Pubblichiamo, ringraziando editore e curatori, un estratto da “Il videogioco in Italia” a cura di Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone (con prefazione di Peppino Ortoleva), uscito a novembre per Mimesis.

di Marco Benoît Carbone

Introduzione

Per generazioni di giocatrici di tutto il mondo, Super Mario – il personaggio che ha prestato il nome e il volto a prodotti dal grande impatto storico e culturale, come Super Mario Bros. (Nintendo 1985) è un idraulico italiano. Se così fosse, Mario potrebbe qualificarsi come uno degli italiani più noti al mondo, protagonista di un franchise videoludico che ha venduto centinaia di milioni di copie[1]. Più precisamente, però, Super Mario è un italo-americano proveniente da Brooklyn, New York, come confermato a più riprese dall’azienda madre Nintendo, a partire da alcuni documenti ufficiali sul personaggio rilasciati negli anni Ottanta[2]. Inoltre, l’idraulico di Nintendo è un personaggio di finzione solo vagamente italico, caratterizzato da stereotipi talmente generici da essere a volta scambiato da pubblici diversi come messicano o vagamente “latino”[3]. In questo senso, Mario è uno pseudo-italico, o persino un italoide, frutto di narrazioni che hanno dato forma e voce al personaggio secondo un distillato generico di etnia arrivato a sedimentarsi attraversando diversi filtri e contesti culturali, perlopiù attraverso un interscambio tra industrie culturali giapponesi e statunitensi[4].

Questa sintetica fenomenologia[5] mariana si propone di tracciare una storia di Mario come personaggio e icona videoludica, concentrandosi su alcuni degli elementi attraverso i quali il personaggio è emerso come una narrazione ibrida e transnazionale di italicità. Il saggio si concentra su alcuni degli sguardi sulle culture italiane e italo-americane che hanno avuto luogo tra il Giappone e gli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni, esaminandone le rappresentazioni in giochi, film e prodotti d’animazione, oltre ad artwork, materiali promozionali e altri prodotti in cui il personaggio ha fatto la sua comparsa. Degli ulteriori elementi di ricerca consistono in analisi di storie orali sotto forma di interviste esistenti a designer e addetti ai lavori. Una analisi storica accompagna il lavoro, discutendo il modo i cui gli italiani siano stati rappresentati nelle industrie culturali giapponesi e statunitensi in fasi anteriori e concomitanti allo sviluppo del personaggio di Super Mario, iscrivendosi in mitologie e tradizioni iconografiche sulla “italianità” già diffuse in quei paesi. Lo studio esamina questi aspetti in relazione ad alcune scelte di design e di marketing dei prodotti del franchise e dei loro pubblici di destinazione nazionali e internazionali, limitandosi tuttavia a inquadrare solo alcune delle fasi essenziali della scrittura di un numero limitato di testi e privilegiando un aspetto storiografico[6]. Pur alla luce di alcune considerazioni sul design autoriale e industriale di Super Mario, lo studio si sofferma principalmente su alcune costanti e processi di accumulazione e mantenimento dei tratti rappresentazionali della “italianità” da una prospettiva critico-interpretativa rispetto ai luoghi comuni occidentalisti ad essa sottesi, seguendone lo sviluppo in senso diacronico[7].

Lo studio si concentra su tre fasi principali della scrittura del personaggio: la prima, che va da Donkey Kong (1981) a Super Mario Bros. (1985), affronta la genesi della caratterizzazione italiana di Super Mario, in un contesto di dinamiche transnazionali aventi il fulcro tra Giappone e Stati Uniti. La seconda, che ha luogo tra la localizzazione statunitense di Super Mario Bros. (1983) e il gioco su licenza Mario Teaches Typing (1993), affronta il battesimo ufficiale di Super Mario come brooklinese, in concomitanza con la domesticazione culturale dei giochi Nintendo sul mercato americano attraverso adattamenti e merchandising, e alla luce delle evoluzioni tecnologiche che hanno reso possibile dotare il personaggio di una voce italo-americana. La terza fase ha luogo tra Super Mario 64 (1996) e il recente Super Mario Odyssey (2018) e vede la definitiva consacrazione della italianità di Mario, avvenuta sulla scorta di una rinnovata popolarità del Made In Italy in Giappone negli anni Novanta e di una più recente canonizzazione del personaggio, attraverso il suo allineamento con una celebrazione nostalgica dell’America italo-americana degli anni Cinquanta e di possibili partnership industriali e di branding cross-media con aziende italiane come Piaggio.

