“Caravaggio 2025”, il ritorno da divo a Roma per i pellegrini dell’arte
di Mario De Santis
Michelangelo Merisi ritorna a Roma come una star del cinema, con la mostra “Caravaggio 2025” inaugurata il 7 marzo e che fino al 6 luglio è ospitata alla Galleria Nazionale Corsini di Palazzo Barberini in coincidenza con l’anno del Giubileo. Curata da Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, presenta 24 capolavori che oggi è difficile vedere tutti assieme, con alcune primizie assolute arrivate da musei esteri, uniti ovviamente ad opere presenti in Italia (tra questi il “Narciso”, La buona ventura” , “San Giovanni Battista”, “Davide con la testa di Golia” alla “Cenna di Emmaus” e altri capolavori in musei italiani).
Tra le opere che arrivano dall’estero spiccano “I bari”, dal Kimbell Art Museum di Forth Worth in Texas e “Santa Caterina” del Thyssen-Bornemisza di Madrid. Grande attesa, ma certo non il picco del Merisi, in termini pittorici, per l’“Ecce Homo”, dipinto a Napoli, secondo i curatori nel 1060-1609, finito poi in Spagna e ora di proprietà privata, attribuito a Caravaggio solo nel 2021, esposto qui per la prima volta in Italia.
Molte delle opere presente nel nostro paese sono a Roma da sempre, tra Galleria Borghese e la collezione del Palazzo Barberini, che a sua volta è teatro barocco perfetto per l’esposizione, oltre che suggestivamente la magione di uno dei suoi committenti, mentre Roma fu la fucina umana. Gran Lombardo sceso come molti altri nell’Urbe eterna pittori, scrittori, registi (nel ‘900 Dino Risi, Carlo Emilio Gadda o Alberto Arbasino). Proprio cinema e letteratura coinvolgono Merisi nell’opera di un altro trapiantato, Pier Paolo Pasolini.
La pittura studiata a Bologna, da Giotto e Caravaggio, si fa corpo e volto del suo cinema (testimoniato dalla mostra “Tutto è santo. Il corpo veggente” del centenario 2022, proprio a Palazzo Barberini). Caravaggio è insomma un palinsesto dell’immaginario e centrale nella mitologia del fruitore-turista (90 mila biglietti già venduti ancora prima dell’inaugurazione) dopo una carriera folgorante, e alterne fortune nei secoli. Se oggi basta un solo suo quadro per trainare economicamente un museo, va ricordato che fu riscoperta novecentesca dopo secoli di ombra.
Fu nella sua Milano ( nel 2007 è merso il suo certificato di battesimo nella centralissima Santo Stefano in Brolo) con la celeberrima “Caravaggio e i caravaggeschi” a Palazzo Reale nel 1951, curata da Roberto Longhi (di cui fu allievo Pasolini) con i 61 quadri di mano del Merisi e 132 di scuola. Restando ai paragoni cinematografari, quella fu il leggendario originale, questa di Roma è un remake. Quella scopriva, questa espone, sebbene sia il massimo immaginabile oggi. Alla Corsini era di casa ovviamente “Maffeo Barberini”, futuro Urbano VIII. Di lui in mostra due ritratti, uno attribuito da Longhi nel 1963, l’altro su cui alcuni studiosi hanno dubbi. Il confronto è però interessante, ma in generale sono proprio gli accostamenti la forza della mostra, con opere che mai sono state (e mai più saranno) nello stesso spazio. Risultato di un grande sforzo dei curatori (che unisce l’occasione dell’Anno Santo, l’alea vaticana e il supporto finanziario di Intesa Sanpaolo).
Se la forza artistica, la rivoluzione di bellezza, l’impatto sociale e religioso di Caravaggio sono ormai evidenti e le opere “parlano da sole” (lo hanno ripetuto anche i curatori) tutto si affida alla meraviglia dei 24 capolavori. Il criterio espositivo non deve scoprire, quindi è genuinamente divulgativo, basato sulla cronologia dell’evoluzione pittorica. Si passa da primi piccoli gioielli, come il “Mondafrutto”, dipinto appena arrivato a Roma nel 1596 accostato al coevo “Autoritratto in veste di Bacco (il bacchino malato)”: quadri piccoli, nella sezione “Debutto romano”, segnato da una vita di espedienti e quadri facili da vendere.
Roma è la traccia di vita che esplode dal basso, plasma la materia in luci e ombre come nessun altro. Il suo talento fu “Ingagliardire gli oscuri”, come titola la seconda sezione, da una frase del primo biografo Pietro Bellori. Individua la capacità di estrarre la luce dall’oscurità, tanto che pure il buio è materico. Questa caratteristica matura subito, con le prime committenze religiose, grazie al protettore Cardinal Del Monte, tra cui le imponenti tele di San Luigi dei Francesi, complemento inevitabile per il pellegrino dell’arte (sperando che “Caravaggio 2025” non soffra il peso dell’overturism).
