Così fan tutti 1974-1983. Ma chi sono questi ‘tutti’?
Nell’arco di oltre un decennio, a partire dal 1974, la comunicazione pubblicitaria del liquore Jägermeister si è proposta sui periodici italiani con una strategia pubblicitaria profondamente innovativa. Ideata originariamente dall’agenzia GGK Düsseldorf per il mercato tedesco, la campagna viene importata in Italia a opera della GGK Milano e su commissione dell’imprenditore Karl Schmid di Merano. Sui principali rotocalchi e quotidiani nazionali appaiono pagine pubblicitarie caratterizzate da ritratti fotografici di gente comune abbinati a headline profondamente ironiche che cominciano con Bevo Jägermeister perchè. Inoltre, in linea con la Unikat Kampagne tedesca, ogni soggetto è pubblicato una sola volta, su una singola testata.
La mostra Così fan tutti. 1974 – 1983, curata da Michele Galluzzo e Stefano Riba e organizzata dalla galleria bolzanina Foto Forum, fa luce per la prima volta su questa storia presentando oltre 1300 ritratti provenienti dagli archivi fotografici di due tra i protagonisti della campagna: Jean-Pierre Maurer, unico fotografo ufficiale del battage per tutta la sua durata, e Giusi D’Orsi, l’art buyer incaricata dalla GGK per la ricerca dei “testimonial qualsiasi”.
Tanto la mostra quanto il catalogo ad essa collegato (pubblicato da Skinnerbox) permettono di ricostruire, per la prima volta, la storia di oltre dieci anni di annunci pubblicitari Bevo Jägermeister perché, di analizzare il suo dialogo con la società italiana a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta e di riflettere sul significato, sempre più attuale, del mostrarsi pubblicamente.
Di seguito, proponiamo un estratto dal saggio a cura di Michele Galluzzo contenuto nel catalogo.
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«Chi sono questi ‘tutti’?»
L’evoluzione della Società da Ricevente a Comunicante nella campagna Così fan tutti
di Michele Galluzzo
L’utente finale è sempre stato un pensiero fisso, una preoccupazione ricorrente nella costruzione della comunicazione pubblicitaria fin dai suoi albori. Quando nasce la campagna Così fan tutti, in Italia si sta consumando un dibattito interno al settore pubblicitario che, tra le varie questioni nodali, tocca anche il rapporto tra messaggio commerciale e pubblico. Da una parte i graphic designer italiani, che fino agli anni Sessanta erano stati i custodi indiscussi di una comunicazione commerciale autoriale e incentrata sulla sperimentazione visiva, accusavano la pubblicità d’agenzia di abbassarsi al livello dell’utente finale, assecondando pedissequamente le ricerche di mercato e cadendo spesso nel cattivo gusto. Sul fronte opposto le agenzie marketing oriented di matrice anglosassone criticavano la pubblicità dei grafici considerandola inefficace, criptica, elitaria e connotata dalla presunzione di educare l’utente finale al buon gusto.
Nel contesto italiano comincia a penetrare un modo differente di fare pubblicità, che, facendo tesoro dell’approccio della Creative Revolution statunitense, propone un nuovo modo di relazionarsi al pubblico, usando un linguaggio più ironico, meno assertivo e includendo il mondo reale dell’utente finale tanto attraverso i testi quanto attraverso l’apparato visivo dominato dalla fotografia. Si arriva a parlare addirittura – parafrasando Umberto Eco – di campagne pubblicitarie ‘aperte’, campagne cioè, che non puntano più solo su sperimentazioni visive da ammirare o su martellanti slogan assertivi hard selling, ma che prevedono e auspicano un’interazione concreta con l’utente finale nello spazio di una pagina, di un manifesto, di uno spot. La GGK Milano era parte attiva di questo nuovo fermento creativo, e la campagna Jägermeister finisce per incarnare pienamente questo nuovo paradigma, innescando un dialogo costante con il pubblico di fruitori e ponendo al centro della pagina ritratti fotografici di gente comune.