‘Barbari pelosi’: Giappone e italianismi

Nel 1981 Shigeru Miyamoto – un promettente designer assunto di recente da Nintendo, una compagnia giapponese inizialmente dedita alla produzione di giocattoli, e che si stava affermando sul medium emergente dei giochi elettronici, sviluppa un nuovo prodotto. Nel 1981 viene pubblicato Donkey Kong, un videogioco in cui Jumpman, un falegname in salopette, tenta di salvare una donna presa ostaggio da un grosso scimmione. Il gioco premia Nintendo con un enorme successo commerciale, anche in America, paese in cui Nintendo punta a imporsi ed espandersi[8]. È in questo periodo che avviene, come riferisce Miyamoto, la genesi di Mario come personaggio italico[9]. Il designer si trova negli Stati Uniti, in un grosso deposito delle macchine a gettone di Donkey Kong – i cosiddetti coin-op delle sale giochi[10] – quando assiste a una scena curiosa: nel mezzo di una riunione con il presidente di Nintendo dell’epoca, Minoru Arakawa, un uomo dall’accento italiano – il businessman italo-americano Mario Segale (1934-2018)[11] – irrompe nel magazzino per lamentarsi dell’affitto arretrato. Questo episodio determina la vulgata secondo cui l’italianità di Mario sarebbe riconducibile a una coincidenza: l’incontro fortuito con l’italo-americano avrebbe ispirato il designer e suggellato la sua fantasia vagamente psichedelica, trasformando Jumpman in Mario nel successivo Mario Bros. (1983).

Notoriamente, tra le fonti iniziali di ispirazione di Donkey Kong[12] si annoverano King Kong (RKO, USA 1933) e Popeye the Sailor[13], mentre le fattezze di Jumpman erano state determinate da limiti tecnologici. Disegnare un volto era difficile a causa della limitata risoluzione grafica: i baffi e un cappello concorsero nel rendere il personaggio più riconoscibile ed espressivo[14]. La presenza di una ambientazione stilizzata – il cantiere di Donkey Kong – giustificò il ricorso a un falegname, dato che le bretelle sembravano una scelta efficace. Tanto il falegname Jumpman che gli idraulici Mario e Luigi rispondono dunque a ristrettezze tecniche trasformate in opportunità creative. Super Mario Bros. avrebbe poi reso Mario, un idraulico italiano in un mushroom kingdom pieno di tubi e fognature, popolato da funghi magici e tartarughe alate, more famous than Mickey Mouse[15].

L’aspetto mediterraneista[16] del personaggio, però – baffi, bretelle, berretta – era già presente nel Jumpman a schermo e nell’artwork grafico che accompagnavano Donkey Kong. Si rende necessario domandarsi se l’idea di un personaggio italiano possa essere stata predisposta culturalmente partendo da un’immagine dell’italianità già diffusa in Giappone. Il Jumpman di Donkey Kong, accostato ai volti degli Europei ritratti nell’arte giapponese moderna (di epoca moderna, dall’apertura agli scambi commerciali con l’Europa dal XIX secolo in avanti)[17], rivela delle affinità nell’esagerazione dei tratti dei personaggi, dalla esasperazione della peluria facciale alla ipertrofia dei nasi. Jumpman, il prototipo di Mario, è coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin (“cinese peloso”), un epiteto offensivo rivolto agli abitanti della Cina maturato in epoca dell’imperialismo nipponico e riadattato in forma di stereotipo occidentalista (Miyake 2010b, p. 8). Immagini degli italiani secondo la rappresentazione stereotipata dei baffi e del berretto a coppola erano moneta corrente anche in prodotti d’animazione dell’epoca (e, come vedremo, sono a loro volta importazione da un immaginario italico diffuso transnazionalmente dal cinema nazionale e italo-americano), dal Marco de Dagli Appennini alle Ande di Isao Takahata (Nippon Animation 1977), la cui prima parte è ambientata a Genova e in cui i personaggi italiani hanno spesso barba e baffi [Fig. 28], al barbuto Padron Vitali di Remì, le sue avventure (Osamu Dezaki, TMS, Giappone, 1978).

