Santa Evita

Pubblichiamo un estratto della prefazione di Fabio Stassi a Santa Evita di Tomás Eloy Martínez (Edizioni SUR).

L’urna di cristallo

Il primo odore che filtra dalle pagine di Santa Evita è un aroma di mandorle e lavanda. Il corpo imbalsamato di Eva Duarte pende dal soffitto in una lastra di cristallo sostenuta da corde trasparenti. Uno specchio di vetro, circondato da fiori e candele, al centro di una sala smisurata e rivestita di nero.

Evita è morta da poco e il generale Perón ha dato l’ordine di mummificarla, contravvenendo per primo all’ultimo desiderio di sua moglie: «Non lasciare che nessuno mi tocchi». Da quel momento, un galiziano superbo e insolente, il dottor Pedro Ara, inizia a manipolare il cadavere, a trattarlo con formaldeide, paraffina e cloruro di zinco, a iniettargli soluzioni di timolo nell’arteria femorale, a inondarlo con fiumi di gas, di mercurio, di ghiaccio secco. Nella scommessa di eternare l’illusione di uno sguardo enigmatico e perfetto e una via lattea di vene e capillari sul suo collo traslucido, di alabastro, perché gli uomini continuino a innamorarsene anche da morta.