[Ogni] persona che appare nella nostra serie di annunci diventa famosa esattamente per quindici minuti, il lasso di tempo medio che impiega un lettore per capire un annuncio Jägermeister.
Questo testo compare sulla pubblicità a stampa nella quale a inizi anni Ottanta viene presentata Giusi D’Orsi come la persona che sceglie i volti degli annunci Jägermeister. Nell’annuncio l’art buyer D’Orsi ha in mano la bottiglia del liquore e la macchina fotografica istantanea Polaroid, necessaria a realizzare una prima selezione di personaggi per strada. Ciò che emerge subito da questa pagina stampata è il riferimento alla nota profezia di Andy Warhol sui quindici minuti di notorietà che sembra trovare, nella unikat Kampagne, una concretizzazione quasi letterale. Detto ciò, se il payoff con cui la campagna si presenta in Italia è Così fan tutti, chi sono gli oltre millecinquecento ‘tutti’ che comparivano sulle sue pagine garantendosi quindici minuti di celebrità?
Per provare a dare una risposta a questo interrogativo bisogna anzitutto comprendere le modalità con cui la campagna viene progettata e fruita per circa tredici anni. I fattori che la connotano possono essere riassunti in due punti: la strategia che prevede il coinvolgimento della gente comune come protagonista dei singoli annunci, e la pianificazione e distribuzione delle pubblicità, anzitutto attraverso la stampa periodica. La scelta delle riviste e dei quotidiani come veicolo preferenziale per la diffusione della campagna è giustificata dalla necessità di produrre annunci sempre differenti a ritmi serrati e incontra un momento di profonda crescita del mercato dell’editoria periodica che in Italia, a metà degli anni Settanta, raggiunge percentuali record.
Gli annunci Bevo Jägermeister perchè vengono diffusi principalmente attraverso periodici a distribuzione nazionale e riviste settimanali a larga diffusione, di attualità, costume e cronaca, tra le quali “La Domenica del Corriere”, “Gente”, “L’Espresso”, “Oggi”, “Panorama”, “Playboy”, “Radiocorriere TV”, “TV Sorrisi e Canzoni”, riuscendo a comunicare con un pubblico estremamente ampio e variegato. La campagna innesca un dialogo talmente proficuo con l’editoria periodica, da diventare nel corso degli anni un appuntamento fisso, come le rubriche, le vignette, i reportage o i contributi giornalistici più in generale.
Negli anni Settanta in Italia, quando si pensava ai pubblicitari e al loro potere nei confronti dell’utente finale, si ricorreva di frequente all’identikit dei ‘persuasori occulti’ tracciato da Vance Packard nel 1957, evidenziando il ruolo assunto dalla pubblicità nella costruzione di una società capitalistico-consumistica. Nel 1975, l’anno successivo all’avvio della campagna Jägermeister, il pubblicitario Gian Paolo Ceserani pubblica il saggio I persuasori disarmati con il quale tenta di sfatare proprio la visione packardiana della pubblicità come ‘persuasione occulta’. Nel volume edito da Laterza, Ceserani dimostra come la società stia cambiando contemporaneamente al mutare delle strategie pubblicitarie, evidenziando il dialogo costante tra Società Ricevente – la gente comune – e pubblicità in particolare all’interno dell’editoria periodica.
Secondo l’autore, i pubblicitari sono attenti lettori di giornali dai quali traggono, oltre a spunti utili per la progettazione degli apparati testuali e visivi, immaginari e modelli di riferimento che successivamente riverberano nella propria comunicazione commerciale. L’editoria periodica come strumento per indagare e per interagire con gli utenti finali, quindi. Se già Umberto Eco, ne La struttura assente, sostiene che la pubblicità «si avvalga per lo più di soluzioni già codificate» dall’opinione pubblica, Ceserani cerca di dimostrare quanto la pubblicità finisca per essere addirittura in ritardo rispetto ai mass media nell’intercettare i modelli proposti dal pubblico.