Il personaggio di Mario sembra corrispondere molto bene a una versione cartoonesca della narrazione della “occidentalità”, e più precisamente della “mediterraneità”, vista come contraddittoriamente piacevole e spiacevole, ma sempre buffa e interessante. Come riferisce Toshio Miyake (2010b) a proposito della caratterizzazione degli italiani, questi ultimi erano intrappolati in una narrazione ambigua della differenza[18]. L’occidentalismo di matrice europea che intrappolava l’Italia in un discorso di arretratezza, e che la fissava in stereotipi tanto positivi quanto negativi (le origini nella Magna Grecia e nel Rinascimento, opposte ad una percepita arretratezza sociale, politica, tecnica in epoca moderna) aveva preso forma in Giappone in forme specifiche, mediate dagli stessi poteri euro-americani sin dai tempi dei Grand Tour[19]. Una percezione degli italiani rassicurante sul piano identitario giapponese, rappresentati come impulsivi e naïve, un tratto che, come prosegue Miyake (2010b), li poneva al di fuori dal piano del confronto con la cultura e il potere autoctoni: gli italiani potevano essere pensati genericamente come zotici e provinciali, e la percepita inettitudine politica e sociale che discendeva da tali stereotipi impediva loro di apparire una forza antagonista come quella incarnata dagli americani. Gli italiani potevano riscuotere l’indulgenza o la simpatia dei giapponesi in ragione della nostalgia che il Giappone post-bellico nutriva per la propria cultura prima degli incontri e scontri con l’Occidente e la modernità[20].

Mario si prefigura d’altronde come personaggio fiero e capace, con cui il giocatore avrebbe potuto immedesimarsi, seppure vedendolo come diverso ed esotico, ma anche problematicamente dispettoso e persino come antieroe. In Donkey Kong Jr. (1982), il giocatore impersona il figlio dello scimmione del gioco precedente, che Mario ha qui rapito per vendicarsi del torto subito, in un ruolo coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin e dello straniero mediterraneo. Una tale ricostruzione non intende, ovviamente, offrire una spiegazione “autentica” del personaggio o rivendicarne le origini secondo un metodo storicamente deterministico. Tuttavia, lo sfondo socioculturale in cui opera la scrittura del personaggio sembra illustrarne il carattere altrimenti gratuito dell’italianità, solitamente spiegato tramite il solo ricorso mitografico all’aneddoto di Segale[21].

Tu vuo’ fa’ l’italiano: Mario negli Stati Uniti

Il mercato videoludico più redditizio, quello degli Stati Uniti, aveva tenuto a battesimo la nascita dei videogiochi come fenomeno commerciale ed era importante per Nintendo almeno quanto quello domestico. Un personaggio ideale avrebbe dovuto evitare una caratterizzazione eccessivamente “orientale”, soddisfacendo un contesto internazionale. Super Mario Bros. coniuga così lo stile del fumetto e del cartoon occidentale con quello dei manga domestici, divenendone una sintesi. Come ha notato Consalvo (2006; 2016), l’estetica di molti prodotti videoludici giapponesi è il prodotto di una ibridazione tra modelli diversi, all’interno di un risultante stile transnazionale. Questo processo, che si fonda sulla declinazione di una varietà di gradienti di de/nazionalizzazione dei contenuti e degli stili, è stato definito da Iwabuchi (2002) come parte integrante delle strategie di export delle industrie culturali giapponesi nel momento in cui si proiettavano sui mercati asiatici e euro-americani[22].

