Non credete che anche noi desideriamo passeggiare per le strade di Roma ebbri di gioia e non di disperazione?
L’altro giorno, l’ultimo intervento alla fine dell’assemblea molto partecipata e densa sulle politiche notturne a Roma è stato di una persona che frequenta San Lorenzo, una ragazza che si chiama Agnese Pietraforte. Ha particolarmente colpito non solo me, e le ho chiesto di poterlo riportare per intero:
di Agnese Pietraforte
Salve a tutti, sono Agnese e ho 26 anni, sono una studentessa universitaria e una ragazza in cerca di lavoro. Prendendo spunto dalle parole della presidente Francesca del Bello, che ha accennato a un grave episodio di accoltellamento avvenuto a Largo Passamonti poco tempo fa, inizio il mio intervento in questa assemblea cittadina ricordando un altro drammatico episodio accaduto recentemente nei giardinetti di Piazzale Verano: il suicidio di un giovane ragazzo africano. Scelgo di parlare di questo fatto perché nella sua tragicità, mi sembra racchiudere bene la condizione di infelicità e impotenza che viviamo noi giovani tutti giorni. Sono uscita da due anni di pandemia, in cui la mia città non ha saputo offrirmi un sostegno psicologico opportuno e gratuito, la possibilità di potermi incontrare con i miei coetanei, l’opportunità di un lavoro anche modesto e senza nemmeno una biblioteca in cui poter studiare. Ho vissuto due anni chiusa in una casa affollata e senza un computer che mi permettesse di seguire le lezioni e dare gli esami. Vivo in una realtà in cui l’università non è capace di venire incontro alle nostre esigenze e in cui le uniche offerte di lavoro per i ragazzi come me, anche accademicamente preparati, sono da parte di quegli esercizi commerciali che spesso impoveriscono il territorio e che contribuiscono in maniera consistente alla “mala movida” ossia i wine bar, le shottinerie, i minimarket che somministrano alcol senza limite.
Capisco la situazione di degrado ed esasperazione che vivono i residenti e le residenti di San Lorenzo perché la subisco anche io vicino casa mia, nel quartiere di Piazza Bologna. Anche io ho pensato di chiamare le guardie perché non riuscivo più a dormire né a studiare per il chiasso. Sono vittima anche io ma forse più consapevole, perché conosco le motivazioni che spingono tanti ragazzi e ragazze, anche più giovani di me, a passare le serate a vomitare e urlare per strada tutta la notte. Perché arriviamo a questi estremi? Perché in questa città per noi giovani non c’è niente. L’unica cosa che rimane a molti di noi per svagarci è alcol o la droga. Per poter fare dell’arte devi pagare 9000 euro l’anno allo IED o entrare nell’unica scuola di cinema che apre le sue porte forse a una ventina di studenti l’anno… o fai così oppure devi scappare all’estero. Ma io soldi per andarmene non ce li ho e sinceramente non lo voglio nemmeno fare. Ho 26 anni ed è da quando ne ho 18 che voto, eppure a San Lorenzo, da quando ero una ragazzina, non è cambiato niente. Potevo tranquillamente entrare in un bar a 16 anni e chiedere quattro shot di fila, sapevo che nessuno me li avrebbe negati. Anche oggi è così ma chiedetevi perché i ragazzi passano il tempo ad ubriacarsi. Voi credete che per noi sia sempre una scelta? Non credete che anche noi desideriamo passeggiare per le strade di Roma ebbri di gioia e non di disperazione? Noi giovani non abbiamo né potere politico né economico, la nostra voce non conta niente e non ha nessun peso nelle politiche di gestione della città, così era per mia sorella prima di me e così si sta rivelando perfino per mio fratello minore. Eppure ci siamo, non siamo solo una fonte di problemi o una categoria astratta, io sono seduta qui di fronte a voi. Ben vengano le assemblee cittadine che ci permettono di guardarci negli occhi e che ci danno la possibilità di capire che facciamo parte di una comunità, quasi di una famiglia potrei dire. Ma per essere famiglia dobbiamo abbandonare questa visione dicotomica che ci divide e che ci impedisce di vedere che siamo tutti esseri umani con bisogni complessi e intersecabili. Il bisogno di riposare come quello di creare, divertirci, ballare, lavorare e studiare. Tutti noi. È stupido parlare per dicotomie, è stupido e ottuso. Se continuiamo così in questa città non cambierà mai niente.
Ma dove era partecipata quest’assemblea? C’erano quattro gatti. Continua la produzione favolistica su San Lorenzo…
Partecipata o meno, se questo era il tenore degli interventi meglio lasciar perdere.
