Un estratto da “La tigre e l’usignolo” di Mauro Garofalo

Pubblichiamo, ringraziando autore e editore, un estratto dal romanzo di Mauro Garofalo La tigre e l’usignolo. Il libro sarà presentato il 4 giugno presso la libreria Libraccio di Milano, alle ore 18. Interviene Vittorio Lingiardi.

Come sempre, tirò su la serranda del negozio alle sette e mezza del mattino. La saracinesca aveva cigolato, Sembra il lamento di un fantasma, gli aveva ripetuto così tante volte sua moglie che il commerciante valutò l’opportunità di chiedere di nuovo un preventivo al fabbro dall’altra parte della strada. Sapeva che doveva farla aggiustare ma, quel mese, non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a pagare le bollette, figuriamoci riparare la serranda.

Rabbrividì al vento gelido che veniva dalla Russia siberiana, lo avevano detto al telegiornale. Erano i primi giorni di marzo ma sembrava d’essere nel mese dei morti. La corrente s’infilò sotto la maglia di lana, una canottiera beige, più che bianca, dalla grana spessa e consumata, come lui. Alzò lo sguardo al cielo grigio, le foglie cadevano dai rami, più che sbocciare l’inizio della primavera stava già appassendo.

A quasi sessant’anni il ferramenta non era contento della sua vita. Beveva il latte freddo a colazione, si svegliava, accendeva la televisione, gettava il telecomando sulla poltrona, entrava in bagno, si lavava ascelle e viso. La vita era passata senza picchi, un uomo come tanti, con le borse sotto gli occhi, la pancia prominente di chi non ha più tempo per l’attività fisica né tanti grilli per la testa. Prima di entrare in negozio guardò dall’altra parte della piazza, in direzione del nuovo centro commerciale aperto da poco. Aveva i prezzi più bassi dei suoi, si poteva permettere luci accese anche di notte.

Lui che spegneva tutto prima di andar via alla sera, Sei un micragnoso, lo sgridava sua moglie; in realtà non si amavano più da molto tempo, i figli erano cresciuti, a volte il minore gli dava una mano in bottega, perlopiù se ne andava in giro a bighellonare con gli amici, la maggiore invece era andata ad abitare lontano, e lui l’aveva appoggiata: tutto purché fosse fuori dalle grinfie della donna che aveva sposato.

Sapeva d’aver fatto il suo dovere di padre con la retta universitaria, i libri, fino a che sua figlia era stata piccola riusciva persino a pagare qualche vacanza, come quella volta sui monti della Toscana, un paesaggio di valli ingiallite e creste rocciose, si rammentò che avevano visto i falchi volare alti nel cielo, Papà guarda, gli aveva detto il piccino, si era sentito così orgoglioso. Perché un uomo che porta in vacanza la sua famiglia è un uomo. Chi non ci riesce invece.

 

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