A proposito di Deligny e del dibattito sull’educazione: una replica a Claudio Giunta per una serie di considerazioni sulla scuola
di Christian Raimo
Claudio Giunta replica al mio post di ieri di critica alla sua recensione dei Vagabondi efficaci, una raccolta di testi di Fernand Deligny da poco pubblicati dagli Asini.
Lo fa sul suo blog.
Non entra nel merito delle mie critiche la cui durezza era semplicemente dovuta allo stupore per un articolo così inadeguato rispetto al tema trattato, che per me è davvero cruciale.
Si parla così poco di politica e educazione sulle pagine dei giornali che la riedizione del libro di Deligny I vagabondi efficaci merita un’attenzione e una cura speciali.
Giunta riduce le mie critiche a difesa di una setta (quale?) e allo “zelo da dottorando in trance agonistica”. Mi sembra una risposta da bullo: debole e arrogante.
Sostenevo che alcune sue affermazioni sono incommentabili e che il suo pezzo era al limite della disonestà intellettuale. La sua replica alle mie critiche invece è nel pieno della disonestà intellettuale. Provo a spiegare perché.
Qual era il merito dei miei rilievi?
- l’ignoranza manifesta di Giunta della realtà della scuola;
- la misconoscenza di Giunta della storia dell’educazione;
- l’avvilente riduzione che Giunta fa della pedagogia a una sua caricatura (la fuffa universitaria);
- la misconoscenza del dibattito politico intorno alle questioni educative nel dopoguerra;
- la non padronanza di un lessico minimo della pedagogia dell’inclusione.
Giunta parla di “handicappati”, “ritardati”, “non conformi”, “sottodotati”, “difettati” per definire alcuni suoi ex compagni di classe, valendosi di una terminologia che oggi è tanto superata quanto impresentabile, e che farebbe specie persino tra le virgolette della sua soggettiva di adulto che guarda con indulgenza il sé bambino.
Queste parti del suo articolo e della sua replica sono le parti per me incommentabili. Chiunque lavori sulla disabilità sa quanto la storia della pedagogia dell’inclusione è fatta di riconoscimenti anche linguistici e di battaglie politiche per norme che mettano a sistema alcuni importanti sforzi delle esperienze d’avanguardia. I termini che usa Giunta sono inappropriati se non insulti.
Dal punto di vista storico con le definizioni di Giunta sembriamo andare indietro fino al positivismo pedagogico.
In secondo luogo, Giunta argomenta che il lavoro intellettuale è moltiplicare le interpretazioni. Questo è ovvio e giusto; lo definisce antisettarismo, Giunta – una definizione inutilmente bellicosa di pluralismo del dibattito.
Meno efficace da un punto di vista del dibattito intellettuale, questo è il mio punto di vista, è non tenere conto e non lavorare – anche con gli strumenti che Giunta da filologo padroneggia benissimo – sui limiti di quelle interpretazioni. Sarebbe poco interessante, anche dal punto di vista del paradosso o della provocazione, né del resto credibile sostenere che Dante è un esponente del dadaismo antelitteram, o che Gramsci un fascista malgré soi.
È altrettanto poco interessante e credibile, se non disonesto appunto da un punto di vista intellettuale, voler fare di Deligny:
1 _ un comunista riluttante e quindi a suo modo un liberale e quindi paradossalmente un intellettuale liberale organico al Foglio.
Giunta scrive nella sua recensione:
“non aveva niente a che fare con i metodi dell’educatore sovietico Makarenko, al quale Deligny è stato spesso avvicinato”.
È una falsità. Da questa falsità Giunta ricava una distanza implicita, tutta ipotetica, tra l’impegno politico di Deligny e una fantasmatica educazione totalitaria che Makarenko avrebbe ispirato. Non addentriamoci nella questione storiografica chiaramente molto ampia. Ma possiamo dice che la ricezione di Makarenko in Europa e quindi anche per Deligny non ha nulla a che fare con fantasmi totalitari.
Luigi Monti ricorda nelle note del libro (pag. 180 e 200) il rapporto tra Makarenko e Deligny come un rapporto complesso, anche personale, con molte identità, molte somiglianze e certo molte importanti differenze. Affermare che “non aveva niente a che fare” è una stupidaggine, un rilievo molto parziale, oppure un passaggio disonesto per un sillogismo che non regge nemmeno nel suo essere una boutade.
2_un attivista eccentrico, essenzialmente solitario, “eroico”.
I vagabondi efficaci restituisce a pieno la figura di un pedagogista critico non di un santo, di intellettuale impegnato anche nell’ambito della linguistica (il dibattito con Blanchot e con Barthes rispetto alla questione del linguaggio sull’autismo, per es.), di un rivoluzionario (non di uno “strano”), oltre che di un militante comunista, antigollista, che era soprattutto un uomo del suo tempo e non fuori del suo tempo; un tempo costellato di esperienze pedagogiche d’avanguardia che spesso erano tutt’uno con la militanza politica.