La ricezione di Mario in America sarebbe stata cruciale sia commercialmente che per la sua canonizzazione come italo-americano, attraverso fenomeni di popolarizzazione che trascendono il successo dei giochi. Negli anni successivi a Super Mario Bros. (1983), operazioni di sfruttamento commerciale del brand vedono Mario in spin-off di ogni tipo. Nel 1989 Nintendo licenzia Super Mario Bros. Super Show (DIC/Viacom 1989), una serie per adolescenti che combina e alterna la commedia televisiva allo show d’animazione. Lo show spiega come Mario e Luigi finiscano nel mondo fantastico del Mushroom Kingdom attraverso un varco interdimensionale venutosi a creare nella loro vasca da bagno a Brooklyn, New York. Il Mario dello show è, insomma, brooklinese, un fiero e caciaresco italo-americano, dall’accento prominente e ligio ai dettami dei luoghi comuni che lo vogliono ossessionato da pasta, pizza e dolci italiani, secondo un immaginario mediterraneista che è possibile rintracciare in documentari pseudo-etnografici come Eating Macaroni in the Streets of Naples (1903) e divenuto iconografia filmica “italianista” col Totò Miseria e Nobiltà (M. Mattioli 1954) e il Sordi di Un americano a Roma (1954)[23]. La stessa caratterizzazione ricorre in parte nella serie animata The Adventures of Super Mario Bros. 3 (DiC Animation/NBC, USA 1990), di poco successiva, e nel film Super Mario Bros. (Buena Vista, USA 1993). Il travagliato casting di quest’ultimo ruota intorno a attori associati o associabili a ruoli di italo-americani, come Dustin Hoffman, Danny de Vito e James Belushi, fino alla scelta di Bob Hoskins. Questo processo di consacrazione di Mario nella cultura pop nazionale aveva avuto avvio sin dalla localizzazione del manuale di gioco di Super Mario Bros. per il mercato americano, dove le tartarughe della versione originaria venivano chiamate goombas, un termine associato allo slang italo-americano.

Le influenze apocrife provenienti dalle industrie correlate ai giochi finiscono così per essere canonizzate nella ricezione di Mario: in un documento ufficiale di sviluppo del personaggio, distribuito in America, Mario viene definito come “brooklinese” di nascita e formazione[24]. Due titoli in particolare della serie Mario Teaches Typing[25], che insegnano al giocatore abilità dattilografiche, sviluppati fuori dal Giappone e pensati per piattaforme non esclusive di Nintendo, partecipano a questo processo. Tali spin-off di edutainment, che Nintendo licenzia alla americana Interplay, fungono da incubatori per lo sviluppo di un elemento importante: la voce parlante italo-americana di Mario.

La caratterizzazione della voce di Mario in Mario Teaches Typing ricorda in parte quella del Super Mario Bros. Show. Tuttavia, essa è confinata ai titoli iniziali ed è solo ambiguamente italo-americana. Questa connotazione cambia con il seguito, Mario Teaches Typing 2 (1997), in cui la voce parlante viene affidata all’attore e doppiatore Steve Martinet. Martinet interpreta Mario con un intercalare più acuto e fanciullesco, gioioso e ludico. È qui che lo storico vede forse per la prima volta il volto di Mario a pieno schermo, ricostruito come un cartoon di elementi poligonali, prorompere nell’ormai celebre cinguettio “it’s-a me, Mario!”.

La storia di come Martinet sia diventato la voce di Mario è ben nota e, come quella di Mario Segale, viene spesso presentata in forma aneddotica e semi-mitica. Nel racconto di Martinet, l’attore si ritrova quasi per caso, su suggerimento di un conoscente, a una audizione di una grossa compagnia giapponese. Del tutto a digiuno di conoscenze di videogiochi, Martinet avrebbe realizzato che un simile personaggio necessitava di una voce non adulta, improvvisandone così una in grado di suscitare gioia e spensieratezza nell’ascoltatrice. Dal punto di vista storico è però importante distinguere tra la narrazione mitica di Martinet e una analisi del suo contesto professionale e socioculturale. Seppure forse involontariamente convinto di improvvisare, Martinet attingeva in realtà al bagaglio culturale dei doppiatori e degli attori, tra i quali gli accenti italo-americani sono ben noti, dando seguito a modi bene attestati in cui i film (e i media in generale) perpetuavano le caratteristiche linguistiche degli inglesi italo-americani[26].

