A Buon Diritto, la Onlus per i diritti umani fondata da Luigi Manconi e diretta da Valentina Calderone, compie vent’anni: per ricordare le cause sostenute nel corso di questi decenni e rilanciare l’impegno dell’associazione, il 26 marzo si terrà Venti di diritti, a partire dalle 17:30 presso il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo –, evento che vedrà la partecipazione di artisti e personalità del mondo della cultura, attivisti e rappresentanti delle istituzioni: il Presidente Mattarella e la Senatrice Liliana Segre; Valerio Mastandrea e Valentina Carnelutti; e poi Jorit, Cinzia Leone, Gipi, Ascanio Celestini e tanti altri.
A partire dalle ore 17:30 gli ospiti animeranno la serata con interventi, monologhi e performance teatrali. La serata proseguirà con la mostra (ad ingresso libero), a partire dalle ore 21:00 fino alla mezzanotte, delle opere di dodici disegnatori che hanno interpretato alcuni dei casi più significativi di questi anni di attività di A Buon Diritto.
Nel corso della serata Giacomo Ferraù e Giulia Viana della compagnia Eco di fondo si esibiranno in una performance dedicata alla storia di Stefano Cucchi. La compagnia si occupa di teatro di prosa e di teatro ragazzi. Selezionati per due anni consecutivi a NEXT, laboratorio per delle idee, hanno vinto diversi premi, tra cui: Premio Riccardo Pradella, Selezione Inbox, finalista Premo Scenario Infanzia, Premio Fantasio Piccoli, Premio ANPI Cultura.
di Giacomo Ferrù e Giulia Viana
Circa una decina di anni fa abbiamo intrapreso un percorso di ricerca sulla riscrittura di miti e fiabe accostate a temi di attualità. Ci siamo subito accorti che questo approccio ci permetteva di comunicare in maniera immediata col pubblico. La fiaba e il mito, attraverso le proprie “funzioni” ed archetipi, permettono allo spettatore di spostare il piano d’attenzione dalla contingenza, a volte stretta, dell’oggi, a un altrove fantastico, una sorta di lente d’ingrandimento per interrogarsi sulle stesse tematiche ma da un punto di vista nuovo.
Ad esempio abbiamo provato a rileggere il viaggio de Il Mago di Oz come metafora dell’emigrazione, laddove Oz rappresenta una qualsiasi Lampedusa dei nostri giorni; abbiamo riletto la famosissima fiaba di Andersen, La Sirenetta, accostandola al tema della identità sessuale e del valore della propria “coda”; Pollicino per parlare di terza età; Dedalo ed Icaro per raccontare l’autismo; Narciso per parlare della dipendenza da virtuale.
Con il tempo l’accostamento a miti o fiabe è un procedimento entrato a fare parte del nostro vocabolario, del nostro sentire scenico. Per noi quello tra arte e temi sociali è un rapporto che può dimostrarsi veramente fecondo.
Tanto che crediamo che il teatro possa essere un atto politico, nel momento in cui riesce ad offrire l’occasione di un dibattito reale e concreto con il pubblico, nel momento in cui riesce a nutrire il senso critico nello spirito degli spettatori e fa riemergere l’Umano.
È politico quando affronta tematiche scomode e ne solleva le ambiguità, ma al tempo stesso è politico quando si affaccia a temi che appartengono al quotidiano e riesce comunque a portare alla luce l’invisibile che muove le masse, che si insinua prepotentemente nel nostro presente. Per quella che è stata la nostra esperienza, serve sempre moltissimo studio per approfondire i temi, con le loro derivazioni e in tutte le loro specifiche. Per farlo abbiamo spesso incontrato persone che fossero state colpite da quel determinato problema, o abbiamo letto svariati libri sul tema, e soprattutto sono sempre state fondamentali per noi le relazioni con le associazioni che difendono i diritti delle varie “fragilità” di cui ci siamo curati. Per esempio, quella con Amnesty International Italia, che ha concesso il patrocinio a O.z, storia di un’emigrazione, La Sirenetta, La notte di Antigone; con La notte di Antigone abbiamo creato collaborazioni anche con L’associazione A buon Diritto e l’Associazione Antigone; con Dedalo e Icaro abbiamo stretto rapporti con ANGSA di Novara, con Orfeo ed Euridice con l’Associazione Luca Coscioni e La consulta di Bioetica
Questo ci ha permesso di lavorare a fondo e in sinergia, creando per gli spettatori occasioni di vero dibattito prima o dopo lo spettacolo, come momento in cui creare agorà, in cui continuare a restare in ascolto o portare direttamente in condivisione le proprie domande o perplessità.
Proprio in virtù di questo rapporto tra arte e finzione da una parte e mondo politico e sociale dall’altra, abbiamo scelto di dedicare degli spettacoli a storie vere. In particolare alle vicende di Stefano Cucchi ed Eluana Englaro. In questi casi, è necessaria una riflessione particolare. Anche se l’approccio per cominciare la ricerca di ogni spettacolo è differente e peculiare, c’è una regola aurea che ormai seguiamo sempre. Quando gli spettacoli sono ispirati anche solo collateralmente a fatti di cronaca vera, partiamo dal presupposto di non usare i nomi propri o i cognomi delle persone coinvolte nel fatto reale. È una questione in primo luogo di rispetto, dato che le storie in teatro possono evocare dei fatti reali, ma senza mai senza poter pretendere di raccontare “la verità”. In secondo luogo per accompagnare lo spettatore in un luogo di riflessione “altra”. Anche questa per noi è stata una indispensabile scoperta lungo il percorso: sulla crudezza e sui numeri della cronaca, in teatro vincono sempre poesia e metafora. Qualche volta anche nella vita, e sono quei momenti per cui vale la pena di viverla appieno. Orfeo ed Euridice è ispirato alla storia di Beppino Englaro: per chi ha letto i suoi struggenti libri è un dato evidente, ma per la maggior parte degli spettatori sul palco ci sono un ragazzo ed una ragazza (che si chiamano Giacomo e Giulia come noi attori) la cui storia d’amore viene improvvisamente trasformata da un incidente. La notte di Antigone invece prende spunto dalle nostre riflessioni sul caso Cucchi, sull’eroicità della figura di Ilaria, ma in scena i personaggi non hanno nome, solo funzioni: fratello, sorella, madre, padre, Antigone, Tiresia, Creonte. La nostra urgenza era raccontare la storia di eroi contemporanei. Persone che hanno lottato per la verità, per la giustizia, per i diritti di chi veniva dopo di loro. Persone esattamente come noi, a che davanti ad una disgrazia o ad una ingiustizia si sono fatti carico di lottare. Tutti insomma possiamo essere Giacomo e Giulia, ma pochi come Beppino Englaro possono lottare senza requie per diciassette anni al fine di ottenere il riconoscimento di un diritto. Tutti potrebbero essere sorella o fratello di un Polinice vittima di un’ingiustizia, ma pochissimi riuscirebbero a fare quello che ha fatto Ilaria Cucchi; Antigone Infatti non ci si nasce, ma si scopre di esserlo combattendo.
Nel raccontare queste storie, inoltre, oltre al riferimento alla vicenda reale c’è anche il richiamo al teatro classico, in una relazione tra narrazioni che abbiamo costruito a partire da una nostra personale urgenza: raccontare di un caso di sopruso dello Stato nei confronti di un cittadino e della grave difficoltà dei famigliari di arrivare alla giustizia. In particolare sapevamo che avremmo voluto ispirarci al caso Cucchi. Seguendo il percorso di compagnia è arrivato quasi immediato l’accostamento ad Antigone ma con alcune differenze dalla tragedia originale sofoclea.
In questo ci sentiamo davvero molto fortunati perché i temi che di volta in volta affrontiamo diventano per noi occasioni per aprire la porta verso un luogo della nostra esistenza che ancora non avevamo immaginato. Permettono a noi per primi di indagare e mettere in discussione prima di tutto con noi stessi le difficoltà dei nostri protagonisti per poi trovare una sintesi teatrale da raccontare al pubblico.
Dell’esperienza con Antigone – e lo è per tutti i nostri spettacoli – lo spettacolo è l’ultima tappa di un lungo percorso dominato da lunghi momenti di approfondimento e studio e indagine su come la scena possa reagire a quei temi.
In questa Notte di Antigone per esempio abbiamo attraversato le traduzioni per noi più significative del mito sofocleo, ma anche tante versioni della tragedia, una fra tutte quella di Anouilh, che qualche spettatore può percepire nell’eco di alcuni scambi tra i personaggi; sono poi stati fondamentali per noi libri come – ne citiamo solo alcuni – Quando hannno aperto la cella di Luigi Manconi e Valentina Calderone; Una sola stella nel firmamento, libro di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, ragazzo ucciso a Ferrara nel 2005 per un controllo di polizia; Pino. Vita accidentale di un anarchico di Licia Pinelli ed ancora dai vari libri di Ilaria Cucchi che ci hanno permesso di portare il nostro sguardo lì dove era difficile immaginare di arrivare.
