Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, un estratto dal libro London Voodoo di Orso Tosco, uscito per minimum fax.

di Orso Tosco

Il Corano dice: «Ai miscredenti saranno tagliate vesti di fuoco, e sulle loro teste verrà versata acqua bollente che fonderà le loro viscere e la loro pelle». E tu sei Dennis Tabbot e sai che il Porco ha trovato una pista da seguire, ma prima di qualsiasi altra cosa devi farlo fumare. Così guidi verso casa sua il più velocemente possibile, perché il Porco trema e perché tu conosci l’urgenza.

Le vostre dipendenze sono violente, numerose ed esigenti. Viste dall’esterno devono apparire come squallide malattie croniche, debolezze. Per voi invece rappresentano una scuola, dove si impara che ogni minuto è conteso tra molti dittatori, e un metronomo, in grado di zittire le bugie degli orologi e dei calendari, un metronomo per ricordarvi che esiste solo e soltanto il tempo presente, con le sue richieste, con il suo assalto incessante.

Questa scoperta condivisa fu ciò che fece avvicinare te e il Porco, quando eravate soltanto due giovani professionisti del dolore. Il genere di sbirri a cui vengono affidati compiti brutali e semplici. Ma voi non siete mai stati due stupidi, e tantomeno due sempliciotti. Il vostro voodoo urbano nasce dal sonno degli ubriachi, dagli schermi dei cellulari degli strozzini, la vostra magia scaturisce dalla rabbia repressa dei pendolari bloccati in coda, dal brutale calendario delle violenze domestiche, riceve energia dai barboni che si accalcano sui lati dei marciapiedi e dalle risse nei centri commerciali, si nutre di sigilli che impediscono l’uso dell’elettricità ai morosi, di rapine, delle droghe dei reparti di salute mentale, dei pestaggi della polizia, degli stupri, dei mancati rinnovi di un visto o della copertura medica.

Ma più di ogni altra fonte, il vostro voodoo è un sistema basato sull’agonia, sulla tortura e sulla repressione. Non c’è altro modo, per suscitare le parole necessarie alla vostra magia nera, che strapparle dalle labbra delle vittime.

Lasci il Porco davanti a casa. Vi date appuntamento tra due ore. Ha bisogno di fumare e deve chiedere un favore al suo oracolo, a Sessantanove. L’unica creatura che riesca a farti provare paura. Troppo antica, troppo potente e derelitta, schiava di due nullità come voi, eppure capace di qualsiasi cosa.

Questa pausa ti lascia il tempo per prepararti, ti concede il tempo per meditare. Il tipo di meditazione che pratichi si svolge rigorosamente in ambienti affollati, caotici, scomodi. Posti come Dalston Junction Station durante la massima allerta, con le sirene blu della polizia e le squadre in assetto antiterrorismo, i fucili e i giubbotti antiproiettile, gli ordini urlati. Bene così. Benissimo così, per te che scavalchi la fila del controllo dei documenti sfruttando il tuo distintivo e hai fortuna, perché appena scese le scale che portano al binario, ti ritrovi subito davanti la porta aperta di un treno. Ci sali sopra. Non controlli nemmeno la destinazione, potrebbe essere Crystal Palace, New Cross o Clapham Junction. Persino West Croydon. Non importa. La destinazione non ha importanza, la durata è ciò che conta. Hai bisogno di tempo e di un posto dove sederti.

Di solito i londinesi sono abituati a ignorare gli altri. È una prassi necessaria dato che in giro ci sono troppe facce e troppi dettagli, troppi pericoli, troppe tentazioni, e se uno non si schermasse davanti all’ignoto trascorrerebbe il proprio tempo fissando sconosciuti, come fanno i bambini e i matti. Così la gente impara a osservare sfruttando le superfici riflettenti, le porte vetro, le cromature, gli schermi digitali, ruba dettagli mentre finge di guardare altrove. Ma nel tuo caso, Dennis, i viaggiatori che ti circondano fanno più fatica del solito. Provano a ignorarti ma falliscono. Perché sei rumoroso e perché il tuo modo di sorridere è sporco, sguaiato e osceno. E soprattutto per via della tua stazza, che ti fa sembrare simile al bisonte raffigurato sull’etichetta della vodka che inizi a sorseggiare.

Tu hai bisogno di questi sguardi interessati e impauriti. La tua meditazione esige l’attenzione degli sconosciuti che ti circondano, si nutre della loro frustrazione, perché sono disgustati e incuriositi e vorrebbero studiarti. Invece sei tu a studiare loro. Sei tu che li osservi, uno per uno, come fossero capi di abbigliamento. E mentre lo fai tieni le cuffie premute a fondo nelle orecchie per ascoltare le canzoni che più disprezzi, quelle che ti ricordano l’adolescenza. Il periodo in cui hai intuito come il mondo andasse odiato con una dedizione assoluta.