Come ricorda Lotardo (2010), i media hanno avuto un ruolo nell’orientare e perpetuare gli aspetti linguistici delle forme orali italo-americane attraverso le storie delle loro community negli States[27]. Un tipo di tali varietà linguistiche è il Wiseguy English, che riecheggia nella prima voce parlata di Mario. Questa è la voce di chi parla avendo vissuto prevalentemente o dalla nascita negli Stati Uniti, ed è quella di molti personaggi de Il Padrino (Coppola/Ruddy per Paramount, USA 1972, dal romanzo di Mario Puzo del 1969). Tali accenti divennero un elemento di innumerevoli altri gangster movie. La seconda voce di Mario, quella di Martinet, risponde a delle caratteristiche diverse, che la tesi di Bouchl sugli accenti italiani riconduce proprio a Super Mario; il cosiddetto Super Mario English (Bouchl 2015, p. 21) si rifà a una tradizione di italianismi diventati indicativi delle caratterizzazioni cartoonesche di personaggi “latini”; la variante suona come un insieme ipertrofico di diversi elementi: il ruolo della dentale vibrante r, la preponderanza del rimo sillabato, l’intrusione sistematica della schwa (la vocale ‘a’ che si attacca nella locuzione it’s-a me, Mario!).

Se Martinet finisce per optare per la seconda varietà, è probabilmente perché percepisce che un personaggio nato per intrattenere e divertire avrebbe beneficiato di un simile costruzione di origine “transatlantica” della pronuncia mediterraneista/latineggiante[28]. Martinet opera per Mario quello che Brando fa per il Padrino attraverso l’uso del ritmo, ma con uno stile che ricorda più il Cage del Mandolino del Capitano Corelli (Studio Canal, Francia/UK/USA 2001). Il Mario gioioso e vagamente italico di Martinet è comprensibile da un pubblico globalizzato e di ogni età senza evocare immaginari problematici, dissociato come è dal rischio di caratterizzazioni indesiderabili come i gangster movie[29]. Mario, come recitava il suo design sheet americano – “ha viaggiato troppo per essere intollerante”, men che meno un criminale[30]. Sia il volto che l’interpretazione di Martinet sono adottati ufficialmente anche in Super Mario 64, che vede la luce nello stesso anno di MTT2, sebbene si tratti di un prodotto di ben maggiore importanza storica, tecnologica, estetica e commerciale, e al quale si fa, di solito, risalire la genesi della voce parlante di Mario.

Tra Cool Japan e Made in Italy

La terza fase di questo studio sullo sviluppo di Mario corrisponde alla ulteriore canonizzazione degli elementi di italianità del personaggio. Questa fase origina a partire dagli anni Novanta, quando il triplicarsi del valore di scambio dello yen rispetto alla vecchia lira e il successo dei brand del made in Italy sul piano economico e simbolico concorrono al cosiddetto “Italy boom” in Giappone del cibo, della moda e degli stili di vita del Belpaese (Miyake 2013, p. 100), proprio mentre in Italia spopola la “J-culture” (animazione, fumetti, videogames) e il Giappone diviene il paese “orientale” più popolare[31]. Il fatto che l’Italia e l’italiano vengano progressivamente associati in Giappone alla coolness e al divertimento potrebbe avere lasciato un segno sulla progressiva italianizzazione di Mario nei giochi principali prodotti da Nintendo a partire da quegli anni. Persino la pasta si fa strada in maniera sottile ma molto efficace nella caratterizzazione del personaggio: lasciato fermo per qualche secondo in Super Mario 64, Mario inizia a riposare. Dopo avere russato sonoramente per un paio di minuti, inizierà a parlare nel sonno, rivelando dolci sogni di un cibo italiano per antonomasia: “Ah, spaghetti. Ah, ravioli!”[32].

