Lo scorso 4 luglio è uscita la prima puntata di Chez Proust, un podcast di Ilaria Gaspari prodotto da Emons Record, con il supporto dell’Institut Français Italia. Le parole di Gaspari ci conducono alla scoperta, o riscoperta, della Recherche: un luogo di dialogo tra Italia e Francia sui temi che, come fiumi carsici, percorrono il capolavoro proustiano. E proprio per farci accomodare tra le pagine del romanzo più lungo del mondo, “Alla ricerca del tempo perduto”, la filosofa e scrittrice Gaspari interverrà a Rocksophia – il festival organizzato dall’Associazione Popsophia a Civitanova Marche, in programma dal  29 al 31 luglio 2022 – per analizzare la “poetica del passato”. La serata del 29 luglio, che verrà Ilaria Gaspari sul palco dell’Arena Varco sul Mare alle ore 21.30, sarà infatti un omaggio al grande autore francese nel centenario della sua morte e un incontro per tutti i suoi lettori.
Lettori che, come viandanti, entrano nella narrazione di Chez Proust chiacchierando di tutto ciò che sta intorno al romanzo-montagna. Qui su Minima et Moralia, per chi ancora non ha ascoltato il podcast e per chi attende l’appuntamento di Rocksophia, abbiamo oggi l’occasione di scendere in questa narrazione attraverso le parole che l’autrice ha dedicato alla prima puntata.

di Ilaria Gaspari

“Questo romanzo è come un levriero sguinzagliato alla ricerca della verità”, ha scritto Giovanni Macchia di Alla ricerca del tempo perduto. E la verità inizia a cercarla nel paese che tutti abbiamo conosciuto, il paese di cui, da un certo momento in poi, siamo condannati a essere per sempre esuli, banditi. 

Proust è uno dei rari autori per i quali la lingua dell’infanzia non è mai diventata una lingua straniera.

L’infanzia per lui è un luogo dell’anima; ma è, soprattutto, un luogo fisico. Dalla parte di Swann comincia, lo sappiamo tutti, con un biscottino panciuto inzuppato in una tisana di tiglio che risveglia uno sbrigliarsi di associazioni sensoriali: e non è un caso che a innescare tutto sia proprio l’esperienza del gusto, un senso da cui non ci possiamo schermare come, per esempio, dalla vista. 

Ecco: nel momento in cui il Narratore puccia la madeleine nella tisana di tiglio si ritrova catapultato in un luogo molto preciso. L’infanzia, che ha un nome di luogo: Combray, il titolo della prima parte del primo volume. È il nome di una città che non esiste, o meglio: ora è il secondo nome di una città che esiste nel centro della Francia, nel dipartimento del Centro-Valle della Loira. Lì, Jules e Elisabeth Amiot, zii paterni di Marcel, avevano una casa, dove d’estate ospitavano la famiglia di Adrien Proust, il papà medico di Marcel. Ed è lì, nella casa degli zii, che scorrono le lunghe estati di Marcel Proust bambino. 

La Combray del romanzo ricalca in una toponomastica quasi onirica i contorni della cittadina di Illiers, oggi Illiers-Combray, dove un museo ricorda il bambino che lì trascorreva l’estate ed era destinato a trasformare quelle estati nell’esperienza assoluta del sentire l’infanzia. 

Le lunghe giornate di quelle estati sono fondazioni ideali del suo io letterario; la cui condizione di possibilità sta proprio nella continuità che lo scrittore adulto riesce a mantenere con il sé stesso bambino. 

Ecco: tutta l’enormità del bisogno di un bacio della buonanotte dalla mamma, i paesaggi che affollano i dintorni di Combray, la figura battagliera della nonna; tutti questi piccoli assilli, che assumono una forza gigantesca nel primo volume, erano presenti nella fantasia e nell’immaginario di Marcel già da ben prima che si mettesse a scrivere Alla ricerca del tempo perduto.

