“La neve non ha odore”, un estratto
Pubblichiamo un estratto da “La neve non ha odore” di Samuel Fisher, pubblicato da 8tto Edizioni con la traduzione di Cristina Cigognini.
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di Samuel Fisher
JOE
Quando arrivarono al fiume, gli occhi di Ian erano ancora aperti. Un cerchio di persone si era radunato a pochi metri da dove la neve aveva infine arrestato il sangue. Appena discosto, mezzo voltato, c’era Patrick, l’ascia che gli penzolava dalla mano guantata.
Il ghiaccio che si era formato sulle sue ciglia era diventato rosso come vino. Questa appariscenza, che gli contornava gli occhi fissi sul ghiaccio ai suoi piedi, senza vederlo, fece venire in mente a Joe le teste di legno appese alle travi della chiesa di St Mary: i volti dipinti dei defunti consiglieri comunali che avevano finanziato la ristrutturazione della chiesa, e che ora vegliavano sui propri discendenti. Pensò al modo in cui le loro smorfie e le guance dipinte di rosso dileggiassero la solennità del luogo.
Joe voleva porre l’ovvia domanda. Ce l’aveva sulla punta della lingua. Ma per qualche motivo, quando aprì la bocca, ne produsse un’altra.
«Che cosa hai fatto?»
E già, invece che alle cause, la mente andava alle conseguenze.
Patrick voltò la schiena e alzò le mani per ripararsi gli occhi dal sole calante. La stoffa del suo cappuccio si era raggrinzita e indurita in lievi onde, la cucitura si stava disfacendo.
Joe sentì la madre di Ian prima ancora di vederla, stagliata contro le doppie porte azzurre del Nottage, che chiamava il nome del figlio sopra la vibrazione del generatore, la quale dava forma alle loro giornate: un rumore forte di cui non ti accorgevi finché non smetteva. Quando si voltò di nuovo, Patrick stava già camminando nella neve, in fuga dal nome di Ian.
Joe rimase in piedi a guardare insieme a tutti gli altri mentre Sandra attraversava la vecchia riva fin dove si trovavano loro – immobili – in mezzo al fiume ghiacciato. La guardò inciampare. Quando alla fine arrivò, emise un gemito che riportò tutto in moto. Cadde sulle ginocchia e le donne lì intorno andarono da lei per sostenerla.
Poi iniziarono a cullarla, mentre gli uomini indugiavano sul chi vive, in attesa che qualcuno facesse qualcosa, che prendesse l’iniziativa; uno stallo che fu rotto nel momento in cui arrivò il padre di Ian. Rosso per il bere e per il freddo, Alan diede un’occhiata a suo figlio e vomitò. Afferrò Joe, imprecò e maledisse il nome di Patrick, ma Patrick se ne era già andato.
Joe guardò la propria madre che cullava Sandra e cercò di ricordare quand’era l’ultima volta che l’aveva vista fuori di casa. Cercò di ricordare l’ultima volta in cui tutto il paese si era riunito in questo modo, in un solo luogo. Si rese conto di come il numero degli abitanti fosse diminuito. Appena per un momento provò una strana gioia solo per essere vicino a così tante persone.
Dopo che Sandra e Alan furono allontanati, quasi trascinati via, gli altri abitanti se ne andarono da soli o a due a due, finché non rimasero che Joe e Alfie. Presero una slitta dal Nottage e vi trasportarono il corpo di Ian fino al molo. Alfie tirò fuori un telo cerato. Senza dire niente ci avvolsero il corpo, le dita di Joe avevano i crampi nelle muffole, e lo piazzarono sotto la chiglia di un dinghy rovesciato e abbandonato, con sopra delle pietre pesanti per tenere lontane le volpi.
Si accasciarono contro la chiglia della barca; si stava facendo buio e il generatore si zittì. Poi arrancarono verso casa e, per la prima volta da mesi, Joe si sedette con Alfie al tavolo in cucina e bevve finché il freddo non gli uscì dalle ossa.
Per un momento, con il sangue che gli pulsa nella lingua, Joe si dimentica dov’è.
Il cuore gli rallenta ed è il ronzio lontano del generatore che riporta alla memoria gli eventi del giorno prima; una sequenza di immagini irreali che gli si dispiegano dietro le palpebre. Si tira su dal letto e indossa indumenti termici con movimenti veloci, ormai esperti, prima di aprire le tende.
Fa una smorfia per la luce. Non avrebbe mai pensato di sentire la mancanza della fanghiglia: la sua viscida lucentezza. Lo schiocco e il risucchio al cambio di marea; l’odore intenso di cacca d’uccello dopo una giornata calda e un paio di birre al Rose, mentre il sole sfiorava le nuvole sfumandole di rosa. Le gradazioni verde-blu-giallo che segnavano i cambiamenti di luce quando le giornate e le stagioni passavano sopra il paese e il fiume. E ora, solo neve. Neve senza fine.
Si ricorda di una foca. In passato le aveva avvistate nel fiume, ma questa era parcheggiata nella fanghiglia, proprio davanti al pub. La gente le lanciava delle patatine che scavavano delle strisce corte nel fango. La foca le lasciava dov’erano. Inarcava la schiena, naso in su: non era interessata. Dopo un paio di minuti, scivolò giù per la banchina nel fiume e sparì.
«Joe?»
Lui lascia cadere la tenda e torna la penombra: il calore del letto, l’odore del fiato di Rachel.
«Torna a dormire. Il sole è sorto solo a metà.»
Mentre si infila uno degli stivali, la forza lo abbandona.
La vede che lo lascia nell’umidità del proprio respiro che diventa bianco nell’aria. Rachel sospira mentre si rigira nel sonno.
Prima di ieri, era arrivato ad accarezzare l’idea che la neve fosse una buona cosa. Li aveva costretti a cavarsela da soli. Aveva provato un senso di rivincita, quando quelli che se n’erano andati, partiti per la città anni prima per lavoro o per studio, avevano fatto ritorno lungo i binari del treno, insieme a tutti gli altri miserabili – in arrivo da Londra con i loro piumini alla moda, affamati e infreddoliti.
Forse Patrick ce l’aveva sempre avuta in sé: una violenza latente.
Infila una mano sotto le coperte, finché non trova la curva tiepida della schiena di Rachel e si ferma sul suo fianco. Per un secondo, considera l’idea di spogliarsi di nuovo e tornare lì sotto con lei. Ma sa che poi se ne pentirebbe, di aver perso i momenti di silenzio corroborante lì fuori, nella solitudine e nel freddo pungente. Un pozzo a cui attingere quando il resto della giornata si fa avanti con le proprie pretese.
Quindi, si infila l’altro stivale e si trascina giù dalle scale. In cucina apre e chiude gli armadietti. Anche se sa cosa ci troverà, ha l’impressione che si possa essere materializzata un’arancia fresca, miracolosamente, durante la notte. Un’arancia piena di sole che gli avrebbe lasciato sulle dita il suo profumo pungente per tutto il giorno.
I semicingolati arriveranno questo pomeriggio. Per un attimo, ripiegato sopra il bancone, si crogiola in un momento di autocommiserazione.
Spinge in tasca un paio di biscotti d’avena e gli si blocca per un attimo il respiro mentre esce nel freddo.