Di questo invece devi avere paura
Io sono un uomo come te
Battiato – Serial Killer
4.
Il gioco di specchi e ribaltamenti, tanto caro a Carroll, è uno degli elementi distintivi della scrittura di F. I. In Fai ciao lo ritroviamo anche nel modo in cui viene trattata la morte. Una morte presente in tutto il testo, ma allo stesso tempo assente. In Per una tomba senza nome Onetti costruisce il romanzo a partire dalla sepoltura misteriosa di un capro, animale e non essere umano. La sepoltura è un momento di catarsi e nello straniamento di veder calare sotto terra il manto bianco di un vecchio capro Onetti spinge la narrazione su binari pronti a deragliare. In Fai ciao di tombe potrebbero essercene due, ma nessuna di queste compare nella storia. La tomba possiede un simbolismo evidente e giocare con questo simbolo può offrire orizzonti narrativi imprevisti. A conferma della bontà della scelta di F. I. cito Cortazar il quale scriveva, in una lettera contenuta nel volume Così violentemente dolce, che non avrebbe parlato della lapide perché sapeva bene che non aveva bisogno di farlo. E così F. I. è consapevole che non c’è alcun bisogno di farci vedere il luogo esatto nel quale vengono seppellite l’adolescenza, l’amore e forse la lucidità di Samuel, non è necessario portarci sul metro quadro di terra umida dal quale nascono le schizofrenie del protagonista che da quel momento in poi si scinde in una doppia presenza: reale e immaginaria, arrivando a collaborare con un se stesso immaginifico per realizzare la sua vendetta. Arabella, unica confidente del protagonista, unico soggetto parlante al quale F. I. concede l’uso del discorso diretto, esiste e allo stesso tempo non esiste. È reale in parte, ma è in parte creazione della mente provata di un figlio che ha appena perso un alleato fino al quel momento troppo poco apprezzato. Mi torna in mente il discorso di Sorrentino durante la premiazione della 78esima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e le sue lacrime nel momento in cui la memoria lo ha riportato al funerale del padre. Nello specifico c’è un dettaglio che mi è rimasto impresso. Il regista ricorda l’assenza di quasi tutta la sua classe, per volere della dirigenza scolastica che non aveva rilasciato ai compagni il permesso di assistere alla cerimonia. Quella solitudine Sorrentino non deve averla mai dimenticata e la scena in cui Samuel è solo in Chiesa, accanto a una madre per niente sofferente, è esplosa in tutta la sua potenza. Quanto ci devasta la morte? Quanto invece la solitudine di un dolore che non interessa a nessuno? Che non viene nobilitato, non viene ascoltato, non viene riconosciuto? Samuel non può elaborare il lutto, la reazione violenta è una normale conseguenza di fronte a tanta indifferenza.
3.
Se in questo romanzo l’aspetto centrale non è la storia, ma la forma, è evidente una predominanza del come sul cosa. A tal proposito in molti sostengono che quando si scrive una storia l’importante non è cosa si racconta, ma come lo si racconta. La crisi di una famiglia non è un evento inusuale, la separazione di due genitori non è una storia nuova, per cui F. I. si concentra sulla forma, fatta di stile e di struttura. Ma il romanzo di F. I. è figlio di una lingua scarna perché costruita su un protagonista giovane, di poche parole, per niente loquace e probabilmente troppo preso per concentrarsi sull’elaborare una narrazione linguisticamente di spessore. La camera da presa è così stretta sul protagonista che la terza persona non ha quasi nessuna autonomia, neppure lessicale. Allora dove non può lo stile in Fai ciao tutto deve essere sacrificato sull’altare della struttura e non è un caso se le scene più efficaci sono proprio quelle in cui le cose accadono, le azioni sono costruite in modo che i personaggi parlino senza dover aprire bocca, a pochi metri di distanza nella stessa casa, con una gestione attenta degli spazi e delle parole. Le frasi spezzate e i difetti di memoria del protagonista, perché lo zoom è costantemente su Samuel, restituiscono la sensazione di un romanzo che tenta di rispettare il dolore degli eventi e la confusione dei diretti interessati. Nonostante si intuisca ciò che accadrà, F. I. è stato in grado di disseminare sufficienti punti d’ombra che lasciano al lettore il compito di completare la storia. L’effetto finale è quello di desiderare vendetta per tutte le adolescenze perdute. E l’autore accontenta il lettore più affamato. Affamato come è affamato il mostro, o i