Nessuno si salva da solo

Pubblichiamo un estratto dal libro di Letizia Gabaglio Epidemie, vaccini e Novax, uscito per Centauria. Ringraziamo editore e autrice.

di Letizia Gabaglio

In passato, quando non erano disponibili medicine o vaccini, davanti al flagello di unʼepidemia la speranza era che passasse al più presto.

Era comunque evidente, anche in assenza di strategie di contenimento, che le infezioni avevano un loro corso naturale: dopo aver raggiunto un picco, la loro contagiosità tendeva a scendere, fino a volte scomparire, per poi magari fare ritorno a distanza di decine di anni. Lʼandamento ciclico delle epidemie è da sempre oggetto di interesse per gli scienziati: ci sono casi in cui la diffusione sembra fermarsi da sola, e non importa che tutti abbiano contratto la malattia e quindi sviluppato le difese contro quello specifico patogeno.

Da cosa dipende? Ad analizzare la questione con metodo scientifico fu William Heater Hamer, medico inglese che allʼinizio del 1900 tenne alcune lezioni al Royal College of Physicians sulla lenta propagazione delle epidemie in cui metteva in evidenza come i fattori cruciali fossero da una parte la densità delle persone suscettibili e dallʼaltra le loro occasioni di incontro con gli infetti. Più o meno negli stessi anni John Brownlee, medico scozzese, era invece convinto che la ciclicità delle epidemie dipendesse dallʼaumento o dalla perdita di infettività da parte del patogeno.

Fu grazie a Ronald Ross, Nobel per la medicina nel 1902 per aver scoperto il ciclo vitale del parassita che causa la malaria, e al suo articolo pubblicato nel 1916 sui «Proceedings of the Royal Society», che il concetto di soglia minima di infezione prese una forma concreta: è solo quando il numero di persone suscettibili a unʼinfezione scende sotto una certa soglia che lʼepidemia rallenta il suo corso, sosteneva Ross.

La prima pubblicazione scientifica che utilizza esplicitamente il termine “immunità di gregge” sembra essere stato uno studio pubblicato nel 1923. Oggi si preferisce parlare di immunità di comunità perché rende evidente lʼatto di solidarietà che sottende alla vaccinazione e non richiama lʼatteggiamento da follower, diremo oggi, tipico degli animali che si muovono in formazione compatta.

Comunque lo si voglia chiamare, il concetto è lo stesso: per rallentare, se non eliminare, la circolazione di un patogeno non è necessario avere una popolazione totalmente immune (grazie alla vaccinazione o allʼaver superato la malattia), è sufficiente che la probabilità di trasmissione si mantenga sotto una certa soglia. In altre parole basta che sia immune un numero sufficiente di persone per proteggere anche gli altri, come chi, quando piove, apre lʼombrello e copre chi gli sta vicino. La domanda a questo punto è: quanto deve essere grande lʼombrello per riparare lʼintera comunità? O, in termini scientifici, qual è la percentuale di popolazione immunizzata necessaria? La risposta non è uguale per tutte le infezioni, dipende dalla contagiosità del virus o del batterio che la scatena. Nel caso del morbillo, per esempio, questa soglia è stata calcolata nel novantacinque per cento della popolazione, per il vaiolo o la poliomielite il valore si abbassa intorno allʼottanta per cento, nel caso di Ebola si stima che si possa arrivare anche solo fino al sessanta per cento.

Lʼimmunità può essere raggiunta grazie alla vaccinazione oppure in modo “naturale”, lasciando che lʼinfezione faccia il suo corso, come accadeva quando non avevamo a disposizione i vaccini. Di fronte alla pandemia causata da Sars-Cov-2, quella che ha colpito tutto il mondo nel 2020, cʼè chi ha suggerito proprio di arrivare alla protezione dellʼintera popolazione senza limitare lʼesposizione al virus. Sono stati in pochi, a onor del vero, e si sono dovuti anche ricredere una volta che è stato chiaro il tributo di vite che si sarebbe dovuto pagare. LʼOrganizzazione mondiale della sanità è stata molto chiara a questo proposito: «Lʼimmunità di gregge si ottiene proteggendo le persone da un virus, non esponendole ad esso.

Mai nella storia della sanità pubblica è stata usata come strategia per sconfiggere unʼepidemia. Tanto meno per una pandemia» ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore dellʼOms il 12 ottobre 2020.

Lʼimmunità di comunità, quindi, la potremo raggiungere solo grazie ai vaccini.

 

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