Il desiderio, fra possibile e irrealizzabile: “Annette” di Marco Malvestio

di Naima Bolis

«Personalmente, cerco di non immergermi troppo nel viaggio subconscio che è culminato nella mia depravazione personale. […] ho coscienza che nessuna sfaccettatura della mia sessualità è un rischio per me o per il prossimo. Credo, come cerco di dimostrare con i miei film, che il sesso sia inerentemente disordinato. […] Non puoi trattare un talento con rispetto e umanità e chiedere allo stesso tempo che metta da parte i suoi desideri sessuali. Il porno dovrebbe sempre essere caotico, libertino, onesto, reale. Questo è quello che spero di cuore che le mie ultime produzioni riflettano».

Questa frase della regista Mason potrebbe essere considerata il manifesto di Annette, il romanzo fluido di Marco Malvestio, che si muove sapiente tra le forme dell’autofiction, del personal essay, del romanzo di formazione, del saggio letterario.

«Raccontare un’ossessione» è uno dei due scopi che l’autore e narratore dichiara di avere, ed è il primo di molti inganni benevoli, se così si possono chiamare, di cui si serve per il fine ben più pervasivo di illustrare come «il desiderio si articola e si accresce nell’impossibilità del suo realizzarsi».

L’oggetto della sua ossessione, del suo desiderio insoddisfatto (e, proprio per questo, ontologicamente perfetto e inesauribile), è Annette Schwarz: pornoattrice tedesca attiva fra il 2002 e il 2014, si è contraddistinta nell’ambiente pornografico per essere stata pioniera di alcune pratiche definibili, all’epoca, come estreme. Dagli esordi fino al suo ritiro dalle scene, Annette ha sempre mantenuto ferma riservatezza sulla sua vita privata: aveva un sito internet che poi ha definitivamente oscurato; non ha profili social, tutto quello che si sa di lei al di fuori della cornice professionale è vago e di fonte ambigua.

Il narratore si propone di inventare la biografia di Annette, colmare quel vuoto ambivalente che lo inchioda a lei e che al contempo lo repelle, ben conscio che portare su un piano di realtà l’oggetto del suo desiderio possa comportare il rischio di renderlo deperibile e, soprattutto, esauribile. Il tempo che le dedica è il margine intimo che gli è concesso dalla sua vita da pendolare e stagista insoddisfatto in una nota casa editrice; un tempo che si sovrappone a quello in cui si intrattiene sessualmente con diverse ragazze, pur interessanti e disinibite, che però finiscono per annoiarlo e per fargli sospettare che, per quelli come lui, una vecchiaia solitaria e squallida, fatta di scatoloni pieni di materiale pornografico stipati nel seminterrato, non sia un destino da escludere.

Marco, infatti, non è un incel. Questo aspetto ha un ruolo non trascurabile all’interno del romanzo, nonostante non sia dichiarato: il suo status ha il peso di una rivendicazione. Non ci si troverà davanti alla dissertazione di un misogino, alle insoddisfazioni e alle frustrazioni che sfumano nei toni color bile dello svilimento dell’oggetto sessuale, in una continua e inconscia dimostrazione d’impotenza psichica; seppure unilaterale, seppure impossibilitato a condividerne lo stesso linguaggio (e forse privo di un linguaggio suo), Annette è la storia di un amore.

Lungi dall’incarnare la perfezione plastica di molte sue colleghe, Annette sapeva infondere alle sue performance un’energia inconfondibile, che pareva derivare da una partecipazione reale a quello che faceva. Annette, insomma, produceva un cortocircuito: pur esibendosi in acrobazie manifestamente impossibili nel quotidiano, che la telecamera rendeva ancora più innaturali, lo faceva con una passione tale da rendere verosimile che quello che accadeva sullo schermo potesse diventare reale anche per me che lo guardavo nella penombra della mia camera.

Annette nei suoi film è verosimile; a differenza di molte sue colleghe, Annette sembra autentica, e proprio per questo può farsi veicolo del desiderio; quel desiderio che, per essere perfetto, deve sembrare possibile da realizzare ma al contempo mai realizzabile.

Il concetto di autenticità, nel lavoro di Malvestio, è centrale anche a un livello metaletterario, è il cuore di questo romanzo quasi sperimentale: c’è un continuo gioco di rimandi, di parallelismi, tra la verosimiglianza del narratore personaggio e le performance della sua Annette; tra fiction e non fiction, dove la strategia paradossale di un’ammissione preventiva confonde il lettore, lo intrappola in un twist continuo tra il dubbio sull’autenticità di quello che sta leggendo e la volontà, invece, di crederlo ciecamente.

Uno degli aspetti interessanti del romanzo sta proprio in questo: Malvestio induce il lettore a interpellare i motori di ricerca, a googlare a caccia di immagini, gif, significati, interviste, dati, pettegolezzi, curiosità. Riesce allora in un’operazione immediata quanto delicatissima: normalizzare l’interesse per il porno, così come l’ammissione di averne fruito («come tutti»). In questo senso, Annette porta in sé un tentativo autoassolutorio che si potrebbe definire sacrificale: Marco si immola per l’autoassoluzione di tutti, per un’autoassoluzione collettiva, in quella stessa dimensione particolare di collettività che caratterizza la fruizione, occasionale o sistematica, della pornografia.