Non conosco Roma, ma trovo davvero difficile credere che sia questo deserto culturale, le cose di cui si lamenta questa ragazza sono le stesse di cui mi lamentavo io dieci anni fa, e di cui si lamentano i ventenni oggi, nella mia città, però parliamo di un piccolo centro in pianura padana. Purtroppo chi vive nelle grandi città non si rende minimamente conto delle opportunità che queste offrono che sono davvero tantissime se paragonate a, beh, tutto il resto del paese.
Io mi chiedo perché “i ragazzi passano il tempo a ubriacarsi”, ammesso che ciò sia vero. Non vivo più a Roma e non vivo più in città: credo che Agnese Pietraforte si riferisca soprattutto a quelle realtà. Ma in generale, da quel che comprendo sui ragazzi, penso che, sì, la nostra società offra loro poco, ma sono anche convinta che la curiosità, la voglia di fare, di creare, spesso attecchiscono, per compensazione, molto bene in mezzo al niente. Esorto i ragazzi a liberarsi dall’abitudine di lamentarsi restando passivamente inermi.
Quando ero ragazza e vivevo a Roma, per motivi personali potevo frequentare pochissimo la città. C’era un numero di cose maggiore o minore, rispetto ad ora? Non so, credo comunque minore… Non c’era una pandemia ma anche io ero chiusa quasi sempre in una casa affollata e non avevo sostegni psicologi e non avevo un PC e non avevo i soldi per iscrivermi a qualunque scuola privata di arte o cinema. Io e gli altri ragazzi “non avevamo potere politico ed economico, la nostra voce non contava nulla”. C’era la droga in giro, e c’era l’alcol. Ma coi due soldi che mia madre cercava di darmi, sottraendoli ogni tanto alla spesa, mi compravo qualche libro, nelle bancarelle degli usati, qualche volta il giornale; andavo all’Azzurro Scipioni a “studiare” cinema; uscivo per le strade, a volte, da sola, di giorno, per “studiare” arte ed urbanistica. Alcuni amici o conoscenti, più liberi di me, se la cavavano come o meglio di me, altri, per molti motivi, meno fortunati, si mettevano invece nei guai…
Passavo per Termini e vedevo tanti giovani di origine sub-sahariana che chiacchieravano tranquilli tra loro. Avevano più o meno la mia età. Ostinatamente speravo che potessero stare bene, che si trovassero bene nella mia città. Senza sapere nulla, istintivamente speravo, e basta.
Poi ho capito molte cose, è nata una coscienza politica, una responsabilità civile, sono nate la rabbia, la frustrazione. Ho iniziato a lavorare decentemente a trent’anni, dopo anni di rinunce e di grande fatica. Un giorno ero entrata, disperata, nel circolo di via dei Giubbonari, per conoscere qualcuno che avesse bisogno di me. Mi offrivo per insegnare italiano, ovviamente gratis, ai lavoratori di origine straniera. Da laureata, anziché, ad esempio, viaggiare, non potendomelo permettere, ho preso a lavorare in un coll center. Mi sentivo ed ero però una privilegiata, perché una casa dove stare ce l’avevo, gli studi universitari li avevo potuti iniziare e finire, a differenza di molti. Volevo avere delle idee. Io e tanti che hanno compiuto un perscorso simile al mio abbiamo guardato con gratitudine, quasi con senso di colpa, il nostro vantaggio: questo, credo, ha evitato che passassimo le notti a ubriacarci; mentre molti, invece, lo facevano anche allora, e se la prendendevano col mondo. Credo che le cose non siano di molto cambiate, nonostante la pandemia e tutto….
Tutto questo per dire che, se a Roma (e in qualunque altro posto) non c’è nulla, createvelo voi il vostro qualcosa. Perché non può essere bello incontrarsi e parlare, il famoso e banale scambio delle idee, anche se non esiste l’Evento creato da altri con l’etichetta: “Fatto per i giovani.”?
Mi scuso per un paio di errori di battitura.
Senza pretendere di capire a fondo qualcosa che non conosco, ai ragazzi come A. P. direi di non credere sempre che sia loro dovuto qualcosa da parte della Società. In un mondo ideale è tendenzialmente vero; nel mondo reale, spesso, non è così. Le alternative sono due: o non fai nulla e ti deresponsabilizzi (e nel frattempo ti lamenti); o fai di tutto per trovare un lavoro, modulando la tua vita e le tue esigenze su questo obiettivo. Svagarsi non è affatto un diritto che la Società deve garantire ai giovani, questo sia chiaro; e tutti sono usciti da una pandemia. Il vittimismo, col tempo, è capace di renderti una vera vittima (di te stesso).