Da questo punto di vista l’allestimento è accattivante nell’illuminazione concentrata sulla tele che spicca su fondo grigio scuro (o rosso sangue) forse erano necessari spazi più grandi, facile prevedere affollamento (l’intento è fare numeri). Le tele sono ad altezza di sguardo, un bene in sé, un problema se si deve lottare con la foresta di teste e corpi. Le didascalie, a sinistra in basso creeranno qualche problema di lettura, in più il fon bianco piccolo e la densità di informazioni necessitano di occhio acuto e sano. Alcune tele soffrono di riflessi, sempre per l’angolatura limitata di spazi. In ogni casi che dire di fronte a 24 blockbuster? Tra le chicche degli accostamenti, si ammira una delle modelle preferite di Caravaggio, presente in “Marta e Maria Maddalena”, che in “Giuditta e Oloferne” e nella “Santa Catarina d’Alessandria” identificata con la cortigiana Fillide Melandroni. Sempre su toni scuri si passa alla sezione “Dramma sacro tra Roma e Napoli” il sangue, la violenza, la paura, temi dipinti e che per Caravaggio (omicida di Ranuccio Tomassoni nel 1606 e poi fuggiasco) si legge volendo come uno storyboard cinematografico del suo inconscio, tra cene notturne nelle osterie scantonate (“La Cena di Emmaus”) violenze e incubi omicidi (“Davide e Golia” con auto-esposizione in cerca di espiazione). Successivamente Caravaggio approda a Napoli, qui oltre al già citato “Ecce Homo”, dipinge la “Flagellazione” per la cappella di San Domenico Maggiore. Siamo sempre nel suo stile tragico, come “La cattura di Cristo” ancora una volta dramma e avventura anche personali.
Vita flagellata dalla violenza commessa, dalla colpa sentita, dal desiderio di luce. Con una sezione finale intitolata, con citazione beckettiana, “Finale di Partita” in cui è proprio la luce assurda e violenta sulle corazze, sulle lame, tutto su un fondo di abbacinante oscurità, che si impone nel “Martirio di Sant’Orsola” (restaurato di recente), dipinto nel ritorno a Napoli da Malta, ancora una volta dopo una rissa, da fuggiasco. Allo stremo, Caravaggio ossessionato dalla colpa, saputo del perdono di Papa Paolo V (Camillo Borghese) salpa alla volta di Roma. Porta con sé Il “san Giovanni Battista” da donare al cardinale nipote del pontefice e gallerista raffinato, lo Scipione Borghese che ne perpetuò la memoria.
Tuttavia, morirà lungo la via, ma ci arrivò il quadro, che fu consegnato a Scipione e che resta a Roma da allora, così come la sua gloria, la fama rinnovata, che oggi splende per sempre in quei corpi, simulacri eterni del suo stesso corpo, mai ritrovato: sepolto a Porto Ercole, in un cimitero poi mantellato. Ritrovamenti di ossa, con analisi chimiche recentissime, sono plausibilmente attribuibili al pittore, ma sono frammenti. Resta l’assenza del suo corpo disperso, un contrappasso di colpe mai estinte che evidenzia il forte il contrasto – come tutto in lui – tra il suo corpo dissolto in terra e quei suoi corpi dipinti che – più di qualunque resurrezione – vivono per sempre. Se non scopre nulla per gli studiosi, ci sarà sempre lo spettatore, il pellegrino dell’arte, che lo vedrà per la prima volta in questa “Caravaggio 2025”. I suoi occhi giovani e meravigliati già da soli danno senso a questa nuova esposizione.
A quando un comento critico per un grande pittore che ha pure i suoi limiti? Caravaggio piace a troppi e senza schemi e questo dovrebbe porre domande a cui la storia dell’arte e della critica d’arte in genere non si sottrae. Ma di questi tempi di sì/no radicali il pensiero dialettico ha poco credito.
gentile Kakob, non so se ha letto il pezzo o se il commento è a prescindere, le riporto due passi di quetsa che è però più una recensione-informazione su una mostra che non un saggio su Caravaggio di cui non sarei in grado di dire nulla di più di quello che imparo dagli storici dell’arte – cosa che non sono
ho però scritto:
Caravaggio è insomma un palinsesto dell’immaginario e centrale nella mitologia del fruitore-turista (90 mila biglietti già venduti ancora prima dell’inaugurazione) dopo una carriera folgorante, e alterne fortune nei secoli. Se oggi basta un solo suo quadro per trainare economicamente un museo, va ricordato che fu riscoperta novecentesca dopo secoli di ombra.
e poi ancora:
Se la forza artistica, la rivoluzione di bellezza, l’impatto sociale e religioso di Caravaggio sono ormai evidenti e le opere “parlano da sole” (lo hanno ripetuto anche i curatori) tutto si affida alla meraviglia dei 24 capolavori. Il criterio espositivo non deve scoprire, quindi è genuinamente divulgativo, basato sulla cronologia dell’evoluzione pittorica.
scusi il refuso: Gentile Jakob
– cordialmente
Mds