Anche qui è il libro stesso a ricordarlo nella prefazione: Janusz Korczak esplicitamente citato da Deligny, Alexander Neill, e ovviamente il comunista Celestin Freinet. I vagabondi restituisce il senso di una comunione d’intenti e di iniziative in una rete diffusissima fatta di libertari, socialisti, anarchici, trotzkisti, persino hipster. Chiunque legga le pagine dei Vagabondi efficaci riconosce l’aria della famiglia che si respira: un viscerale antiborghesismo, una radicale conflitto per le istituzioni di disciplinamento e internamento. È evidente come sembri naturale, non certo settario, affiancarlo – come anche i curatori fanno – ai compagni di strada che Deligny stesso in parte si sceglie, la critica novecentesca alle istituzioni dell’internamento: Isaac Joseph, Ervin Goffman, Franco Basaglia, Paul Goodman, Michel Foucault, Gilles Deleuze…
A Deligny della battaglia contro il gibberish pedagogichese come lo definisce Giunta (la pseudolingua della peggiore pedagogia) interessava assai ovviamente poco.
Quella di Giunta è una lettura del dibattito pedagogico del novecento umiliante. Interessava a Deligny e molto invece la lotta continua contro la repressione che il potere faceva in molti modi nei confronti dei ragazzini poveri, emarginati, privi di opportunità di emancipazione sociale.
Davvero l’ultimo pensatore a cui verrebbe di accostarlo è John Stuart Mill, nel cui pur splendido per altri versi On liberty si parla di educazione in termini che oggi considereremmo classisti se non antidemocratici: l’opposto di Deligny.
Scrivere in chiusura, non solo di pezzo ma di ragionamento, che “Deligny è uno di noi” vuol dire non sapere riconoscere un sano conflitto delle idee. È un tentativo maldestro non solo di appropriazione, ma di revisionismo, o forse una postura infingarda da familismo morale del dibattito per cui quando si ha a che fare con un pensatore e un uomo così radicalmente altro dalla propria posizione intellettuale si deve comunque sottoporlo a un letto di Procuste concettuale per assimilarlo, seppure monco, cieco e muto.
L’ultima considerazione di Giunta che lascia sgomenti è quella per cui dall’impegno di Deligny con i ragazzi per non farli finire in manicomio o in galera, cercando di occuparli in attività pratiche, ma anche artistiche, creative e politiche, possiamo derivare una conclusione che fraintende completamente il senso intellettuale di questo impegno.
Qui il passaggio di Giunta:
Forse è questa la cosa che fa più riflettere e fa meglio percepire il passaggio del tempo, i decenni che separano noi oggi dagli esperimenti di Deligny. Ragazzi problematici – cioè con deficit intellettivi, o delinquenti, o psicotici, o autistici – continuano ad essercene, ma ora la cura prevede la scuola, lo studio: devono avere tutto ciò che hanno gli altri. Ma avere tutto ciò che hanno gli altri significa educarli alla norma alla quale i ‘normali’ sono assoggettati, cioè assegnare all’istituzione il compito di correggere la loro anormalità.
Pur avendo intuito la semplice verità che Deligny mostra, che non esistono ragazzini “deviati” o “non conformi” ma che è la scuola a imporre arbitrariamente uno standard tarato su un’illusoria normalità, Giunta sembra sottendere se non dichiarare una delegittimazione dell’idea di scuola per tutti. È l’auspicio di un ritorno alle classi differenziali o alle scuole di avviamento? E per sostenere quest’auspicio Giunta si serve di Deligny? Abbiamo capito male, speriamo.
Se Giunta, comunque, si leggesse un po’ di pedagogia dell’inclusione, persino di legislazione sull’inclusione, dalla legge 170 in poi, non formulerebbe analisi così spericolate.
In sintesi – ed è per questo che ci sembra importante questa polemica – Giunta scambia la pedagogia, a cui non sembra riconoscere uno statuto né scientifico né disciplinare, per un suo personale feticcio, che coincide più o meno con la poltiglia formativa che spesso viene ammannita agli insegnanti italiani nei vari corsi che Giunta giustamente ridicolizza.
Se invece di prendersela con questo liofilizzato del pensiero pedagogico, usasse la sua alta competenza filologica e il suo impegno intellettuale per restaurare la dignità di una disciplina così maltrattata, potrebbe trovare una sua collocazione in questo dibattito, e persino aiutare la scuola italiana in crisi.
