’è nato e ancora ci abita. “Ci sono cresciuto”, dice e mi spiega che nella graduatoria delle città dov’è facile vivere, Los Angeles si piazza con certezza al primo posto. “Vivere qui è facilissimo”, dice. Facilità di vita apparentemente scollata dalla complessità urbana. Una complessità tale da fare di “indefinibile” l’aggettivo che dovrebbe definire la città. “Los Angeles è indefinibile”, dice.
Intervista a Diego Quemada-Diez
Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.
Per preparare e poi girare questo suo lirico e documentatissimo film di esordio, il regista Diego Quemada-Diez ha lavorato dieci anni. I primi quattro intervistando gli immigrati che la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti la attraversano o l’hanno attraversata, taccuino e registratore in mano, cercando in sconosciuti piccole storie private da trasformare in cinema e memoria collettiva. Nato e cresciuto in Spagna, Quemada-Diez ha iniziato a fare cinema lavorando con Ken Loach in Terra e libertà. Ha vissuto in America diplomandosi all’American Film Institute, ha lavorato con Alejandro González Iñárritu, Oliver Stone e Spike Lee tra gli altri, con il bel cortometraggio I Want to Be a Pilot è andato al Sundance e ha vinto una cinquantina di premi, attualmente vive in Messico. Il suo La gabbia dorata, coproduzione messicano-spagnola, vincitore a Cannes dei premi “A Certain Talent” e “Gillo Pontecorvo” e Miglior Film al Giffoni Film Festival, presentato a Ferrara al Festival di Internazionale e che uscirà nelle sale italiane il 7 novembre, è una storia di immigrazione clandestina e di passaggio all’età adulta. Protagonisti sono tre adolescenti che decidono di attraversare il confine che separa il Messico dagli Stati Uniti, in cerca di una vita migliore.
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