Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, le prime pagine di Dall’Inferno – Due reportage letterari, di Cosimo Argentina e Orso Tosco, uscito per minimum fax.
di Cosimo Argentina
«Ehi, capo, nemmanco il badge sai passare? Mena mè! Nà… giralo. Lo devi girare!»
Il corridoio d’accesso è queste transenne scrostate.
In fondo c’è una gettata di cemento armato. Muovo qualche
passo all’indecisa.
«Dove vai, ’mbà? Agli spogliatoi del dieci. Del dieci! Forza bello, che stanotte è già alla come dio vuole!»
Butto un occhio al buio, là, in fondo, oltre il caseggiato. Scruto a destra e a sinistra, mi volto, guardo il casellante, mi rigiro, prendo la strada per la gettata, inciampo a una barra, mi volto di nuovo.
Ci sono lampeggianti gialli e lampeggianti azzurri a clonazione. Sotto un cielo cicatrizzato da monconi in fiamme mi trascino il borsone lordato da questa pioggerella mescolata alla cenere.
Quattro tir sono fermi davanti al bilico e un bilicista sta segnando qualcosa su un pezzo di carta bloccato da un fermaglio a una tavoletta di compensato. La lingua di fuori, il bilicista, scarabocchia, cancella, ricalca. La carta si sta bagnando e l’inchiostro sbava.
«Quedda zoccole!»
Manutentori in catarifrangenti mi passano accanto dandomi una spallata. Sbatto contro una transenna e quella crolla a terra.
«E statti attento!»
Sollevo le braccia. Che io manco li ho visti. Solo figure in fuga da qualche parte verso una porzione di buio nemmeno scalfito dagli alogeni solidali a un pannello zincato.
Una porta di metallo dipinto di verde. C’è scritto un 10 bianco fatt’a spruzzo con lo stencil.
Due addetti alle paiole mi guardano di traverso e si arrotolano una sigaretta sott’all’acqua che adesso non è più pioggerella, checché, ora viene giù a cristi e madonne e intorno ai lampioni gialli puoi vedere coniche cataratte sempre più fitte. Gli operai leccano la trasversale degli spini. C’hanno la scritta della ditta sulle tute, gli addetti.
«Dov’è che devi andare?»
«Non so! Sono per l’affiancamento… dovrei presentarmi al
decapaggio!»
«Ah, sei uno dell’acido!»
«Per caso sai dove dovrei andare?»
«Niente so. Datti da fare, bello!»
Piove. Un Dio incontinente. Quelli guardano in aria e bestemmiano. Dicono che non basta la polvere e gli schizzi incandescenti, pure la pioggia. Scende di lato, si sposta nel vento, non sai mai come ti prende, la pioggia. Perle minime, ma una appress’all’altra. Tante piccole catene che si sfasciano a terra.
«Datti da fare, ’mbà!»
Apro la porta. Dentro ci sono armadietti di metallo scorticato alla base e lungo le maniglie. C’è un’aria tossica piena di vapori come in una sauna tarata male. Quattro lampadine gialle incamiciate in grate alla ruggine danno sì e no la luce per un requiem.
Gente indistinta nel fondo della stanza. Intruppati in un angolo inaccessibile, spremuti, olive fresche fresche schiacciate nel vimini. Ce n’è tanta, di puzza. Sono le calze. Pallottole di cotone a spugna coi righini rossi e blu e la pianta marrone.
Volano maglie di lana ed elmetti gialli e si sente l’acido del piscio dalle latrine. La gente è compatta, va avanti e indietro, un tutt’uno solidale a qualcosa di invisibile. Rumori, tanti. E alcuni rantoli.
C’è un’uscita posteriore opposta rispetto a quella che ho usato io. Una porta di amianto sderenata con un battente ad anello.
Entrano ed escono imprecando.
Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente
