“La vita che verrà”: la tragedia degli equivoci di Christian Raimo

di Gabriele Di Fronzo

Ci sono “giorni di transito” nella Vita che verrà, gioie strazianti, esistenze sul punto di trasformarsi, e indugiando – sì, indugiando, anche se di solito per fare i complimenti a uno scrittore si usa la formula “senza indugiare” – Christian Raimo, indugiando, si addentra nel dolore più soffuso, poi nelle sue crepe, oppure si attarda nei sintomi di un sentimento nascente e temporeggia nell’allegria che stordisce, o per un’indecisione rispettosa abbozza soltanto l’esperimento più delicato ed estenuante che esista, cioè la felicità, e così fa anche con un’amicizia ritrovata, con un fratello perduto, o esita nell’aura luminosa degli amori da baciare e nell’ombra di quelli da tradire.

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In una di queste sue prose, che ora minimum fax riporta in libreria sotto forma di un’auto-antologia, Christian Raimo cita il racconto di Fitzgerald Tre ore tra due aerei – la storia di un uomo che, in viaggio per lavoro, fa scalo in una cittadina del Midwest dove vive una compagna di scuola di cui era innamorato, e che non vede da quando avevano dodici anni, allora Nancy gli era passata accanto in bici ignorandolo; “con una crescente agitazione” le telefona e lei gli dice di raggiungerlo a casa sua, si stava bevendo un whiskey dopo cena; Donald è vedovo e Nancy è quasi certa che il marito la tradisca con una di New York; ricordano i bei tempi trascorsi insieme, una gita in slitta e altre amenità, e per loro fortuna diventano presto “due interessanti estranei invece di due impacciatissimi amici d’infanzia”; bevono insieme nel salotto di casa di Nancy, sono “a un metro e mezzo appena l’uno dall’altra” e succede che si baciano; lui le confessa di avere persino detto alla moglie, un giorno di molti anni prima, di amarla come da bambino aveva amato lei, Nancy; poi, sfogliando l’album delle vecchie foto che lei è andata a prendere al piano di sopra, Nancy gli dice che era carino e lo indica; è allora che lui le dice che quello che lei ha appena indicato, quel ragazzetto in calzoncini corti su un molo con una barca a vela sullo sfondo non è lui, si chiamava Donald come lui, ma aveva un altro cognome; Nancy si irrigidisce, gli parla stavolta “dall’altro lato della stanza”, e dopo avergli chiesto di mantenere quel loro segreto inopportuno, gli dà il numero della stazione dei taxi perché se ne vada al più presto– e questo racconto riverbera in gran parte della Vita che verrà, con il suo “senso di vuoto allo stomaco”, la confusione inattesa, i turbamenti, i desideri inconciliabili, la sua detonazione sotterranea scuote lievemente il suolo altamente sismico su cui poggiano anche gli altri racconti della raccolta.

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A volte sembrerebbe che questi uomini e queste donne pur potendo contare nelle vicinanze di una fonte di saggezza immensa, scelgono di non attingervi né per una sorsata né per un bagno rigenerante, ma solo, di tanto in tanto, per intingervi una piccola sezione del loro corpo, una minima porzione della loro vita. La conseguenza è che quella piccola e momentanea saggezza non dà altro beneficio se non quello infelice di renderli consapevoli e giustamente atterriti della restante parte della loro esistenza sbandata. “Nella congerie degli eventi nefasti dell’ultima ora mi si stava aprendo un varco verso una possibilità di conoscenza che ancora non avevo esplorato”, si legge in uno di questi racconti.

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Christian Raimo non scrive una commedia degli equivoci, scrive una tragedia degli equivoci. Un crestomazia di coincidenze contrarie, eventi avversi, sorprese perfide, e ambiguità crudeli, e sospetti penosi. E forse soprattutto Raimo, dal 2001 al 2018, ha scritto di segreti, di segreti di razza. Quei segreti di cui George Sand annotava nel diario: “Saint-Beuve mi diceva l’altro giorno che era bello avere un grande segreto nella vita, un segreto del cuore, svelabile e non rivelato, vale a dire che non abbia nulla di vergognoso in sé, e che resti chiuso nell’anima come un profumo prezioso che sottraiamo al contatto con l’aria. Un grande sentimento di fede religiosa portato in silenzio nel mondo, un amore straordinario nascosto come un’ambizione imprudente, una forte risoluzione o una speranza potente, questi erano, pensava, misteri poetici e sacri che dovevano far grande un uomo in una vita oscura”. Nella Vita che verrà per di più i segreti sembrano rivelati non per fiducia – la fiducia non c’entra quasi niente – ma per disperazione.

