Una serata a Roma per Salman Rushdie (e una “Lettera luterana” di Sandro Veronesi)
Lunedì 12 settembre, dalle 19.00 alle 21.00, al Teatro Studio Gianni Borgna dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, Libri Come organizza una staffetta di solidarietà di scrittori e giornalisti, una maratona di lettura dedicata all’opera di Salman Rushdie, alla libertà della scrittura, al potere dei libri. L’ingresso è libero.
Partecipano Edoardo Albinati, Pierluigi Battista, Annalisa Camilli, Gaja Cenciarelli, Leonardo Colombati, Michele De Mieri, Paolo Di Paolo, Amir Issaa, Jhumpa Lahiri, Melania Mazzucco, Romana Petri, Stefano Petrocchi, Daniele Pittèri, Rosa Polacco, Igiaba Scego, Marino Sinibaldi, Elena Stancanelli, Sandro Veronesi.
Per l’occasione pubblichiamo un pezzo di Sandro Veronesi uscito oltre 20 anni fa, ma quasi dimenticato. O, meglio, una “lettera luterana” utile anche per mettere a confronto due mondi letterari: quello di ieri, quello di oggi.
Lettera luterana agli intellettuali italiani sul caso Rushdie
di Sandro Veronesi
Inchiesta su “Avanti!”, 12 marzo 1992, Franco Fortini dice: “Chi prende le difese di Rushdie passa sopra agli aspetti di ricaduta pubblicitaria e politica di questa campagna in suo favore”.
Ma perché dice questo?
E dice: “L’intellettuale, come ogni altra persona, è responsabile di quello che dice: Le parole sono pietre e possono avere conseguenze atroci e sanguinose”.
Perché questo?
E Luigi Malerba dice (stesso giornale, stessa inchiesta): “Diciamo che la sua (di Rushdie) è stata una ‘espressione’ di pessimo gusto, non difendibile in assoluto”.
Perché dice questo?
E dice: “Se io parlo male del papa in maniera diretta e frontale e poi lui mi scomunica, dopo non devo lamentarmi. Rushdie è un musulmano e conosceva le regole della sua religione”.
Perché questo?
E Ferdinando Camon dice : “Bisogna certo solidarizzare con Rushdie, perché una condanna a morte è un abominio al quale bisogna opporsi. Ma va anche detto che Rushdie non ha certo scritto la Critica della ragion pura: ha fatto solo un’operazione blasfema, bestemmiando praticamente in una moschea”.
E dice: “E’ una lunga bestemmia: non è ragionamento, non è filosofia, non è analisi, non è psicologia. Che quindi questo atteggiamento blasfemo provochi dolore nel popolo della sua stessa religione, che abbia provocato questo dolore senza alcuna giustificazione culturale e morale, questo è vero”.
Perché dice questo?
E Giovanni Giudici dice: “Sono abbastanza cinico e scettico, anche perché questo scrittore, alla fine, mi sembra un furbacchione”.
Perché questo?
Cari intellettuali italiani, poco prima, su “La Repubblica”, Guido Almansi vi aveva accusato di avere snobbato la condanna a morte di Rushdie: è questa la vostra risposta? Qualcuno, è vero, ha sottoscritto un appello contro quella condanna, ma parecchi di voi continuano a ostentare posizioni insostenibili, e contro di esse non c’è mai nessuno che protesti, col risultato che alla fine sul caso Rushdie la cultura italiana si distingue davvero per la stessa identica “civile indifferenza” manifestata dal Vaticano.
Perché Salman Rushdie è stato condannato a morte? Ve la siete posta, questa domanda? Salman Rushdie ha scritto un libro. E’ sconcertante come abbiate considerato scontata quella condanna: il libro è blasfemo, dite, se lo doveva aspettare. Per voi è normale che un imam iraniano condanni a morte un cittadino inglese per avere pubblicato un certo libro; non vi stupisce che questa condanna venga estesa in tutto il mondo a qualunque cittadino di qualunque paese che abbia preso parte a quella pubblicazione; e non vi scuote nemmeno che parte di questa condanna sia già stata eseguita, giacché il traduttore giapponese dei Versi è stato ammazzato (in quanti lo sapevate?), e solo per caso la stessa sorte non è toccata anche a Ettore Capriolo qualche mese fa. Io invece vi chiedo cosa c’è di scontato, in tutto questo, perché ripeto che la disinvoltura con cui lo avete accolto non è sostenibile.