La prova sono 75 pagine, imperfette e frammentarie se paragonate alla perfezione formale della Ricerca; un primitivo nucleo della RTP, risalente al 1908, ritrovato da Bernard de Fallois e poi sparito all’inizio degli anni ’60. I fogli sono saltati fuori di nuovo, probabilmente proprio dall’archivio Fallois, nel 2018. Usciti in Francia per Gallimard e da poco anche in Italia per La Nave di Teseo (traduzione di Anna Isabella Squarzina, a cura di Daria Galateria), raccontano il persistere di un’ossessione. E, ha scritto Mariolina Bertini, leggerli è come guardare una fotografia infantile della persona di cui ci siamo poi innamorati: si indovinano subito i tratti che abbiamo conosciuto e imparato ad amare. Come la scena del bacio della buonanotte.

La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi nel corridoio a doppia porta trascorreva il lieve fruscìo della sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Esso era il preannuncio di quello che sarebbe seguito e nel quale lei mi avrebbe lasciato, sarebbe ridiscesa. E così, quella buonanotte che amavo tanto, mi spingevo sino ad augurarmi che arrivasse il più tardi possibile, perché si prolungasse il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. 

(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto 1, Dalla Parte di Swann, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano. Traduzione di Giovanni Raboni, A cura di Luciano De Maria. Pagg. 91-92). 

Questi sono i primi rudimenti dell’educazione del Narratore al desiderio e alla sofferenza, all’attesa e al dolore. 

Nell’infanzia raccontata dalla Recherche c’è una permanenza del tempo infantile, il tempo delle letture, il tempo in cui ci si aspetta dagli altri che i nostri desideri siano esauditi o ignorati, il tempo in cui non si ha niente di preciso da fare; il tempo in cui si abita sé stessi, più profondamente che mai. 

In un certo senso, questo tratto è legato anche a un dato di fatto innegabile: che romanzo sia così lungo da richiedere a chi lo legge di investire tanto del suo tempo. Alla ricerca del tempo perduto è un libro che costringe a vivere un’esperienza di lettura immersiva, come accadeva forse solo nell’infanzia. E proprio per questo acquista un potere simile a quello della lanterna magica che viene accesa per il Narratore bambino a Combray: proietta immagini di un tempo che non esiste più, all’infinito, su pareti che sono le pareti delle nostre stanze di lettori. 

La contiguità tra la vita e la letteratura si situa fra le storie raccontate dai vetri colorati e la vita che infonde alle loro storie il bambino che le osserva con un’angoscia profondissima, che lo spinge però, proprio per la sua violenza, a cercare il sistema per rendersi sopportabili queste notti che non riesce a sostenere. L’infanzia fa da collante tra vita e letteratura perché è un’età in cui ogni esperienza è enorme; e il fatto di dipendere da giudizi e scelte degli adulti diventa questione di vita o di morte per il bambino e la sua sensibilità, che nel caso del piccolo Proust è – forse – addirittura un po’ morbosa, ma ha sempre qualcosa di anarchico, di assoluto; incapace di piegarsi, di risolversi a concedere sconti.

Nell’infanzia abbiamo un rapporto con il tempo che ci dimentichiamo, poi, da adulti: l’infinità delle sere in cui aspettiamo che qualcuno salga a darci un bacio e non arriva nessuno, e noi dal letto in cui dovremmo dormire sentiamo le voci e le risate, il tintinnio dei bicchieri della cena dei grandi, giù, in giardino. 

Da adulti dimentichiamo quell’intensità – a meno di non essere Proust. Ovvero un adulto speciale, un adulto-bambino capace di ribaltare la prospettiva della relazione con il tempo e riconoscere all’infanzia un primato. Per esempio, quando scrive che “non esistono giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto tanto pienamente come quelli che abbiamo creduto di non vivere, e che abbiamo trascorso in compagnia di un libro prediletto”. 

Un libro così compare, in effetti, dentro la Recherche; l’ha scritto George Sand, che si firmava con uno pseudonimo maschile, e di cui Flaubert ebbe a dire “bisogna averla conosciuta bene come l’ho conosciuta io per sapere quanta femminilità ci fosse in quel grande uomo”. 

Il libro è Francois Le Champi: la storia di un trovatello (Champi) adottato da una mugnaia che di nome, guarda caso, fa Madeleine e che finirà per amarlo teneramente, pur essendo sposata con un altro uomo. 