Un ultimo piccolo rilievo personale. Giunta dice che esprimo uno “zelo da trance agonistica da dottorato”. È vero, sono in congedo dall’insegnamento, perché sto facendo un dottorato di storia contemporanea sulla storia della scuola nel dopoguerra. Appena finito il dottorato tornerò a insegnare. Per farlo in quest’anno di covid vado avanti a metanfetamine alternate a gbh. Ne ho una bella scorta. Ora mi rimetto al lavoro sui testi di Antonio Santoni Rugiu e Dina Bertoni Jovine ascoltando l’ultimo degli Autechre. Sale sale e non fa male.
Sei settario Raimo, e la cosa ti porta a stravolgere una recensione vedendoci ciò che non c’è, come i fanatici fanno, come in questo passaggio: “non ne faceva certo un lettore mancato di Mill o addirittura un intellettuale organico al Foglio antelitteram”.
Solo il tuo fanatismo ti può far pensare e una cosa del genere, questa battuta con riferimento al Foglio. Devi polemizzare col Foglio a ogni costo? Io ho letto la recensione di Giunta, non c’è nulla di ciò che dici. A nessuno sano di mente viene da pensare che Giunta stia accostando Deligny al Foglio, solo a te e agli stolti che hanno commentato sotto al tuo post su facebook, incapaci di ragionare se non per partito preso. Questo è appunto il settarismo. A nessuno sano di mente, linguaggio che non ti piace, come non ti piace la parola ritardato o deviante, perché come tutti quelli che mettono l’ideologia davanti alla realtà pensi che siano le parole a fare le cose. Le persone deviate e ritardate esistono, così come esiste la malattia mentale, fattene una ragione.
Che lei non abbia visto ciò che dice Raimo non vuole dire per definizione che non ci sia, significa o può significare che non ha letto bene il testo, o che – più probabilmente – è impegnato in una difesa d’ufficio. Per limitarci all’essenziale, il passaggio virgolettato c’è, e vuole dire che per Giunta gli autistici, le persone con deficit intellettivi e altre categorie non devono andare a scuola ma fare altro, perché la scuola – secondo l’insindacabile parere di Giunta che ovviamente SA cosa è meglio per queste povere anime – sarebbero disciplinati. Senza sapere nulla di autismo, evidentemente, di cosa sia una psicosi e di come si cura, e senza soprattutto sapere come funziona la scuola dopo Gentile. Se lei non ce lo vede è un problema suo. Le potenzialità interpretative con buona pace di Rorty non sono infinite.
Appunto, siccome Rorty ha torto, ho da poco letto la filosofia dopo la filosofia, la natura ci permette eccome di scegliere quali asserzioni sono vere e quali no. Non sempre, ma a volte sì. Del passaggio che lei cita non c’è modo di trarne ciò che adesso commenta; è una sua interpretazione. Non sta scritto da nessuna parte che per Giunta chi ha problemi non deve stare a scuola. C’è scritta una cosa diversa, ovvero che l’idea di dare la stessa istruzione a tutti si scontra con la realtà nella quale non tutti sono uguali. Questo è discutibile, ovviamente, sia come idea in sé e sia come conseguenze eventuali da trarne (in ogni caso non dichiarate da Giunta, quindi ci si dovrebbe limitare a commentare ciò che si legge). Non è invece discutibile che non corrisponde alla vostra interpretazione, o a quella degli sdegnati sotto al post su fb. Io non difendo Giunta d’ufficio, lo difendo perché non sopporto il modo di fare di Raimo, non sopporto il settarismo, non sopporto l’ideologia a tutti i costi. Raimo poteva manifestare il suo dissenso come ha anche fatto in questa replica, senza metterci tutte quelle illazioni sul vero intento dietro le parole di Giunta; senza mettere quelle reazioni tipo lo sgomento che avrebbe provato a leggerlo. Sgomento per cosa, perché ha idee diverse? Perché guai a chi tocca Deligny e legge nella sua esperienza qualcosa di diverso dall’ortodossia?
Caro Prof. Raimo che la scuola non sia “per tutti ” (inclusi i normodotati principalmente) lo si evince facilmente dalla “legge imposta ” che non si boccia nessuno . Per puro esempio , Le ricordo che dalla sua parte politica sono stati “estratti” (forse a sorte ) due ministri (una ex ed una in corso ) che sommati (anni scolastici ) arrivano malamente alla 3 media. Ma studiare nella “sua ” scuola e’ davvero utile ?? Penso di NO.
Penso che sia chiaro che io e Giunta abbiamo posizioni diversi: io ho argomentato la mia, lui la sua. Per me Deligny non può essere assimilato alla famiglia dei liberali, per me Giunta mostra di sapere poco di storia dell’educazione dell’inclusione. Per Giunta stravolgo le sue parole in nome del settarismo e della trance da dottorato. Ognuno può trarre le sue conclusioni. Che si parli di Deligny mi fa contento. Che si legga quel libro sapendo almeno che è un testo importante.