Innanzitutto, questo discorso del “se lo doveva aspettare”, che spesso scivola in quello contiguo del “l’ha fatto apposta”: è un argomento vecchio, lo stesso Rushdie vi ha già replicato due anni fa nella sua lunga autodifesa intitolata In buona fede: “L’ha fatto apposta è una delle accuse più strane mai sollevate contro uno scrittore. Certo che l’ho fatto apposta; ma la domanda da porsi, la domanda cui ho cercato di dare risposta è: che cosa ho fatto?”.
E poi dice: “Penso a Jodie Foster nel suo personaggio che ha vinto l’oscar in Sotto accusa. Anche se fossi disposto a concedere (e non lo sono) che ciò che ho fatto nei Versi satanici sia stato l’equivalente letterario dell’esibirsi sfrontatamente davanti agli occhi di uomini eccitati, è davvero una buona ragione per venire, diciamo così, violentato?”
E dice: “Le minacce di violenza non dovrebbero costringerci a credere che le vittime dell’intimidazione sono responsabili della violenza minacciata”.
Per conto mio queste parole avevano chiuso allora il discorso del doveva aspettarselo, così come lo chiudono adesso. Una condanna a morte ufficiale e una scomunica sono due cose completamente diverse, e chi insiste ad assimilarle tradisce un grave pregiudizio: significa che assimila l’Islam alla barbarie, e che nessuna infamia proveniente dal mondo islamico lo sorprenderà mai, nemmeno se viene perpetrata per la prima volta e contro ogni logica. Perché non era mai accaduto, sapete, che il reato coranico di apostasia venisse addebitato a uno scrittore non musulmano per un romanzo pubblicato fuori dal mondo islamico. (E sarà bene chiarire anche questo diffuso equivoco: al momento della pubblicazione dei Versi satanici Salman Rushdie non era musulmano: era di educazione musulmana, ma non era credente, tanto è vero che in seguito, dopo la condanna, ed evidentemente condizionato da essa, si è convertito all’Islam. Perciò, oltre che sorprendente, quella condanna a morte è ridicola, proprio perché si è abbattuta su un gran numero di persone, Rushdie in testa, che non erano a nessun titolo sottoposte all’autorità islamica). Era accaduto che lo scrittore iraniano Ahmad Kasravi venisse ucciso a pugnalate in Iran da un gruppo di fanatici, ma fu un reato e non l’esecuzione di un’ordine del Presidente della Repubblica; e continua a accadere che libri considerati blasfemi siano banditi, o che i loro autori vengano fatti oggetto di intimidazioni e persecuzioni politiche. Ma mai era stata promulgata dalla più alta carica politica e religiosa del mondo islamico una condanna a morte transnazionale e transreligiosa come quella che ha colpito Rushdie e soci.
Veniamo adesso all’aspetto più strettamente letterario della questione, che vi riguarda più da vicino. I detrattori laici di Rushdie, quelli che, come Camon e Malerba, attaccano il suo libro pur deplorando la condanna a morte, hanno tutti impostato la loro critica sul piano della blasfemia, esattamente quello indicato da Khomeini (o da Sher Azam del Consiglio delle Moschee di Bradford, che dice in televisione “I libri non sono cosa per me” mentre parla per l’appunto di un libro). Questo è un grosso sbaglio. In troppi vi siete lasciati intrappolare dalla grande mistificazione predisposta dalle autorità islamiche, che con l’arma della ripetizione hanno conferito verità a una visione di quel romanzo assolutamente falsante e riduttiva. In realtà i Versi satanici non sono ciò di cui si è tanto parlato, sono un’opera infinitamente più complessa e articolata, riuscita o meno è da discutersi ma di sicuro estranea al misero contesto della “bestemmia” nel quale è stata confinata dai preti. E certo che “non è ragionamento, non è filosofia, non è analisi, non è psicologia”, come dice Camon: grazie tante, è un romanzo. Nessun romanzo è tenuto a essere questo. Era anche dovere vostro ristabilire senza riserve questa verità, e non l’avete fatto.
E siamo arrivati al punto fondamentale. I Versi satanici è un romanzo. Non avete riflettuto nemmeno su questo. Non l’avete fatto nemmeno dopo che su Nuovi Argomenti è stato pubblicato (N. 34, Aprile giugno 1990) un saggio di Ian McEwan che vi metteva sulla buona strada. McEwan dice: “L’inglese medio di solito non frequenta la chiesa, e si sente lontano da queste problematiche, tanto da non curarsi nemmeno di definirsi ateo; per farlo, è necessario sentirsi circondati da credenti. Ammettiamo che al nostro uomo venisse mostrato un libro di rivelazioni, direttive specifiche e divieti rigorosi noto come Il Corano, e gli venisse detto poi che la fonte di quelle parole non è Dio che parla attraverso Maometto, ma Maometto stesso, che da solo lo ha composto per sé e per i suoi seguaci. Probabilmente non troverebbe nulla da ridire; magari potrebbe anche considerarla una spiegazione sensata. E se poi scrivesse questa opinione su un pezzo di carta, ne facesse fotocopie e si mettesse a distribuirle in High Street, dubito che ci sarebbe un solo musulmano, in tutto il paese, che si prenderebbe la briga di cercarsi in tasca un fiammifero: i musulmani saprebbero che tale affermazione è falsa, e dunque indegna finanche del loro disprezzo”.
E poi dice: “L’idea di fondo del libro è un’eresia in sé poco significativa; la vera testimonianza contro l’intolleranza dell’Islam ne I Versi satanici è rappresentata dal metodo di Rushdie, e soprattutto dalla forma letteraria da lui scelta. Un attacco esplicito non avrebbe suscitato tutto questo scalpore; quel tipo di scritti, spesso di grande erudizione, viene semplicemente ed efficientemente messo al bando nei paesi musulmani. In questo caso, invece, il dissenso sta nel modo di narrare, nella celebrazione delle capacità dell’immaginazione, nella facoltà di accogliere e respingere voci, punti di vista, toni di voce; l’affastellarsi disordinato di personaggi inventati e personaggi storici; libertà, queste, certamente non tutelate nell’ambito della tradizione intellettuale islamica”.
Del resto lo stesso Rushdie, all’interno del suo romanzo, racconta di esseri demonizzati, alieni ed emigrati, rinchiusi in un sanatorio perché, dicono i loro aguzzini, “hanno la forza della descrizione e noi soccombiamo alle immagini che essi costruiscono“. Chi sono? E’ evidente, a questo punto, che non avete capito, voi intellettuali, in gran parte romanzieri, ciò che aveva capito perfino Khomeini: il danno che I Versi satanici può causare all’Islam dipende dal fatto che non si tratta di un’opera teologica o filosofica efficacemente confutabile: è un romanzo, cioè un mondo “altro” dove vige la più anarchica delle libertà, quella del rinominare senza confutare, quella pura e semplice del rappresentare. Ecco perché contro Rushdie, anziché la scomunica o la maledizione di Allah, è scattata l’extrema ratio della condanna a morte: ma come può esservi sfuggito, vi chiedo, il senso di questa condanna? Essa, se ricordate, è scattata subito, e con uno scopo preciso: far ritirare le copie del romanzo già in vendita nel Regno Unito, e bloccare l’uscita delle traduzioni già pronte ma non ancora distribuite. Sarebbe stata revocata -ricordate?- se Rushdie avesse ricusato il proprio libro e preteso (non si sa con quale diritto, ormai) la sua completa distruzione. Non si trattò di un provvedimento religioso, si trattò di un gesto politico d’emergenza (un ricatto), che tuttavia si trasformò in un boomerang poiché il romanzo non fu affatto ritirato, e grazie a quella macabra pubblicità le sue vendite si sono moltiplicate enormemente –infastidendovi. La condanna è rimasta in vigore ugualmente, e da allora Rushdie e parecchi altri sono in pericolo di vita, ma nemmeno se venissero uccisi uno per uno si eliminerebbe il danno che quel romanzo può recare al fondamentalismo islamico: il danno di liberare l’immaginazione di un musulmano fuori dal cerchio dell’ortodossia.
Ecco quello che avete completamente trascurato. Può essere che mi siano sfuggiti degli interventi in cui alcuni di voi queste cose le avevano già dette, ma anche se così fosse è evidente che non sono serviti a molto. Come forse non servirà a niente il mio, perché quando il mulo ha deciso di fermarsi lì non serve a molto una frustata in più. Detto questo mi associo alla vostra deplorazione della condanna a morte ancora in vigore su Rushdie, Ettore Capriolo e svariate altre centinaia di persone. Tra l’altro, è gratis.