È significativo che questo libro, che racconta un amore semi-incestuoso, compaia per la prima volta dentro il racconto di una delle notti insonni dell’infanzia del Narratore: una notte in cui genitori hanno deciso inizialmente di non andare incontro alla sua richiesta del bacio della mamma, ma poi si sono accorti della sua disperazione eccessiva e hanno deciso di cedere. La mamma torna, e lui scorge, in questo suo arrendersi al desiderio di averla con lui almeno per un po’, una resa che lo addolora molto più di quanto non l’avrebbe addolorato il rifiuto di tornare da lui. E conosce, così, il potere perverso del desiderio: trasformare gli altri in creature che obbediscono a quello che vogliamo per evitarci un dolore. Un meccanismo che sarà all’opera nei romanzi in cui racconta i suoi amori adulti. 

Proprio quella notte, la mamma gli legge, per distrarlo, uno dei libri che la nonna ha comprato per lui. 

La mamma si sedette accanto al mio letto; aveva preso François le Champi, cui la copertina rossastra e il titolo incomprensibile conferivano ai miei occhi una personalità spiccata e un fascino misterioso. Non avevo ancora letto nessun vero romanzo. Avevo sentito dire che George Sand era l’archetipo del romanziere. Questo mi disponeva, a priori, a immaginare in François le Champi qualcosa d’indefinibile e di delizioso. […] L’azione prese avvio; e mi parve tanto più oscura in quanto allora, leggendo, io mi perdevo spesso, per pagine intere, dietro tutt’altro. E alle lacune che questa distrazione apriva nel racconto si aggiungeva il fatto che la mamma, se era lei a leggermi ad alta voce, saltava tutte le scene d’amore. Così, tutti i bizzarri mutamenti che si producono nell’atteggiamento reciproco della mugnaia e del ragazzo, e che non trovano spiegazione se non nei progressi di un amore nascente, mi apparivano improntati a un profondo mistero la cui scaturigine io mi figuravo volentieri dovesse trovarsi in quel nome sconosciuto e così dolce, “Champi”, che gettava, sul fanciullo che lo portava senza che io ne sapessi la ragione, il suo colore vivo, imporporato e incantevole. Se mia madre era una lettrice infedele, era d’altra parte, per le opere nelle quali ritrovava l’accento d’un sentimento vero, una lettrice mirabile per il rispetto e la semplicità dell’interpretazione, per la bellezza e la dolcezza del suono.

(pagg.121-122). 

François le Champi, il romanzo dell’iniziazione al desiderio e al romanzesco, il Narratore lo scoverà infine nella biblioteca dei Guermantes, nell’ultimo volume, Il tempo ritrovato, e gli farà un effetto stranissimo: come ritrovare, sotto mentite spoglie pubbliche, qualcosa che è stato solo suo, qualcosa che ha riguardato soltanto lui. Tanto che sarebbe capace di parlarne durante un pranzo mantenendo un punto di vista quasi asettico, ma questo non cancellerebbe il fatto che, in realtà, quel libro per lui ha un significato talmente irripetibile che si paragona al figlio di un padre che abbia servito la patria e venga onorato al funerale da un reggimento: in quel momento di celebrazione pubblica, stenterà a riconoscerlo. 

Qui è la rivelazione cruciale: l’esperienza dell’infanzia, con tutta la sua indomabile unicità, si trasforma in un dolore implacabile, nato precisamente dalla perdita di quell’unicità. 

Da bambini pensiamo al singolare: singolari sono tutte le cose che ci riguardano – la mamma, il papà, la casa, Combray o il nome del posto dove passavamo le nostre estati di bambini, che diventa un sinonimo dell’estate stessa… Ma ecco: crescendo ci rendiamo conto che quei singolari sono soltanto una manciata di singolari possibili, nella marea infinita di plurali che accomunano le nostre esperienze a quelle degli altri. 

Forse soltanto Proust è riuscito a mantenere la specificità di questa esperienza, facendole assumere proporzioni quasi ossessive.

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1 commento

  1. ho letto l articolo e come dice l articolo non si può conoscere e aprezzare Prost se non si ha voglia e tempo di farlo. Quindi.. non ci rimane che leggere qualche buon articolo che ci parla di lui del suo essere e scrittore. Questo mi sembra un buon articolo.

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