Il processo di italianizzazione dei Mario si accompagna in generale a una sua crescente “globalizzazione”, con un graduale abbandono dello stile giapponese di giochi come Super Mario Bros. 3 (1990) e Super Mario World (1991) e il graduale prevalere di ambientazioni e immaginari visivi urbani, inclusi aeroporti e destinazioni dall’immaginario turistico, in franchise e titoli come Mario Kart 64 (1997), Mario Tennis (2000) e Mario Strikers (2005)[33]. La canonizzazione della sua italianità è, in parallelo, posta più in evidenza, soprattutto nei recenti Super Mario Odyssey (2017) e Mario Kart 8 (2017). Il primo mette in scena un omaggio nostalgico alla cultura italo-americana attraverso la scena della celebrazione della città di New Donk City (calco di New York), che celebra Mario come brooklinese attraverso la performance del personaggio di Pauline (quasi emula di Nancy Sinatra) in una big band jazz in stile anni Cinquanta. Nel secondo, le giocatrici possono ottenere, tra i vari veicoli, uno scooter che ricorda a tutti gli effetti la Vespa della Piaggio. Nel mentre, in Italia, una pubblicità della Piaggio presentava un personaggio travestito da Super Mario. Nel loro complesso, tali elementi sembrano suggerire possibili strategie di marketing e cross-branding in corso sulla scorta di icone e prodotti di richiamo internazionale del made in Italy[34].

D’altro canto, Nintendo ha abbracciato l’italianità di Mario stando anche attenta a non sovraccaricarla o evocare argomenti controversi. Ogni riferimento alla mafia è sempre stato evitato con attenzione, nonostante la genealogia di alcuni personaggi dell’universo del Mushroom Kingdom rechi ancora le vestigia di riferimenti potenzialmente problematici: è questo il caso dei goomba, i funghi malefici contrapposti a Mario, il cui nome è ricalcato su gumbà o cumpà, corruzione di compare o cumpari, che possono indicare, nella cultura italo-americana, l’amico di famiglia oppure lo sgherro mafioso o il malavitoso di quartiere[35]. Né Mario, anche se sogna la pasta, è davvero un appassionato di pizza (al contrario delle Tartarughe Ninja, anch’esse newyorkesi e, se non italiane, almeno battezzate con i nomi delle icone del Rinascimento italiano). Nintendo si è assicurata che l’italianità di Mario contribuisse al design dei giochi senza diventare un impedimento per il design dei suoi prodotti. Il personaggio doveva restare versatile, riutilizzabile in situazioni differenti e sufficientemente neutrale[36]. Questa constatazione pragmatica può fungere da antidoto a eventuali procedimenti culturalisti estremi, volti a spiegare dei testi in maniera deterministica, sulla base di più ampi e generici processi storici.

Conclusioni

Sebbene l’italianità di Mario non sia la ragione ultima di esistenza del personaggio, questo resta forse un esempio di come degli sguardi globali sull’Italia e sull’italianità operino caratterizzando determinate marche linguistiche ed etniche in senso ipertrofico, all’interno di rappresentazioni e narrazioni occidentaliste e mediterraneiste storicamente più ampie e bene attestate. Mario appare infatti, nel suo complesso, una costruzione culturale che rivela come interscambi stratificati di culture al livello transnazionale abbiano plasmato nel tempo un personaggio al contempo sufficientemente neutro e vagamente etnico, familiare ed esotico. Nel corso delle sue iterazioni, Mario continua gradualmente ad accumulare elementi e cliché vagamente mediterraneisti, restando una macchietta bonaria e, pur tuttavia, rivelando una certa implicazione in diffusi stereotipi e ventriloquizzazioni della “italianità”.