«Cruel Summer» delle Bananarama. Ecco cosa ascolti mentre passi in rassegna i volti degli altri viaggiatori. Una successione insensata di lui e lei, senza età, senza etnia, senza stato sociale, una massa informe contraddistinta appena dal sesso, e non sempre, perché alle volte è difficile stabilirlo e nemmeno ti importa. Ciò su cui ti soffermi è la pelle, le imperfezioni e gli splendori della pelle. Le cose che ti interessano sono i nasi, le orecchie, il modo in cui i tessuti coprono le ossa e le parti grasse, il modo in cui i capelli si diradano oppure celano un occhio alla volta, e le unghie, le dita, le scarpe. It’s a cruel summer, leaving me here on my own, ed è inverno e bevi vodka liscia e guardi le ginocchia, le schiene, l’orlo dei pantaloni e le calze a rete, lui e lei, i denti, il fiatone, i calzini corti, le frangette. Fai ripartire la canzone da capo ed ecco la fermata di Haggerston, con i suoi nuovi trucchi architettonici che spingono verso l’ordine, la dolcezza, ma vengono subito smentiti dai materiali delle speculazioni edilizie, che hanno fretta di invecchiare, di marcire. Ecco altri lui e altre lei, altre rughe, altre creme per il viso e altri contorni del naso arrossati, altri cappucci, altri sbadigli rivolti verso lo schermo dei cellulari. Nessuno si siede accanto a te. La fermata di Hoxton, mattoni e vetro, scheletri di cemento, torri che attendono di essere vestite, appartamenti e ponti d’acciaio, bulloni, ruggine, i tetti delle vecchie case, altre labbra sottili, altre ciglia, e poi i baffi, le gambe accavallate, the city is crowded, my friends are away and I’m on my own. La Stazione di Shoreditch, la City in lontananza, Liverpool Street sventrata, Eva B tradita da uno dei suoi uomini più fedeli. Rudolph Bandura morto. Le piste da trovare e quelle da scartare, le tracce da seguire. Il Porco a casa che chiede aiuto al suo oracolo, e questo enigma da formulare e da risolvere. Pensi a Whitehead, al cacciatore, ed ecco la stazione di Whitechapel, la prefazione al buio seguente, altri cappotti, altri stivali, più sbirri, bici pieghevoli, libri, zaini, occhiali da vista appannati, e poi altro buio, prima di Wapping, prima di infilarvi sotto il Tamigi. It’s a cruel cruel summer, estate crudele in pieno inverno, stato massimo di allerta. Canada Water, vicoli, cunicoli, ferro e acciaio, mattoni, ventiquattrore, fascicoli, monopattini elettrici, cravatte, pelli arrossate da troppe rasature, il Tamigi grigio, color d’elefante, palazzi di vetro in lontananza. Surrey Quays, vegetazione lungo i bordi, muschio, sacchetti di plastica arancione.

E infine lei, quello che cercavi. Con i boccoli neri e la pelle chiara, giovane, le labbra rosse. Osservi la sua bocca e noti la punta del canino scheggiata, immagini come debba essere bello sentirsela scorrere addosso, sulla schiena, e come debba essere piacevole permetterle di tagliarti, lentamente, con dolcezza, come per fare uscire del veleno da una ferita. Desideri così tanto i suoi denti sopra la tua pelle che finisci per sentirli, li avverti sulle cosce, sui coglioni, nella lingua. Ti immagini stringere quel corpo magro e profumato fino ad avvicinarlo al tuo, in modo da portare le cose dove meritano di arrivare, al punto di rottura.Osservi il fidanzatino della ragazza, bello e inutile, ammantato di quell’alone di finto tormento tipico dei rampolli di buona famiglia che frequentano accademie artistiche: foulard sbiadito al collo, chioma folta, giacca e pantaloni di liso velluto color acquamarina, camicia porpora, molti anelli alle dita, uno per ogni viaggio esotico, denti splendenti nonostante il tabacco e il vino rosso. Li immagini assieme, nella loro stanza da studenti universitari in una casa condivisa, con un gatto che dorme in soggiorno e di cui nessuno si dice proprietario. Li immagini scopare. Lei geme, lui trattiene il fiato. Immagini di sfondare la porta di quella camera e di comparire davanti a loro. È facile ipotizzare la loro sorpresa, la loro paura. Ma a te interessa solo l’odore della stanza, quello dolciastro e ammoniacato dello sperma e quello aspro dell’urina mischiati ai profumi sintetici dei deodoranti e dei bagnoschiuma, forse un incenso, un sentore di erba. Sai perfettamente cosa proverebbero a fare, la piccola reazione che tenterebbero, e il modo in cui tu glielo impediresti. Una familiarità feroce ti lega a loro. Hai già sperimentato molte volte il disgusto che investirebbe questi due ragazzi ritrovandosi a letto con te. Quel disprezzo e quel disgusto hanno un sapore – che tu già avverti sulla lingua – ed è il sapore più dolce e prezioso: ma dura un attimo appena. E tu lo deglutisci, Dennis, assieme alla tua saliva che sa di bile e vodka. Lo sprechi, lo perdi, e lo rivuoi indietro. E c’è soltanto un modo per ritrovarlo.

Così quando i due ragazzi escono, alla fermata di New Cross Gate, esci anche tu. Li segui.

 

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