Kirk, cinema e realtà
Un’estate, un ragazzo ebreo va a cercare lavoro negli alberghi vicino al Lake George. Ma nessuno vuole assumere Izzy Demsky. Allora lui bussa all’albergo successivo e si presenta come Don Dempsey. Lo prendono subito. Sul Lake Goerge ci vanno le donne sole in cerca di avventure romantiche. E ogni sera una donna diversa, che non l’ha trovata, chiama il fattorino per farsi portare il ghiaccio in camera… Il ragazzo piace anche alla proprietaria, benché lei detesti gli ebrei. Li riconosce al volo, dice, dal puzzo che li contraddistingue. «Nessun ebreo metterà mai piede in quest’albergo». «Hitler aveva ragione, tutti gli ebrei dovrebbero essere sterminati». L’ultima sera, la donna invita il fattorino in camera per un brindisi, e dopo un paio di bicchieri sono a letto insieme. Lei ansima di piacere, è scossa dai fremiti, ma lui fa in modo che senta bene quando le dice in un orecchio: «Dentro di te hai l’uccello di un ebreo circonciso. Io sono ebreo. Ti stai facendo scopare da un ebreo!».
Vent’anni dopo, a un party, Kirk Douglas vede avvicinarsi John Wayne con due bicchieri in mano. Hanno appena assistito a una proiezione privata di Brama di vivere, il film sulla vita di van Gogh. John Wayne ha l’aria turbata. «Cristo, Kirk! Come fai a interpretare una parte come quella? Un artista suicida! Siamo rimasti in pochi, dannazione. I duri come noi hanno l’obbligo di mantenere quell’immagine per il pubblico». Kirk è sorpreso, ma tenta di difendersi: «Ehi, John, io sono un attore. Mi piace fare parti interessanti. È solo una finzione. Non è reale. Tu non sei veramente John Wayne, lo sai no?».
Don’t Think Twice, It’s All Right. Hegel, Bob Dylan e il Nobel per la letteratura
di Francesco Campana
Il 13 ottobre 2016 è stato un giorno emotivamente impegnativo per chi ha a cuore la cultura, l’arte e la letteratura. Se ne è andato il Nobel Dario Fo, gigante del teatro, e Bob Dylan è stato insignito dello stesso premio per la letteratura. Le due figure sono certamente distanti, ma sono accomunate almeno da un aspetto: le polemiche che hanno suscitato al momento dell’assegnazione del prestigioso riconoscimento conferito dall’Accademia Svedese.
In entrambi i casi, ai preliminari riconoscimenti di rito – è sicuramente un grande attore…ha scritto delle canzoni straordinarie… – sono seguiti degli scandalizzati però,volti a criticare l’opportunità di tali attribuzioni e non di rado a screditaretout court il premio letterario in questione:però se lo meritavano anche altri poeti o scrittori; però il teatro e le canzoni non sono romanzi; però non è letteratura.
Al massimo diventeremo dei senzatetto molto istruiti. Di New York, i libri e altre ostinazioni romantiche
È in libreria Non è un mestiere per scrittori. Vivere e fare libri in America di Giulio D’Antona (minimum fax): pubblichiamo una conversazione tra Claudia Durastanti e l’autore e vi segnaliamo che oggi, domenica 3 aprile, alle 15 Giulio D’Antona presenta il libro alla fiera Book Pride di Milano con Laura Pezzino (Sala Mompracem) (Fonte immagine)
Anni fa, il mio primo caporedattore mi spiegò che non dovevo avere paura di telefonare a un autore che avevo amato e mi metteva in guardia da una soggezione che poteva risultare poco professionale. Non gli ho mai dato retta, e di telefonate di quel tipo ne ho fatte poche. Giulio D’Antona invece le ha fatte e ogni volta che l’ho sentito raccontare dei suoi soggiorni americani, ammetto di aver provato invidia per la disinvoltura con cui riusciva a rimediare appuntamenti con colossi come Renata Adler (oltre ad aver pensato che il mio primo caporedattore lo avrebbe assunto seduta stante).