@FF vs PPP lei scrive: «Del passaggio che lei cita non c’è modo di trarne ciò che adesso commenta; è una sua interpretazione. Non sta scritto da nessuna parte che per Giunta chi ha problemi non deve stare a scuola.»
Questo Giunta: « Ragazzi problematici – cioè con deficit intellettivi, o delinquenti, o psicotici, o autistici – continuano ad essercene, ma ora la cura prevede la scuola, lo studio: devono avere tutto ciò che hanno gli altri. Ma avere tutto ciò che hanno gli altri significa educarli alla norma alla quale i ‘normali’ sono assoggettati, cioè assegnare all’istituzione il compito di correggere la loro anormalità».
In che modo sarebbe assente ciò che ci leggo? E lei cosa ci legge?
Dunque, confermo tutto quello che ho scritto: vuole dire che per Giunta gli autistici, le persone con deficit intellettivi e altre categorie non devono andare a scuola ma fare altro, perché la scuola – secondo l’insindacabile parere di Giunta che ovviamente SA cosa è meglio per queste povere anime – sarebbero disciplinati. Senza sapere nulla di autismo, evidentemente, di cosa sia una psicosi e di come si cura, e senza soprattutto sapere come funziona la scuola dopo Gentile.
Io ci leggo un passaggio lungo, che parte dall’esperienza di Deligny. Un passaggio che si riferisce a come vengano trattati tutti i ragazzi alla stessa maniera. “Devono avere tutto ciò che hanno gli altri”. Ora, come si passa da “devono avere tutto ciò che hanno gli altri”, sintesi (discutibile, certo) dell’attuale stato dell’arte, a “non devono avere niente di ciò che hanno gli altri, ovvero non devono andare a scuola”? Mettere in discussione la prima sintesi non implica arrivare alla seconda. Come si fa a essere così sicuri delle altrui idee, tanto più se espresse in una recensione? Giunta sta facendo dei video su youtube per Il Mulino in cui chiede a tutti cosa fare spesso dicendo di non avere certezze, e si parla di scuola superiore. Per questo anche è del tutto sproporzionata la lettura di Raimo. Già solo questa idea che Giunta abbia voluto accaparrarsi Deligny. Ma questo è appunto un pensiero rigido, di appartenenza per squadre, quando la chiosa significa solo che un lettore del Foglio può trovare in un comunista un modo per capirsi, perché a suo modo di vedere Deligny non era un comunista fanatico. Non che Deligny sia un liberale, ma che abbia idee che non dispiacerebbero affatto a un liberale, dato che comunista e liberale sono etichette. Non che possano voler dire qualunque cosa, ma non si vede proprio alcuno scandalo. Cosa che oltretutto nulla c’entra invece con il merito della questione, sulla quale tutte le obiezioni sono possibili, anche nette, sulla storia della pedagogia eccetera.
Io non metto in discussione la buona fede di Giunta. Ma la sua impreparazione sui temi pedagogici, che gli fa scrivere una recensione così inadeguata per cui il principio di carità con cui leggerla dovrebbe essere tale da fargli dire quello che non dice almeno 20 volte. Perché poi mi importa così tanto di questa storia? Perché quest’appropriazione non è un tentativo solo di Giunta con Deligny. Avviene con De Mauro, con Lodi, con Rodari, con Don Milani, cioè con una storia decisamente connotata e lineare storicamente che sembra oggi messa in discussione nelle sue categorie di base. Deligny era un comunista anche fanatico, non certo del partito, ma dell’idea di cambiare il mondo sì. Come fai a dire che Deligny potrebbe piacere a un liberale e gli sarebbe potuto leggere On liberty di Mill? Hai presente cosa dice? Meno stato, scuole private, di fatto buono scuola. La solita ricetta liberale: scuola selettiva e pensiero critico per un’élite + assistenzialismo per i poveri. Deligny pensa a distruggere le strutture d’internamento e di disciplinamento dei poveri.
Lascio gli ultimi due rilievi. Vero, quello di Giunta è un azzardo nel momento in cui ipotizza che Deligny si troverebbe bene con Mill, perché al di là di tutto non lo si potrà mai sapere. Questo però direi che è concesso in una recensione e in un dibattito. Mentre invece dire che Deligny potrebbe piacere a un liberale non mi sembra così azzardato, e inoltre fa parte di questo invito alla lettura. Ci siamo concentrati solo su uno dei movimenti dell’incontro, che per te sarebbe scandaloso, ma proporre Deligny a dei lettori liberali significa anche e sopratutto invitare costoro a mettere in discussione le proprie idee. Certo, senza mistificarlo, ma a questo servono le discussioni. Questo mi porta all’altro rilievo, ovvero la distinzione tra le politiche liberali e il trattamento dei poveri. In attesa di leggere il volume, non sono proprio l’una l’obbiettivo dell’altra. Le istituzioni disciplinanti non hanno il loro fondamento del pensiero liberale.