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Quando Raimo vuol far ridere, e in alcune occasioni vuol far ridere, il lettore che lo conosce, come davanti a un comico che stima, ride due volte: in primis perché si diverte e poi perché è contento che quel suo ridere in anticipo, quel suo ridere sulla fiducia non sia stato un riso sciupato.

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I racconti che Raimo ha raccolto in questa auto-antologia sono confessioni e possessioni: sono storie di uomini che confessano le loro possessioni, e storie di uomini posseduti delle loro confessioni. E niente regola questo mondo se non due elementi: l’ossessione è una lealtà portata alle estreme conseguenze e l’incanto è il solo premio che sporadicamente, e senza merito, potrebbe salvare una nostra giornata.

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I suoi uomini, le sue donne, i giovani, i vecchi, hanno sentimenti per cui provano una specie di attrazione, come per un luogo lontano, e a volte resistono al richiamo, allontanandosene ancora di più, altre volte al contrario si lasciano predare: insomma, sono vivi e non dispongono interamente di loro stessi. Insomma, come tutti.

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Gli uccelli in volo non si trovano tra un luogo e l’altro, ma portano con sé ogni luogo che hanno attraversato. Tutti i panorami, tutti i cieli dentro cui hanno steso le loro ali. Allo stesso modo, i racconti di questa collezione, e precedentemente pubblicati nel 2001 e poi nel 2004 e dopo nel 2014 e dopo ancora nel 2018, tutti questi racconti non si trovano più in quegli anni in cui vennero scritti e dati alle stampe, non volano sul cielo di allora, ma abitano completamente i cieli e il paese dei nostri ultimi vent’anni. Come si conclude il racconto di Fitzgerald, pubblicato postumo sull’Esquire nel luglio del 1941, meno di un anno dopo la sua morte? Si conclude con lui, che aveva finalmente baciato la donna di cui è innamorato da sempre, e che cinque minuti dopo ha scoperto che quella aveva ricambiato il bacio soltanto perché lo aveva scambiato per un altro compagno di scuola di cui a sua volte era innamorata lei, si conclude con lui, ormai in aereo, che si rende conto che “per cinque abbaglianti minuti aveva vissuto come un pazzo in due mondi contemporaneamente, era stato un ragazzo di dodici anni e un uomo di trentadue, indissolubilmente e inevitabilmente commisti”. Come gli uccelli, come questi quindici racconti.

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In Padri e Figli Ivan S. Turgenev fa dire a Bazorov che “l’uomo è in grado di capire tutto, come vibra l’aria e che cosa succede nel sole, ma non capirà mai che un altro uomo possa soffiarsi il naso in un modo diverso dal suo”. Spesso in queste brevi prose Raimo sembra invece mettersi dalla parte di chi si soffia il naso in modo molto diverso dal suo. Mostra curiosità, e mai disprezzo ma neppure riguardo, per uomini e donne con una sensibilità magari malsana, un sentimentalismo irruente e una vitalità litigiosa. Veste in modo accurato i loro destini per quanto questi possano essere differenti dal suo, e non si direbbe mai che lo faccia con delicatezza – la delicatezza è raccomandabile alle dita del pasticcere o alle narici del maître parfumeur, raramente a uno scrittore –, invece azzarda sempre l’affondo, e l’esito è che, raccontando queste storie, dopo l’ultima riga, i suoi personaggi siano mandati alla rovina.

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Eppure, nonostante il disagio, nonostante l’inquietudine, nonostante soprattutto l’egoismo selvaggio di molti di loro, alcuni dei suoi personaggi provano a superare il “grumo nero incomunicabile” che li divide e tentano di mantenere, in uno spasimo di ansia lungo una vita, una comunicazione con gli altri. A parole, a gesti, con i fatti nascosti e con quelli a vista.

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(Poi, come ci si lamenta di un cantante che al concerto non abbia eseguito una canzone o di un cuoco che abbia tolto dal menù uno dei piatti che preferiamo, allo stesso modo, con lo stesso cipiglio dell’estimatore che ha il privilegio di poter brontolare, il lettore di un’antologia può dispiacersi che quel racconto o quell’altro non siano stati scelti per farvi parte, ma poco conta. Si è contenti di essere tornati a mangiare in questo ristorante, vent’anni dopo la prima volta: allora, con la raccolta Latte, fu un antipasto; adesso, con l’auto-antologia La vita che verrà, ci si siede davanti a una tavola per un’abbuffata dei migliori piatti della casa).

 

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