La pubblicità, infatti, non fa altro che ‘consacrare’ alcuni modelli già accettati all’interno dei mass media, quindi anche dalle riviste periodiche. «Nello stesso momento in cui fornisce consacrazione, la pubblicità si appropria di mode, tendenze, modelli. […] [Nel] momento in cui si appropria, la pubblicità restituisce, ha cioè effetto di ridondanza, di eco sociale: contribuisce ad allargare i fenomeni di cui si è nutrita perché li getta di nuovo nel calderone da cui attinge la Società Ricevente. […] Possiamo adesso definire la posizione del pubblicitario all’interno di questa società […] [come di] autentica ‘spia’ di tic, nevrosi, manie collettive, mode, atteggiamenti, linguaggi: non è certamente più, secondo la definizione di Packard, un persuasore occulto: è ormai un autentico voyeur occulto.»
Inoltre, mentre i pubblicitari attraverso giornali, rotocalchi e quotidiani ‘spiano’ la Società Ricevente, quest’ultima filtra, ‘elabora’, ‘lavora’ e ‘rumina’ le proposte provenienti dai produttori, dai media e dalla pubblicità. Per quanto il pubblico riceva i messaggi pubblicitari e i modelli proposti da essi, esso è ormai capace di scegliere attivamente i propri modelli di riferimento, di bocciarli o di proporne di nuovi alternativi rispetto a quelli derivanti da mass media e pubblicità.
La tesi sostenuta da Ceserani smentisce la visione gerarchica del rapporto società/pubblicità e mass media, preferendo invece una rappresentazione dei rapporti, se non ribaltata, quantomeno paritaria. «[Le] comunicazioni di massa che dovrebbero indurre al consumo, e la società dei consumatori […] non sono più ordinate fra di loro verticalmente, in rapporto di vertice e di base, ma interagiscono, si influenzano, si condizionano vicendevolmente. Si sostiene che la società dei consumatori […] è ormai in grado di produrre propri bisogni e consumi […] al di là delle intenzioni, e anzi dei voleri, della Società dei Produttori e […] [della] pubblicità.»
A testimonianza dello sfrangiamento e ribaltamento dei ruoli tra agenzia pubblicitaria e pubblico, va considerato che, in alcuni casi coevi alla campagna avviata dalla GGK Milano, quella che Ceserani chiama Società Ricevente sia stata capace di appropriarsi della struttura, del linguaggio, della strategia e della grafica presente negli annunci, per comunicare messaggi di varia natura. Su Internet è possibile trovare un riferimento a una curiosa scritta murale comparsa sulle strade di Roma nel corso della campagna che, parodiando gli headline della unikat Kampagne, sosteneva: Bevo Jägermeister perché spero che tra 56 erbe ci sia anche la marijuana. Al di là della gente comune sono gli stessi creativi ad appropriarsi della campagna e a replicarla, sfruttandone la popolarità. Nell’ottobre 1982, per esempio, la coppia composta dall’illustratore Tullio Pericoli e dal copywriter Emanuele Pirella firma una vignetta sul settimanale “L’Espresso” – per la rubrica Sorrida, prego – nella quale l’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, raffigurato con bottiglia di Jägermeister e bicchiere tra le mani, affermava: Bevo Jägermeister perchè ho un dissidio interiore. Un altro caso piuttosto controverso riguarda una campagna di pubblico interesse a favore sterilizzazione maschile. Gli annunci prodotti per l’associazione As. Ster. da un team composto da tre professionisti presentano uno sportivo, un motociclista e un prete fotografati a mezzo busto su un fondo scuro, i quali confidano i motivi per cui scelgono di farsi sterilizzare con un headline virgolettata composta in carattere Futura a epigrafe.