La storia di Mario, anche solo quella della sua italianità e della sua ricezione in chiave rappresentativa e trans/nazionale, è troppo vasta per consentire a un breve articolo di occuparsene esaustivamente. Anche se questo studio ha tentato di suggerire una contestualizzazione storica di Mario attraverso diverse culture, esso si situa in parte nel territorio di ipotesi e corrispondenze ancora da verificare. Questo saggio ha comunque tentato di dimostrare come un campo di studi sui personaggi delle industrie culturali possa coniugare considerazioni pragmatiche e di design con analisi di matrice storiografica e iconografica. La storia di Mario pare finora, nel suo complesso, quella di un peculiare ibrido italico che ha saputo diventare un colonizzatore, se non delle culture, degli schermi delle videogiocatrici di tutto il mondo. Tale è il suo successo che è persino concepibile che l’idraulico brooklinese di Nintendo rappresenti a tutti gli effetti un involontario promotore di una certa, vaga idea di italianità, o persino un potenziale ambasciatore dell’Italia nel mondo, seppure del tutto sprovvisto (almeno finora) di passaporto.

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Questa ricerca è stata presentata alla conferenza internazionale DiGRA 2019, Kyoto, Giappone (6-10 agosto). L’autore desidera ringraziare Toshio Miyake, Marco Pellitteri e Federico Giordano per le fruttuose discussioni intorno alle bozze dell’articolo.

Note

[1]Le copie vendute del franchise supererebbero i 700 milioni. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Mario_(franchise)

[2]Cfr. Press The Buttons (2019).

[3]Il termine indica generalmente una provenienza dalle Americhe cosiddette “Centrale” e “del Sud” secondo una prospettiva egemonica Euro-Americana, ed è distinto da marker storico-linguistici come “ispanico” o “italico”, anche se pubblici diversi possono tendere a con-fonderli: cfr. Quora (2019).

[4]Sono debitore a Marco Pellitteri per la discussione su Mario come italoide. L’italianità di Mario non è quella di un Alberto Sordi, né è riconducibile a quelle italo-americane di Frank Sinatra e James Gandolfini, e neppure a un personaggio immaginario come Rocky Balboa, collocandosi più fermamente a un grado zero della italicità.

[5]Questo saggio è stato vagamente ispirato da Eco (2002). Cfr. anche Bongiorno (2008).

[6]Nel complesso, Mario è comparso in almeno 300 titoli ufficiali. Cfr. Super Mario Wiki, the Mario Encyclopedia, https://www.mariowiki.com/.

[7]Said (1979) ha utilizzato il termine orientalismo per definire le pratiche e discorsi che contribuiscono a forme di narrazione mitica ed essenzializzanti del cosiddetto “Oriente”, storicamente costruito dagli “occidentali” a partire dal presupposto che esista qualcosa come l’“Occidente”. Cfr. Miyake (2010; 2010b, pp. 1-2; 2014, pp. 35-36), su come storicamente l’occidentalismo non sia “un semplice Orientalismo rovesciato”, bensì “la condizione stessa della possibilità dell’Orientalismo”. L’autore è debitore con Toshio Miyake per le fruttuose discussioni sul tema. Cfr. Said (1979; 1993), Hall (1992, pp. 275-333), Young (2001), Sherry (2012, pp. 651-655), Coronil (1996).

[8]A seguito della pubblicazione del gioco, RKO cita Nintendo per un presunto plagio di King Kong; la causa si conclude nel 1984 con la assoluzione di Nintendo. Cfr. Kent (2001).

[9]Cfr. un’intervista a Miyamoto su Nintendo (2015).

[10]Abbreviazione dell’inglese coin-operated, operato a moneta.

[11]Cfr. D’Anastasio (2018).

[12]Incluso il tropo narrativo patriarcale della damigella in pericolo, Shaw (2014). Cfr. anche il saggio di Dalila Forni contenuto in questo volume.

[13]Popeye, creato da Elzie Crisler Segar, nasce nel 1929.

[14]In Super Mario Bros., Mario ha una risoluzione di 16×12 pixel.

[15]Cfr. un sondaggio cit. in Iwabuchi (2002, p. 30).

[16]Con il termine Mediterraneanism, Herzfeld (1987) si è riferito a una serie di costrutti storici formulati dal cosiddetto Occidente riguardanti i popoli mediterranei. I discorsi mediterraneisti possono rientrare in una assiologia negativa o positiva, esterna o internalizzata, di primo o secondo grado (cfr. Tedesco 2017).

