Il medesimo mondo di Sabrina Ragucci
di Filippo Polenchi
Il medesimo mondo è una saga letteraria compressa in poco più di 160 pagine. I Virno (singolare che Sabrina Ragucci abbia dato a questa famiglia di nobili decaduti il nome del filosofo Paolo Virno) abitano un immaginario paese del Centro-Sud Italia: prima coltivano tabacco e prosperano, poi la terra, come in Furore di Steinbeck, diviene arida e inservibile, ma non tanto per ragioni ecologiche, quanto per ragioni storiche:
“il Regno d’Italia, lo zelo di funzionari pubblici corrotti e la strategia dei produttori concorrenti hanno compromesso l’economia della famiglia: ciò che l’aveva resa agiata per generazioni sfruttando il lavoro dei contadini, ora la rendeva povera”.
Dall’unione di Giovanna Virno con Mino Mogliano, “uno senza terra”, nasceranno cinque figli: Carlo, Angelo (il preferito della madre), Caterina, Maria e Paolo. Sarà Angelo ad assumere, per un tratto, il ruolo di protagonista della storia, fin da quando, dodicenne, ma già indisponibile a imparare il mestiere del padre (il falegname), a studiare, perfino a imparare il dialetto, come forma suprema di respingimento identitario, sarà protagonista di una tragedia sfiorata. Infatti, il ragazzo, lasciato solo in casa, prima si ubriaca di vino per gioco, poi si lascia scivolare dalle mani il neonato Paolo mentre lo sta facendo volteggiare per i polsi. Il piccolo cade oltre il balcone del terrazzo, ma, anziché sfracellarsi al suolo e morire, cade in una cesta di panni dimenticata dabbasso.
Alla tragedia sfiorata seguiranno altre disgrazie, tragedie e crudeltà: il passaggio dei Virno-Mogliano lungo l’arco del Novecento è un passaggio doloroso, eppure anestetizzato. Dolore e amore sono parole interscambiabili, senza valore. La sola parola che conta davvero sono “i soldi”.
L’esordio letterario di Sabrina Ragucci è soltanto una delle possibili realizzazione dei suoi percorsi artistici: il romanzo potrebbe essere un’installazione o potrebbe essere una variazione sul tema – e sul linguaggio – che predilige, cioè la fotografia. Ragucci, infatti, è soprattutto una fotografa: ha partecipato a numerose mostre, lavora molto sul paesaggio, scrive sul “Manifesto” e collabora a vari progetti (con il compagno Giorgio Falco ha pubblicato molti lavori icono-testuali, fra i quali il memorabile Condominio Oltremare dell’Orma, nel 2014 e del 2020 sono le sue le fotografie che formano le sequenze visive del romanzo di Falco Flashover, pubblicato da Einaudi).
Tuttavia, è bene esser chiari fin da subito: la visualità del Medesimo mondo non è di superficie. Siamo dalle parti, semmai, di una pulsione scopica, un comandamento inconscio a guardare. Come ricorda l’autrice, il romanzo è costruito attraverso il passaggio da una “scatola opprimente a un’altra scatola opprimente”. La claustrofobia dei sentimenti (glaciali, imperscrutabili: al massimo si possono descrivere, ma non spiegare, né tantomeno capire), degli ambienti, dei paesaggi (stretti tra gole e vallate, oppure aridi, depressi, impoveriti) arresta ogni possibile progressione narrativa; si azzera cioè non il dipanarsi di una vicenda, che invero avanza a ritmo uniformemente elevatissimo, ma la mutazione che ci aspetteremmo nei destini e soprattutto nelle anime dei personaggi.
Nessuno apprende niente, nessuno comprende niente. Quello che possiamo fare è continuare a guardare. L’idioma letterario che Ragucci si è inventata per raccontare la storia dei Mogliano è come un occhio che vede tutto e lo commenta: registra e ci fa capire che quello che stiamo leggendo è una finzione; eppure, con la sua implacabilità, ci rende complici delle efferatezze, del nichilismo borghese di Angelo, del mantra del denaro, dei desideri piccoli e consumabili, dell’indifferenza, della crudeltà che animano i personaggi. Spesso l’autrice ha citato il regista austriaco Michael Haneke come referente di questo dispositivo ‘omni-scopico’ (più che onnisciente), il cineasta tardo di Happy end (un ritratto di famiglia dominato dai telefonini del 2017). Sarei più propenso ad avvicinare, seppur con le dovute differenze, Il medesimo mondo a Funny games, la pellicola a metà tra horror e home invasion del regista austriaco del 1997. Anche in quel film, all’apice dell’orrore, il nastro si riavvolge letteralmente: quello che abbiamo visto finora, tutte quelle torture sono una finzione; il film si auto-commenta, mettendosi a nudo, per dircelo. Eppure, siamo stati ‘complici’, a nostro modo, dell’assedio e del sadismo dei due maniaci vestiti di bianco; scegliendo di non interrompere la visione del sangue abbiamo scelto di continuare a guardare, preda della pulsione scopica, forse assuefatti alle atrocità catodiche, forse perfino desiderosi di vederne altre. Anche la voce del Medesimo mondo svela se stessa e così dovrebbe tenerci a una prudente distanza critica dalla materia tagliente di cui tratta. Invece, come gli spettatori di Haneke, non riusciamo a tirarci fuori dall’abiezione e dalla miseria che Ragucci mette in scena, semplicemente perché è la nostra miseria, sono le nostre passioni tristi.
Ma se manca la trasformazione nei personaggi, mancano anche la capacità e il desiderio dei personaggi di trasformare il mondo. Angelo, “l’uomo nuovo”, è una parodia molto chiara dell’Angelus Novus di Walter Benjamin, quell’angelo della storia che gli fu ispirato dall’omonima tela di Paul Klee. Se l’angelo benjaminiano era sospinto verso il futuro da un vento impetuoso, pur rimanendo con lo sguardo fisso sulle rovine del passato, sulle macerie “del progresso” che gli s’impigliavano nelle ali, l’Angelo di Ragucci è “è l’uomo nuovo, che non teme di essere incapace”.
L’incapacità di Angelo è quella di un sonnambulo alla Hermann Broch, una specie di inetto storicizzato: un uomo indecifrabile, che avanza in uno stato di veglia eppure inconsapevole come se stesse dormendo, verso un abisso. Ma se l’abisso dei Sonnambuli era la Guerra (sul tema ci tornerà anche Christopher Clark, parlando appunto dell’assurda escalation che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale) l’abisso nel quale precipitano i Mogliano è quello della pace: “Quale metodo migliore per allenarsi alla guerra, lavorando per essa in tempo di pace!”. La società non è trasformabile, al massimo si può spremere – come vuol fare Angelo – oppure ce ne possiamo approfittare – ruolo che sarà di Roberta, figlia menomata di Angelo e Teresa, che imparerà presto a sfruttare il suo ruolo di vittima predestinata, “Senti un po’, non è che stai diventando comunista?”, domanda Angelo alla seconda moglie Lia. L’odio anti-comunista dei protagonisti è un odio soprattutto contro un sogno di liberazione dell’uomo, per questo, più che di ineluttabile destino riguardo ai Mogliano è opportuno parlare di complicità. Questo è un punto cruciale che torna spesso nella produzione artistica di Sabrina Ragucci. Quanto si è complici di un sistema? Lo sguardo dell’autrice perlustra quella “zona grigia” di cui parlò Primo Levi: l’area del collaborazionismo, dell’indifferenza colpevole. In questo senso Il medesimo mondo si avvicina molto alla Gemella H di Giorgio Falco: in entrambe le opere le filiazioni tra ideologica fascista e ideologia consumista sono tracciabili.
Cos’è allora il “medesimo mondo” del titolo? Sono l’Italia e la Germania incapsulate l’una nell’altra: entrambe hanno preferito dimenticanza e oblio all’elaborazione del lutto nazi-fascista; l’Italia è un mix tra la Germania “buona” (cioè la Repubblica Federale Tedesca) e la Germania “cattiva” (la Repubblica Democratica Tedesca):
“gli uomini apatici al bar, l’alcolismo, il tabacco di scarto, la povertà, i mobili di compensato, il cibo cattivo, la vita nata deprivata, per la gioia di pochissimi e l’infelicità degli altri. Lia, stravolta dopo le ore di lavoro, parla di un medesimo mondo prima di addormentarsi”.
Eppure, potremmo leggere l’intero romanzo dal punto di vista dell’assente: Paolo. È lui il bimbo che nel prologo rischia la morte, ma, biblicamente, cade su un cesto di panni dimenticato quattro metri più in basso. Da quel momento gli zii Luigi e Ada, dopo un contenzioso in tribunale, lo prenderanno in affidamento: “Il compito della famiglia è assicurare un avvenire ai figli. Il giudice non usa la parola amore, soltanto avvenire, come se il passato e il presente non esistessero”.
Paolo, che diventerà geometra dirigente di una “qualsiasi Regione italiana”, il cui futuro sarà illustrato da poche elusive informazioni, è l’avvenire che è scivolato dalle mani dell’Angelus Novus. Ora Angelo è solo un’illusione di futuro, una promessa inesigibile: un avvenire-non-venuto. È come se tutta la ‘saga’ dei Mogliano si svolgesse su una tempolinea errata, in una piega distorta di un futuro alternativo. Solo che quell’alternativa è il nostro quotidiano, il migliore dei mondi possibili.