Il pubblico entra con noi tra le pareti della cameretta di un fratello e una sorella che proprio lì dentro hanno condiviso la loro infanzia, e si alternano così momenti differenti che portano in sé l’eco di tante di tutte le storie, di tutte le Antigoni che si sono trovate a diventarlo per scelta o per senso del dovere. La cameretta sprofonda fisicamente dentro di sé lasciando emergere le radici nel teatro classico così come le abbraccia le testimonianze e il turbamento di una vita all’interno del sistema Famiglia, che interseca quella del sistema Stato. Il parallelismo vince quando alla fine ci si rende conto che questa situazione che potrebbe accadere a chiunque e noi civilmente non dobbiamo più permettere che accada.
Per questo, per noi è importante dialogare orizzontalmente con il pubblico raccontando “l’umano”. Perché l’umano permette di connettersi ad un livello invisibile. A volte lo chiamiamo “universale”, intendendo ciò che è immediatamente comprensibile, esperibile a qualunque osservatore. Apriamo al pubblico le stesse domande in cui inciampiamo in sala prove. Diventano il fulcro dello spettacolo. Spesso a guidarci sono proprio il mito e la fiaba di riferimento, non soltanto i punti di vicinanza ma soprattutto i punti divergenti! Ad esempio ci è risultato evidente sin dal principio che Antigone condividesse una parte del suo sentire con una figura come Ilaria Cucchi, ma nella tragedia Sofoclea i fratelli sono due.
Inizialmente questa discrepanza ci aveva messi in crisi; continuando a cercare, abbiamo scoperto che Eteocle, l’onorato cittadino, e Polinice, il reietto da mettere alla gogna, raccontavano semplicemente due volti della stessa persona. Anzi, ci permettevano di raccontare in maniera più approfondita la complessità del fratello. Analogamente, in Sofocle, Creonte emana un editto affinché un corpo e rimanga esposto, mentre Antigone lo copre. Un’altra differenza sostanziale. Nella nostra rilettura infatti avviene l’esatto contrario, poiché Lo Stato Creonte cerca di nascondere, di insabbiare, mentre Antigone si trova costretta ad esporre il corpo del fratello. Ed infine c’è quello che chiamerei effetto “eco”. Lo spettacolo si contamina nel tempo della reazione del pubblico, quasi fosse un attore in scena. Chiedo anticipatamente perdono ai fisici poiché di fisica ne capisco davvero nulla, ma c’è una cosa nella meccanica quantistica che trovo sempre sorprendente quando provo ad approcciarmici: la realtà (quantica) cambia in base al suo osservatore. Ecco credo che lo spettacolo sia questo. Un ecosistema complesso e raffinato che cresce nel confronto vivo con lo spettatore.
Come tutti gli spettacoli che costruiamo speriamo che lo spettatore possa mettersi nei panni di persone in situazioni complesse, con lo stesso procedimento con cui abbiamo provato a farlo noi. Ci auguriamo che possa essere stimolante da un punto di vista umano, che lo spettatore possa guardare con occhi diversi le persone più fragili (fragilità che a volte portano anche a dipendenza); che possano aver attraversato i diversi stati anche contrapposti che può aver provato la nostra protagonista, lasciandosi portare dal flusso di pensieri e dagli appuntamenti con i suoi ricordi, le sue paure, l’origine del suo senso di colpa; che possano riflettere sul concetto di “muro” che tanto chiediamo alla nostra società più o meno consapevolmente. “Mi chiedete di alzare dei muri, e questi muri agiscono sulla vostra coscienza, vi attirano, ma al tempo stesso vi inquietano perché il muro non è una cosa che fa male, il muro è un’idea che fa male.” Così risponde il nostro Creonte alla sorella, una delle tante sorelle che finirà per diventare Antigone, rende con le parole il concetto del “non voler vedere” che noi stessi cittadini a volte chiediamo che venga restituito dallo stato, sfindandola per esempio gli nomina per esempio gli hospice, le case di riposo, le comunità, i campi di accoglienza. E allora noi spettatori, come ci poniamo? Emergono delle grandi contraddizioni del nostro secolo che solo se toccati personalmente a volte andiamo ad incontrare. Ecco allora che il teatro prova a mettersi nei panni dell’una e dell’altra parte, senza giudizio, senza tirare il pubblico in una direzione o in un’altra ma solo lasciando spazio alle varie voci.
“Ne ho viste di Antigoni, ed il tuo è un cammino solitario” prosegue Creonte, allora saremo noi pubblico disposti a metterci, come gli attori, nei panni della nostra protagonista? Cosa avremmo fatto al suo posto?
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