[17]Dower (2010).

[18]Miyake (2010b) stabilisce tre fasi storiche dei rapporti culturali tra le due nazioni e nota come le reciproche geografie immaginarie rivelino un’estraneità dell’Italia rispetto alla dialettica ideologica costruita in Giappone nei confronti della egemonia politica e percepita rivalità antropologica di paesi come gli Stati Uniti e la Germania dopo il secondo conflitto.

[19]Cfr. Agnew (1997), Chard (1999), Ceserani (2013), De Seta (2014), Carbone (2017).

[20]Cfr. Miyake (2010b) e Ching (1998). Un precipitato di bonari stereotipici storici sull’Italia è la serie Hetalia Axis Powers (gioco di parole con il termine giapponese hetare, “inutile”) (Hidekaz Himaruya/Gentosha, Giappone, 2009-2010). Ringrazio Ivan Girina per la segnalazione.

[21]Lo stesso aspetto iper-mediterraneo di Mario ricorda poi più le rappresentazioni working class statunitensi che il businessman Mario Segale Cfr. la celebre foto Lunch atop a Skyscraper (1932), ritraente degli operai sulla vetta del Rockefeller Center, New York.

[22]Cfr. Pellitteri (2008a; 2008b; 2011, pp. 61-65, 118-119); sulle sinergie, tramite character design, tra giochi e altri media cfr. Condry (2009).

[23]Una disamina accurata della circolazione transnazionale di tali iconografie e dei loro possibili legami intertestuali e genealogici è da rimandare a futuri e più estesi studi.

[24]Cfr. Harris (2015) e Press the Button (2014).

[25]Adattamento della serie Mavis Beacon (1987-2019).

[26]Cfr. Machlin (1975); Herman e Herman (1997). Gli accenti stabiliscono una riconoscibilità immediata del personaggio, senza che essa debba essere asserita dal suo comportamento, ma possono implicare il rafforzamento di stereotipi linguistici (Tricarico 2014), culturali (Jackson 2014, p. 165) ed etnici che possono conformare i soggetti a narrazioni di cui internalizzano i valori; su cultura, linguaggio e potere cfr. Lippi-Green (1997) e Holliday (2010).

[27]Cfr. Haller (1987) e Sindoni (2014).

[28]Cfr. Blunt (1967) e Pagliai (1995; 2005).

[29]La caricatura bambinesca della voce ben si abbina anche alle forme, ai colori e alla silhouette di un personaggio composto da cerchi morbidi, con una forma neotenica del viso che ispira fiducia e serenità (cfr. Sloan, 2015). La generica italianità abbandona lo stereotipo crasso degli spin-off statunitensi. Super Mario diventa un simulacro ideale che consente cose sovrannaturali in un mondo in cui ogni ostilità è superabile, non attraverso un corpo irraggiungibile (né un sex symbol, né un atleta; né un supereroe né un semidio), ma attraverso un simulacro tanto irrealistico quanto rassicurante.

[30]Cfr. Press the Buttons (2014).

[31]Cfr. Miyake (2014). Le immagini “da cartolina” dell’Italia si fanno strada in questo periodo nei videogiochi, da Roma in Mario is Missing (1993) alle immagini discusse da Castronuovo in questo volume.

[32]Inizialmente solo nella versione americana, poi anche nella riedizione giapponese Shindou Super Mario 64 (1997). Cfr. Looygi (2019).

[33]Cfr. Mario Kart 64 (1997) e Mario Kart Tour (2019)

[34]Cfr. Molossi (1999).

[35]Per approfondire si rimanda a De Carlo (2010), De Fina (2014), Lampos/Pearson (2005).

[36]Per esempio, in Paper Mario (2000-2017), Mario è muto e si esprime mediante pantomima.

 

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1 commento

  1. Suggerisco di dare un’occhiata forse al primissimo gioco inerente la saga di SuperMario, il non citato “Wrecking Crew” per Nintendo/Arcade, nel quale compare un’altro stereotipo (vagamente anti-semita)… quello di Foreman Spike, prima (ipoteticamente) nemesi di Mario.

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