Altrettanto interessanti sono alcuni aspetti sempre connessi al tema dell’autenticità, ma in maniera ambivalente e controversa: in primis, il fatto che la biografia di Annette restituisca un personaggio con poche contraddizioni. Fra le cose che separano e distinguono Annette dalle colleghe più famose, come Sasha Grey o Valentina Nappi e su cui l’autore sembra tornare con una certa insistenza, è che Annette sembra non aver mai ceduto alla lusinga imprenditoriale, così come alla rivendicazione ideologica, alla tentazione politica. C’è una sostanziale mancanza di individualismo nel suo lavoro, non c’è quello spirito tanto contemporaneo di personal branding, ed è curioso come questo venga interpretato come autenticità, anziché come un forse più verosimile non interesse. C’è, insomma, un sillogismo implicito paradossale, ovvero che l’attività in qualche modo autoimprenditoriale in questo settore ne determini in automatico la mancanza di passione. Le ragioni della scelta potrebbero essere pratiche: Malvestio, infatti, non cede mai allo psicologismo. Non si fa cenno a statistiche, vere o presunte, che collocano le sex workers nelle categorie di chi abbia subito violenze psicologiche o abusi sessuali, abbia avuto padri fedifraghi e madri castranti oppure assenti.

A questo rifiuto dello psicologismo si accompagna però un altro aspetto, tanto evidente nel racconto della vita di Annette, ovvero di un’istanza sessualizzante irresistibile. È difficile trovare qualcosa, nella sua biografia, che non sia sovrainvestito eroticamente. Tuttavia, è altrettanto difficile trovare nel romanzo qualcosa che non sembri, se non programmatico, almeno un rischio calcolato: Malvestio infatti, per tutto il romanzo, riesce a eludere i pregiudizi facili; anticipa tic moralisti, critiche e obiezioni, coinvolge nel suo vortice di digressioni, interruzioni, identificazioni, parallelismi, mistificazioni e demistificazioni. È disorientante, al punto da creare un certo tipo di vergogna in chi legge: ci si vergogna della propria scarsa conoscenza di quel mondo, dei propri limiti, dei propri automatismi. La curiosità ora non sembra più morbosa, ma scientifica; è trasformata in fact-checking. L’autore crea un labirinto fra verità e finzione trasponendo in artificio letterario gli stessi meccanismi della fruizione del porno e, più in profondità, dell’attrazione e della dipendenza che suscita: la sessualizzazione della Annette che lui immagina, quindi, non esce mai dallo schema che lui stesso aveva già ha annunciato.

Devo credere che siano pura invenzione, che Annette sia in realtà una schiava che fa porno con lo stesso entusiasmo con cui altri vanno a lavorare alla pressa, e che in realtà le attività qui elencate la repellano? Oppure la verità sta nel mezzo – e cioè, come nelle sue scene, questo entusiasmo è una messa in scena che va a coprire una lussuria che invece è reale? […] Amando Annette, amando l’impossibile, io scelgo deliberatamente di amare non una persona, ma un’ideale.

Malvestio tiene la tensione senza cadute, con poche e ben studiate variazioni di temperatura; chi di continuo si interroga su quale sia la verità ormai ne è piacevolmente esasperato.

È, in fondo, la stessa esasperazione a cui porta la ripetitività con cui l’autore evita di essere lineare; una ripetitività di aneddoti e meccanismi, di digressioni e incursioni laterali che pure richiama alla maggior parte dei plot nel porno, se non addirittura alle specialità della stessa Annette.

La voce è originale e al tempo stesso di squisita maniera; si sente l’influenza di Siti e qualche volta il tono di Humbert Humbert, così come l’eco di David Foster Wallace e di Vollmann. Il romanzo è un carnevale semiotico, un simbolo iperattivo; sembra riflettere in continuazione, rispecchiare anche nella forma e nello stile ogni fenomeno che Malvestio descrive, servendosi degli stessi mezzi della materia che tratta. L’autore dimostra di sapersi nutrire delle istanze della contemporaneità, rendendole strumenti fecondi alla narrazione e, con intensità maggiore, alla divulgazione.

 

Commenti
Un commento a “Il desiderio, fra possibile e irrealizzabile: “Annette” di Marco Malvestio”
  1. Luca Di Paolo ha detto:

    – Annette porta in sé un tentativo autoassolutorio che si potrebbe definire sacrificale: Marco si immola per l’autoassoluzione di tutti, per un’autoassoluzione collettiva, in quella stessa dimensione particolare di collettività che caratterizza la fruizione, occasionale o sistematica, della pornografia. –

    …di illustrare come «il desiderio si articola e si accresce nell’impossibilità del suo realizzarsi».

    Nel romanzo di Marco Malvestio, più che rivoli descrittivi, e forse altalenanti, come note quotidiane di una vita intesa molto enigmatica, per un’autrice pornografica, lo scrittore da assoluzione a tabù, tramite l’attrice, ma sembra rimanerne solo un estremo caso umanitario, ed unico a livello epocale, ma in un’epoca con un pudismo molto dilatato;
    Se volessi leggere il romanzo di Malvestio, preferirei più un realismo, che lasci spazio al lettore di interpretare da se la propria idea, su ciò che è e su ciò che fa l’autrice porno, non sovrapponendo la moralità sociale, con le sfumature di una professione che non è un insegnamento alla vita.

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