Questi fenomeni che mostrano la campagna vivere di vita propria, al di là delle strategie iniziali contemplate dall’agenzia e degli intenti commerciali pianificati dall’azienda produttrice, possono essere considerati come casi di meme. La ‘memificazione’ della campagna coincide anche con l’idea di ‘campagna aperta’ perseguita dalla nuova stagione della pubblicità creativa, di una campagna, cioè, che – come si legge sulle pagine della rivista “Linea grafica” nel marzo-aprile 1975 – «fornisce elementi che ciascuno può usare per fabbricarsi il messaggio da solo.»
Il riverberarsi della campagna sotto forme differenti, può essere letto come una prova, sia della penetrazione della serie Così fan tutti nella cultura popolare italiana, ma anche come una testimonianza del fatto che la Società Ricevente sia capace di impossessarsi del tono e del lessico della campagna, riproponendoli in contesti e secondo modalità differenti. Il pubblico, infine, conferma l’atteggiamento attivo riconosciutogli da Ceserani, vestendo i panni di lettore e di autore del messaggio a seconda delle circostanze.
Alla luce di queste considerazioni la campagna Così fan tutti può essere letta non solo come un tentativo da parte dei pubblicitari di portare al centro della loro comunicazione la gente comune, ma anche una cartina al tornasole dell’evoluzione del rapporto tra pubblico e pubblicità, tra Società Ricevente e Società Comunicante. Tutti possono considerarsi Società Ricevente e, al tempo stesso «la Società Ricevente è anche, in molti casi, proprio Società Comunicante».
Ceserani, a cui fin qui si è fatto ricorso per analizzare la campagna Jägermeister, nel 1988, all’interno volume Storia della pubblicità in Italia, rimarca il concetto di ‘pubblicità come specchio’ della società. Nella ricostruzione storica del fenomeno pubblicitario italiano – nel quale trova posto anche la campagna della GGK Milano con i ‘testimonial qualsiasi’ – l’autore riflette sull’apporto della pubblicità, in particolare quella creativa, nell’includere gli utenti finali all’interno della comunicazione e sul tentativo costante delle agenzie di mettersi in contatto con le ‘vibrazioni sociali’. Nel saggio l’autore individua, proprio nell’avvento degli anni Settanta, un momento di cambiamento nei rapporti tra comunicazione commerciale e pubblico, notando come fino a quel momento la gente comune fosse stata esclusa dalla pubblicità perché «almeno fino agli anni Settanta, era esclusa dal consumo».
L’inclusione della gente comune nella comunicazione ironica proposta dalle agenzie pubblicitarie creative come la GGK Milano coincide con la rapida evoluzione dell’economia e dei consumi in Italia e in gran parte del mondo occidentale. La svolta creativa, espressa pienamente dall’ironia e dall’eterogeneità di soggetti fotografati dalla campagna Jägermeister, rappresenta forse il miglior modo per raccontare questo cambiamento economico e sociale. Infatti, la serie di ritratti promossa da Jägermeister rivela anche il tentativo da parte della pubblicità di assecondare e includere una nuova soggettività consumistica, fondata sull’auspicio che i beni di consumo possano permetterti di essere ciò che sei. La campagna Bevo Jägermeister perché, nella gran parte dei casi caratterizzata dalla presenza di un solo individuo per annuncio pubblicitario, racconta bene l’Italia del riflusso che, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, stava prendendo le distanze da ideologie collettiviste a favore di un ripiegamento nella sfera del privato. In questo senso, i ‘tutti’ di Così fan tutti, oltre a essere i testimoni di una società che era ormai capace di essere sia Ricevente che Comunicante, erano anche protagonisti di una società che stava cambiando rapidamente. Quindici minuti alla volta.
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Così fan tutti. 1974 – 1983
A cura di: Michele Galluzzo, Stefano Riba
Vetrina: Foto Forum, via Weggenstein 3F, Bolzano
Affissione pubbliche: Bolzano
Instagram: @foto_forum
Data: 27 aprile 2021 – 22 maggio 2021
Catalogo: Skinnerboox – Foto Forum
(In copertina: i manifesti della mostra Così fan tutti. 1974-1983 sui muri di Bolzano. Fotografia: Samira Mosca)