mostri della storia. Anche nella concezione di mostruosità il romanzo ribalta la lettura tradizionale seguendo, forse in modo inconsapevole, il filone aperto da Orchi di Nicholls che sposa la prospettiva di quelli che sono sempre stati considerati i cattivi e spinge il lettore a empatizzare con loro. Samuel non è un ragazzo innocente, ma poco importa. Rimanendo ancora nel campo del fantasy, e parafrasando una famosa frase di Albus Silente, sono le scelte che decidiamo di non compiere a determinare chi siamo. Samuel però decide, sceglie e per questo diventa uno dei mostri ma non si può non fare il tifo per lui, seguire l’odore di sangue, bramarlo fin dalla prima pagina, quando il protagonista accarezza quasi con lussuria il filo di un coltello. Geniale dimostrazione del grande lavoro preliminare di costruzione della storia da parte di F. I. è il ruolo del coccodrillo, piccolo gioiello nascosto nelle ultime pagine del romanzo, che ribalta la tesi di Lacan secondo la quale ogni madre, per quanto amorevole, desidera fagocitare i proprio figli. Una madre coccodrillo che mangia i propri figli in questo romanzo si ritrova davanti a uno specchio mortale. Tutto quello che siamo soliti immaginare come A diventa non A e F. I. si diverte a toglierci ogni punto di riferimento.
2.
Lasciando da parte gli aspetti puramente strutturali, concentriamoci sulla storia in sé, su quel che accade. Fai ciao è un romanzo familiare e di formazione, ma entrambe le definizioni andrebbero ribaltate: la famiglia non è il porto sicuro che siamo abituati a immaginare e la formazione del protagonista, un adolescente taciturno come tanti, è in realtà un processo di deformazione, di distruzione. Moravia scriveva ne Gli indifferenti che per cambiare bisognava prima distruggere senza pietà e questo è ciò che accade nella scrittura di F. I. Al protagonista in poche pagine viene portato via tutto e lo shock di vedere il proprio mondo a pezzi ha delle conseguenze difficili da immaginare. Sempre Moravia diceva a proposito dei suoi lavori che la colpa e il merito è soprattutto della borghesia e tale affermazione vale identica per questo romanzo. Fai ciao racconta la vita di una famiglia borghese che più borghese non si può, di un padre in carriera che trascorre intere giornate lontano da casa, di una madre narcisista e incapace di amare, di un figlio che odia tutti prima di accorgersi di non riuscire a vivere senza il padre. Una famiglia che potrebbe essere felice e invece non riesce a godere di nulla. Una struttura che può esistere soltanto in una narrazione borghese, perché borghese è il contesto, borghese è la mentalità dei personaggi. In questa classica dinamica familiare il narratore sembra essere clemente e sposare in parte la prospettiva del giovane protagonista che salva il padre e condanna la madre, ma non mi pare di individuare santi in questa storia: l’insoddisfazione è padrona delle vite e tutti sono così infelici che non si può fare a meno di seguire con una certa frenesia il percorso a ritroso nella mente del protagonista. Lo incontriamo che punta il coltello alla schiena delle madre, che vorrebbe ucciderla e poi torniamo indietro con lui fino al momento scatenante di tanta rabbia, al pretesto che scatena tutto. Una scelta quella di F. I. che mi ha fatto riflettere: in effetti, negli attimi che precedono una decisione definitiva, estrema, importante ho sempre l’impressione che il mio cervello proceda indietro nel tempo alla ricerca della ragione prima che mi ha spinto a tale punto di svolta. Tornando nel momento di rottura, rivivendo la crisi è possibile prendere la propria decisione con maggiore fermezza. Un atleta prima dell’ultima performance ripensa agli allenamenti, agli inizi, torna indietro ad assaporare la determinazione che l’ha portato fin lì. Un omicida torna indietro nel tempo fino al momento esatto in cui per la prima volta ha immaginato di uccidere, al sentimento che ha provato, a ciò che ha visto, sentito, toccato per arrivare a ipotizzare quella scelta. Così F. I. inizia a raccontare partendo dalla soglia di una fine senza appello e ci riporta indietro per comprendere, sentire, elaborare insieme al protagonista le ragioni di tale gesto estremo. Anche i ragazzini hanno i ricordi e questi possono essere terribili, la memoria non è un privilegio degli adulti, ma un’arma che può colpire chiunque. Partire un attimo prima della fine ci regala la certezza che qualcosa di terribile accadrà, resta soltanto da capire come.