Le sottoculture come modello per un futuro di comunità
Questo pezzo è uscito su Che-Fare.
How a culture comes again, it was all here yesterday
And you swear it’s not a trend, doesn’t matter anyway
Nirvana, Aero Zeppelin, 1988
un addio con il rock
la foto di un cuore di carta un cuore fatto con un
manifesto per concerto appallottolato
sarebbe ora di mettersi il cuore in pace
con grande dispiacere di molti siamo di nuovo all’anno zero
Nanni Balestrini, Blackout (1979)
I.
Il modello ideale per gestire la “transizione” italiana attuale, per predisporre un immaginario più coerente e funzionale di quello vigente, e soprattutto per far sì che le dimensioni dell’innovazione culturale, politica, sociale, economica finalmente si sostengano a vicenda rimane sempre e comunque quello delle sottoculture: qualcosa che il nostro Paese, non a caso, ha conosciuto a differenza di altri finora in forma unicamente embrionale e subliminale.
Tranquillo, non importa. Dedicato a Kurt Cobain
Pubblichiamo l’introduzione di Christian Caliandro all’ebook collettivo “Tranquillo, non importa” (Edizioni Sette Città) a cura di Daniele Piovino, interamente dedicato a Kurt Cobain in occasione dell’uscita nelle sale italiane del documentario “Montage of Heck”, e liberamente scaricabile qui (da Ultimabooks, Amazon e Kobo, o anche in pdf).
È strano ciò che sta accadendo – mentre esce oggi anche nelle sale italiane Cobain: Montage of Heck, il documentario diretto da Brett Morgen.
È come se la generazione grunge italiana stesse, di fatto, sbocciando e fiorendo solo adesso. In Bloom.
Allora (allora significa un pugno di mesi e di anni: tra l’apparizione di Nevermind e la sua onda lunga, i mitologici concerti italiani, la performance a “Tunnel” e il coma a Roma e la fine) avevamo più o meno tra i dieci e i vent’anni: anche gli autori di questo ebook collettivo sono tutti nati tra i primi anni Settanta e la seconda metà degli anni Ottanta.
100 libri per una biblioteca della nonfiction narrativa
Dal 21 al 23 novembre torna alla Triennale di Milano il ciclo di incontri organizzati da Studio. Vi segnaliamo il programma completo e in particolare l’incontro di venerdì 21 alle 18.30 sul tema Il racconto della realtà: intervengono Cristiano de Majo, Lorenzo Mieli, Aldo Grasso, Francesco Anzelmo e Niccolò Contessa.
Riprendiamo un articolo di Cristiano de Majo apparso su Studio.
(Ho scritto un lista di 100 libri immaginando di mettere insieme una biblioteca di nonfiction narrativa: reportage, memorie, autobiografie, biografie, saggi personali… Ovviamente è un genere che sfugge a una definizione precisa e che quindi si presta all’interpretazione soggettiva, ma la lista è anche un modo per cercare di disegnare un perimetro di questo genere, che trovo il più interessante campo di applicazione della letteratura in questi anni. Ci sono sicuramente alcuni buchi – libri che non letto, che ho dimenticato o che non considero fondamentali al contrario di altri -e sicuramente un po’ di favoritismo interno, nel senso che sono inclusi libri italiani, anche piccoli e sconosciuti, accanto a capolavori riconosciuti. C’è anche forse una considerazione perferenziale per le uscite più recenti rispetto a libri del passato e non so se dipende dalla freschezza della lettura o dal fatto che questo tipo di libri si trovino in un momento di interessante evoluzione. L’elenco non segue un ordine preciso.)
Intervista a Robert Ward
Questa intervista è uscita su Repubblica Sera.
