Irish Film Festa, la rassegna alla Casa del Cinema di Roma

di Simone Bachechi

È in programma dal 4 al 7 aprile prossimi a Roma, presso La Casa del Cinema, l’Irish Film Festa, una quattro giorni di proiezioni e incontri con un cartellone che comprende 26 nuovi film tra lungometraggi di finzione, opere prime di giovani autori irlandesi, un’ampia sezione di documentari e cortometraggi, tutti in anteprima nazionale e due classici, di cui uno inedito in Italia, alla presenza di numerosi ospiti tra registi, attori e produttori, in arrivo dall’Irlanda proprio per incontrare il pubblico. Sul sito www.irishfilmfesta.org Il programma completo di eventi e proiezioni, con ingresso rigorosamente gratuito fino a esaurimento posti, tutte in versione originale con sottotitoli in italiano.

Il convitato di pietra è John McGahern (1934-2006), il quale al di là delle sempre opinabili definizioni critiche che lo descriveranno tra l’altro quale “probabilmente il più importante romanziere irlandese dai tempi di Samuel Beckett” è sicuramente da considerare uno dei più grandi scrittori irlandese dell’epoca moderna. Nel catalogo di  Minimum Fax (2016) si può trovare uno dei suoi titoli più noti, The Dark (1965), il suo secondo romanzo che destò scandalo per il modo in cui parlava di sesso e religione, mentre per Einaudi sono usciti negli anni precedenti Il Pornografo (1997) e  Moran Tra le donne (1994).

Colui che è considerato tra i più alti cantori dell’Irlanda rurale è il protagonista assoluto della quindicesima edizione del festival romano patrocinato dalle varie istituzioni e sodalizi culturali irlandesi e che ha visto protagonisti nnel corso degli anni i più e meno noti volti del mondo del cinema e non solo provenienti dalla terra smeraldo.

Ospite d’onore del festival sarà il regista irlandese Pat Collins, che sabato 6 aprile alle 18 presso la Sala Cinecittà, presenterà il suo That They May Face the Rising Sun adattamento cinematografico del 2023 dell’omonimo e ultimo romanzo di John McGahern del 2002 (purtroppo non ancora tradotto in Italia), opera premiata come miglior romanzo irlandese nell’anno 2003.

Il film nel quale svetta la poetica, riflessiva e superba interpretazione di Barry Ward, già noto per essere il protagonista della pellicola di Ken Loach Jimmy’s Hall incentrata sulla sala da ballo di campagna gestita da un comunista, che scatena le ire della chiesa, è un poetico condensato della vita di un piccolo villaggio rurale che McGahern descrive nel libro, come in suoi altri quali The Dark.

Joseph (Barry Ward) è uno scrittore, il quale con la moglie Kate (Anna Bederke) già gallerista d’arte a Londra decide di fare ritorno alla terra natia, in un cottage immerso nel verde di una natura incontaminata nel quale si dedica alla scrittura, scrivendo cose simili proprio a quelle di McGahern, tanto da far pensare possa essere un suo alter ego, occupandosi delle minime faccende domestiche in un tempo scandito dalla ciclicità della raccolta del fieno, della cura degli animali, in un tempo che sembra immobile. La coppia è il punto di riferimento di tutti i vicini, perché sanno leggere e scrivere, perché danno saggi consigli, hanno l’auto e quindi possono aiutare in caso di bisogno. La varia e dolente, disincantata e feroce, ma anche tenace e delicata varia umanità, i cui volti scavati e seriosi sembrano fondersi al brullo ed essenziale paesaggio della campagna irlandese, donne e uomini legati da nodi familiari che più o meno si sono allentati, e che abita nei dintorni della coppia, si reca da loro a chiedere aiuto, consigli o solo compagnia. Mattacchioni che nel più puro spirito del craig irlandese si fermano dai due coniugi snocciolando battute argute o più profonde filosofie farcite dal disincanto e dai rimpianti per una vita che non è andata come si aspettavano, scroccando tè e biscotti, oppure venendo invitati al pranzo di Natale perché non restino soli. La coppia è una specie di assistenza sociale, amichevole e sempre accogliente e benevola verso la semplicità delle persone che hanno intorno.

Il poetico finale che esprime il significato del titolo e che sembra quasi uno scioglilingua mostra il modo tutto irlandese di vivere la religiosità, una religione tipo laicistico sempre a cavallo tra ortodossia e paganesimo: al funerale di uno degli abitanti del villaggio tornato a morire nella sua terra dopo un lungo esilio nell’infida Inghilterra il fratello si preoccupa di seppellirlo con la testa a ovest, in modo che il giorno della resurrezione questo possa avere in faccia il sole che sorge.

In omaggio allo stesso John McGahern venerdì 5 aprile, alle 18,30 presso la Sala Cinecittà sarà proiettato il documentario A Private World, girato nel 2005 dallo stesso Pat Collins, poco prima della morte di McGahern dallo stesso regista del film tratto dal romanzo dello scrittore irlandese, documentario del quale parlerà John McCourt, docente di Letteratura Inglese e Irlandese e massimo esperto di letteratura irlandese e di James Joyce. Il documentario è sorta di autobiografia creativa dello scrittore. Attraverso materiali di archivio ci viene restituita l’immagine più profonda e poetica di uno scrittore con il quale il regista è riuscito a  stabilire una forte e discreta intimità

Da rimarcare nella sezione dei classici, in occasione del suo quarantennale, la proiezione di un film mai visto in Italia, si tratta di Anne Devlin, lungometraggio del 1984 della regista dublinese Pat Murphy, film che tratta della vita di colei che affiancherà Robert Emmet e gli United Irishmen nell’insurrezione irlandese del 1803, poi annegata nel sangue, contro il dominio britannico.

Competano il programma della rassegna nata del 2007, creata e diretta da Susanna Pellis, prodotta dall’Associazione culturale Archimedia in collaborazione con l’Irish Film Institute, una significativa presenza di documentari, molto vari per temi e toni, i quali in alcuni casi affrontano gli anni più recenti di un paese segnato drammaticamente dalla violenza settaria, gli anni dei Troubles non sono così lontani, senza mancare uno sguardo su altre zone del mondo afflitte da storie di dolorosi conflitti verso le quali il popolo irlandese mostra una naturale solidarietà e attenzione visto la sua stessa centenaria storia di oppressione. Due titoli in tal senso sono esemplificativi: Face Down di Gerry Gregg, documentario che narra la vicenda del Thomas Niedemayer, cittadino tedesco e direttore generale dello stabilimento Grundig di Belfast nonché console onorario, il quale verrà rapito nel 1973 dall’IRA e il cui corpo potrà essere restituito alla famiglia solo sette anni dopo grazie a un suo informatore o come con In the Shadow of Beirut  di Andrew Keane e Andrew McConnell e il cui co-autore è Stephen Gerard Kelly, un artista che trasferitosi  nella capitale libanese racconta in presa diretta la vita delle famiglie di rifugiati palestinesi nei quartieri di Sabra e Shatila, già tristemente noti per il massacro compiuto nel 1982 con la complicità dell’esercito israeliano.

Insomma, Irish Film Festa è un’immersione nella storia, nei paesaggi, nella letteratura e nell’anima irlandese, un pezzo d’ Irlanda in Italia per una quattro giorni da non perdere.

 

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