1.
Con Flavio Ignelzi, da qui in avanti F. I., condivido grosso modo l’area geografica di provenienza e l’area di studio, ma lui è un ingegnere credente e praticante – per questa ragione ha tutta la mia stima e compassione. Citare questi due aspetti biografici dell’autore non è un capriccio che, ben inteso, in quanto recensore potrei prendermi senza giustificazioni, ma un importante punto di partenza: nella scrittura di F. I. è quasi del tutto assente quella cosiddetta componente napoletana che sembrerebbe essere fondamentale per ogni autore campano, anche per quelli nati a 100 km dal capoluogo. Se ne riscontra una traccia nella malinconica ironia di alcune frasi, poco altro. Mentre è molto presente la forma mentis da ingegnere, quella tendenza alla costruzione di infrastrutture labirintiche ma perfettamente logiche. Senza scomodare OuLiPo, Perec, Calvino o Roubaud non sbaglieremo a inserire F. I. in quella categoria di scrittori che nell’eterno dibattito tra stile e storia scelgono la struttura. Quindi non uno scrittore di stile né uno scrittore di trama, bensì uno strutturalista. Nel primo romanzo, così come in Fai ciao (Alessandro Polidoro Editore, 2021), il gioco con la struttura del testo pare non tanto un pretesto quanto il tentativo di rielaborare dei contenuti altrimenti banali. La forma diventa necessaria per la riuscita del testo. F. I. sceglie di disegnare un’architettura originale che ben si adatta a quello che è il contenuto della narrazione, fino a sembrare addirittura un messaggio in codice che il lettore potrebbe interpretare per rispondere alle domande in sospeso. L’idea strutturale è quella di ribaltare la classica consecutio del noir per inserire ben quattro flashback l’uno dentro l’altro, lasciando poi il finale al suo posto. Una scelta coraggiosa che risulta vincente e probabilmente obbligata: F. I. non ha tra le mani una storia nuova e sposa una lingua coerente con l’età del protagonista ritrovandosi a dover puntare tutto sulla struttura del romanzo che risucchia il lettore indietro nel tempo ponendo così, l’uno accanto all’altro, inizio e finale. La fine e l’inizio non sono mai stati così vicini. Mckee e Genette hanno dedicato pagine e pagine alla descrizione dell’analessi, delle sue potenzialità e ai rischi che una narrazione che fa troppo affidamento su tale espedienti può andare incontro. Inoltre Simonetti nel saggio sulla letteratura circostante evidenzia una tendenza negli autori di contrapporre storie normali a eventi straordinari, quella che lui chiama tentazione dell’irrealismo senza l’illusione. In Fai ciao appare una scelta coerente, inusuale ma non pretestuosa, quella di lavorare con una letteratura Ikea, termine usato da Simonetti con tono dispregiativo per individuare una certa narrativa costruita, ma che in questo caso è l’aspetto più positivo del lavoro di F. I., il suo elemento distintivo. Con poco e grazie a tanto ingegno, l’autore riesce a ottenere un buon risultato, a tirare fuori una storia che affascina, che sorprende e intrattiene fino all’ultima pagina nonostante la rinuncia alla quasi totalità dei colpi di scena. In Hindi esiste una parola, jugaad, che indica l’ottenere un buon risultato con pochi mezzi, ecco allora che F. I. può ritenersi soddisfatto della sua jugaad. Le scelte strutturali però non riguardano soltanto l’ordine dei capitoli, ma anche la presenza di alcune pagine numerate con il simbolo ∞. Dei sogni che si inseriscono in una narrazione piuttosto realistica accentuando il distacco tra i due piani narrativi: tra ciò che avviene davvero e ciò che è visione onirica, infinita possibilità, luogo senza tempo e senza spazio. Dentro la testa del protagonista. E non è un caso che siano gli unici capitoli scritti in prima persona, abbandonando la terza, un po’ fredda, lontana, asciutta del resto del romanzo. Una volontà questa che mi ha ricordato Ellis e il suo Lunar Park, dove un uomo è sia padre sia figlio e deve fare i conti con una memoria che lo inganna e con la vista che lo tradisce, sovrapponendo infinite possibilità. Altra curiosità: nel titolo sono presenti due parole, entrambe iniziano per consonante e continuano con sole vocali. Fai ciao. Due consonanti e cinque vocali. Significa qualcosa? Forse niente, però ci ho fatto caso e volevo scriverlo.