Viene da Baltimora, nel Maryland, una di quelle città che sembra cantata da Bruce Springsteen in The River, dove nasci, cresci e farai il lavoro di tuo padre. Ma per Robert Ward, classe 1943, non è andata così, ora vive a Los Angeles, dopo essere stato a New York e aver scoperto che tutto è possibile, dopo aver attraversato gli Stati Uniti da hippy negli anni 60 e cambiato vita molte volte: insegnante, giornalista, scrittore, sceneggiatore per la televisione e per il cinema.
Ha firmato puntate di serie come Miami Vice e Hill Street Blues, e dal suo secondo romanzo Cattle Annie and Little Britches (1977) è stato tratto il film Branco selvaggio (1981) con Burt Lancaster e Diane Lane, ma c’è un personaggio in particolare che ha segnato la sua carriera: Red Baker, operaio trentanovenne di Baltimora che perde il lavoro e deve sopravvivere. È il protagonista di Io sono Red Baker, del 1985, subito premio Pen West come miglior romanzo americano dell’anno, amato da scrittori come Robert Stone, Richard Price, Michael Connelly, Christopher Hitchens, James Crumley, Laura Lippman. Una storia che ancora oggi ha molto da dire, che parla di crisi economica e che viene proposta in Italia, per la prima volta, dal piccolo e raffinato editore senese Barney Edizioni, in una collana diretta dal traduttore Nicola Manuppelli e intitolata “I Fuorilegge”, dedicata agli autori americani meno noti (in Italia), ma non per questo meno interessanti. E infatti tra i primi estimatori di Ward c’è stato Tom Wolfe, che in qualche modo l’ha salvato da una vita che non gli piaceva, e l’ha lanciato alla ricerca del successo.
La differenza tra consumo culturale e la letteratura. A proposito dell’osannato “Americani” di John Jeremiah Sullivan
Questo pezzo è uscito su Europa.
Quando ti rendi conto di essere l’unico a non amare un certo film o un certo libro, per un verso il giudizio che ne scaturisce non è su quel certo libro e quel certo film, ma su di te – cosa ho di sbagliato? -, e per cercare di non nutrire quel senso di colpa che da quando hai l’età della ragione ti hanno malevolmente insegnato a prendere per sana autocritica, l’unica chance che hai di non passare nella schiera di chi odi di più – gli snob, gli snob intellettualmente disonesti – devi almeno provare a avvalorare la tua analisi con una copiosa quantità di evidenze a supporto. Le righe che seguono sono questo tentativo.
Goldman Sachs, la banca che dirige il mondo
Pubblichiamo un articolo di Riccardo Staglianò uscito sul Venerdì di Repubblica. Ringraziamo l’autore e la testata.
di Riccardo Staglianò
I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi. Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica. «Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.
Moravia, Roma e la Grande Indifferenza
Questo pezzo è uscito su Europa.
Non era il Touring Club ma Giacomo Debenedetti che nel 1937 riconosceva che “i luoghi di Moravia hanno una fisionomia e una certezza irrefutabile: dopo D’Annunzio Moravia è stato il primo a ricostruire una topografia romanzata di Roma”. Moravia però in là con gli anni aveva provato a smentire il suo primato: “Roma è un fondale, non è un altro per me, i miei problemi non sono quelli di Roma, negli Indifferenti Roma non è neanche nominata. Tutti i Racconti romani sono sbagliati topograficamente apposta, non c’è una strada che corrisponda”. Eppure questo mezzo marchigiano e mezzo veneto era diventato comunque lo scrittore di Roma per antonomasia. Oggi la sua lunga stagione, fatta di letteratura, viaggi e presenzialismo, di vitalità in eccesso e noia insopportabile, sembra preistoria. Bastano dei graffiti sulle pareti di interni romani per trovare ancora traccia di Moravia? Moravia è ancora una lettura obbligata per scrivere su Roma? Il continente Moravia si affaccia ancora sulla capitale?
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Stato dell’arte e proposta teorica