La vita affondata dai romanzi. Rushdie, Ellis e Coetzee

Questo pezzo è uscito su Orwell.

Scrivendo le proprie memorie in terza persona Salman Rushdie ci sta dicendo che Joseph Anton sarebbe un bel libro anche se si trattasse di letteratura di finzione. Anche se fosse solo un romanzo. Il che avrebbe senso, considerando che la storia di Rushdie, in sintesi, è quella di uno scrittore che si è complicato tremendamente la vita proprio con un romanzo, I versi satanici, valutato sul piano teologico (come qualcosa, quindi, di più di un romanzo). Certo, avrebbe fatto meno fatica se si fosse limitato ad aprirci il suo cuore con una confessione sincera in prima persona, invece di rappresentarsi come un personaggio all’interno di quella riproduzione in scala della vita che è il romanzo, con tutto il lavoro di ricerca e le difficoltà che deve aver comportato mettere una vicenda come la sua, personale e di dominio pubblico, alla giusta distanza (alla fine del libro, ad esempio, Rushdie ringrazia gli archivisti dell’Emory University per il lavoro di catalogazione dei suoi documenti).