5.
Alla famiglia bisogna imparare a sopravvivere e in Fai ciao è lampante quanto le mura domestiche possano trasformarsi in un incubo. Tout le monde sait comment on fait des bébés, mais personne sait comment on fait des papas cantava Stromae. Come si fanno i genitori? Una domanda provocatoria che F. I. sembra porre sia nei confronti del padre che viene a mancare e che forse Samuel vorrebbe trovare il modo di ricreare, sia alla madre che invece sembra non aver capito come si fa il genitore, come si interpreta quel ruolo. Forse neanche le interessa. Il gioco di parole nascosto nelle strofe del cantante francese riprendono un dilemma vecchio: come si diventa genitori? Come si costruisce un genitore? Se un figlio è frutto di un processo fisico conosciuto perché non vale lo stesso per un padre o una madre? Non esiste un modo per nascere genitori, o meglio rinascere, per smettere di vestire i panni di figlio e vestire quello di madre o padre? Se così fosse forse tutti saremmo all’altezza del ruolo, un ruolo complesso che per alcuni è al di là di ogni possibilità.
Fai ciao è un romanzo che non cerca il lieto fine e neanche il finale più giusto, ma la sua conclusione naturale. Al netto di ogni moralità. Citando ancora Onetti: ci sono cose che capitano, che ci dominano mentre stanno accadendo; potremmo giocarci la vita per aiutarle ad accadere, ci sentiamo responsabili del loro compimento. Questo è ciò che accade a Samuel e F. I. è furbo nel farcelo capire nel modo più efficace, costruendo la storia al contrario: ci tira nelle pagine, giustificando a ritroso ogni passo del protagonista in modo da portarci dalla parte della rabbia. Per sentirci di nuovo adolescenti, delusi e traditi, con una voglia tremenda di fare il mondo a pezzi come non abbiamo fatto mai. Quando Samuel esaurisce il fuoco che gli brucia dentro, la narrazione si interrompe lasciando al lettore il compito di mettere insieme gli ultimi pezzi. F. I. non si dilunga oltre e non potrebbe. La telecamera che segue costantemente il protagonista, nell’esatto momento in cui l’ossessione si è realizzata, deve spegnersi. E lo fa con un click secco. Fine delle trasmissioni.
Nota a margine
Ringrazio di cuore 24-01 per aver avanzato ironicamente l’ipotesi di una recensione che ricalcasse la struttura del romanzo. 4, 3, 2, 1, 5. Attenzione a ciò che dici, potrei prenderti tremendamente sul serio. Chi scrive ha cura delle parole e può rendere tutto possibile.
Al lettore ricordo che queste righe sono il tentativo di restituire le sensazioni provate durante la lettura: quale modo migliore per raccontare il gioco strutturale dell’autore se non quello di riprodurlo nel piccolo spazio della recensione stessa?
Francesco Spiedo (1992) nasce a Napoli, da madre ansiosa e padre operaio, sperimentando fin da subito le conseguenze dell’iperattività. Cresciuto a San Giorgio a Cremano, studia per diventare ingegnere anche se non praticherà mai. Precedentemente animatore, cameriere, concierge, addetto alla sicurezza e ad altre attività non riconosciute dal Ministero del Lavoro, inizia a scrivere su commissione e su riviste, sotto falso nome e come ghostwriter. Stiamo abbastanza bene (Fandango Libri, 2020) è il suo primo romanzo. Crede in Maradona e Woody Allen.
