Vola via, pacchetto digitale

Pubblichiamo la prefazione da Tubi, Viaggio al centro di Internet, di Andrew Blum, a cura di Fabio Guarnaccia e Luca Barra, in uscita per minimum fax, che ringraziamo.

di Fabio Guarnaccia

Tutti noi abbiamo da tempo incorporato nelle nostre vite quella particolare forma di magia emanata dalla tecnologia digitale, che sia in forma di dispositivo (un iPhone) o di medium (internet). In un caso o nell’altro la superficie liscia delle cose ci permette al più di specchiarci come di fronte a un monolite, ma non c’è verso di vedere oltre o attraverso. Il case non offre accesso, ma anche se fossimo in possesso della forcina giusta ci troveremmo di fronte a un micromondo che non capiremmo, privo di qualsiasi valvola di iniezione.

Oppure servirebbe perlomeno qualcuno che ce lo raccontasse con pazienza, per acquisizioni successive di principi base scoperti nel mentre di un’indagine – se possibile avventurosa come un vecchio racconto di viaggio. È quello che fa Andrew Blum con internet, anzi Internet con la maiuscola, come ci tiene a sottolineare poiché, nel suo appassionato modo di vedere, quella che ogni istante ci tiene uniti, a dispetto della geografia, non è soltanto una rete di reti ma un complesso dotato di una sua ultima unità, un organismo nelle cui vene scorre non linfa ma luce.

Andrew Blum intraprende un viaggio che parte dal giardino di casa sua a Brooklyn, New York, dopo avere fatto esperienza della fisicità di Internet. Una caratteristica delle infrastrutture è di essere parte della nostra esperienza ordinaria del mondo: cavi, tralicci, centraline sono arredo urbano e paesaggio, in quanto tali non le notiamo fino a quando non si guastano, così la luce va via, il telefono o la tv non funzionano, qualcosa si è interrotto e la frattura del flusso mette a repentaglio le certezze del nostro sistema simpatico collettivo. Uno scoiattolo, per esempio, può rosicchiare i cavi che dal router di casa vanno a qualche centralina che ci connette al più vicino internet exchange e lasciarci offline.

È proprio così che inizia il percorso di Andrew Blum alla scoperta della materialità della rete, un viaggio che lo porterà a incontrare soprattutto architetture e uomini, a illuminare un sistema di relazioni che ha reso possibile la nascita della vita online. Con la sua guida passiamo attraverso lo specchio di Alice, o di Matrix se preferite, e solchiamo gli oceani in groppa a cavi di fibra ottica in compagnia di pacchetti di dati digitali. Togliamo alla nuvola (cloud) la sua immaterialità per condensarla in tetragoni data center costruiti in luoghi disparati della Terra; edifici complessi, inaccessibili, a loro volta oscuri e protetti da un sistema che in nome della salvaguardia della nostra privacy – lì dentro, infatti, sono immagazzinati i dati di tutto quello che combiniamo online – ha dato vita a cattedrali invisibili, capaci nel loro insieme di assorbire più del due per centro dell’energia elettrica mondiale. Un viaggio che appesantisce ciò che appare leggero, gli toglie magia e lo restituisce al prosaico mondo degli uomini.

Storia e geografia

La materialità di Internet è fatta di geografia e di storia ed è impregnata di relazioni umane e intuizioni imprenditoriali poco note, così diverse dall’epica che circonda le start-up che hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare e di lavorare. Ma è sulla rete e su quelle intuizioni che queste ultime si fondano e possono esistere. Prendiamo, per esempio, Jay Adelson, il Conrad Hilton dell’Internet, ed Eric Troyer che con lo sviluppo del paix (Palo Alto Internet Exchange) hanno democratizzato l’accesso alla rete, sottraendolo al controllo delle telco.

E di come dopo avere creato il paix, in uno storico edificio al centro di Palo Alto, riempito da cima a fondo di rack e cavi per unire le reti locali (eyeball) ai cavi transoceanici di aziende di telecomunicazioni globali, hanno capito che di paix ne servivano dappertutto, sulla costa est degli Stati Uniti come in Giappone, realizzandoli senza sosta a partire dal più importante, a tutti gli effetti una delle principali metropoli del traffico in rete, ad Ashburn, Virginia.

Senza di loro la rete si sarebbe sviluppata altrimenti, non sappiamo come e con quali conseguenze. Il senso per la geografia e per il real estate di Internet si capisce dall’importanza che storicamente ha uno stato come la Virginia nello sviluppo dell’infrastruttura di rete, uno snodo paragonabile al più ampio hub aeroportuale nato lì per una serie di fattori immobiliari, industriali e di reti di comunicazione, ferrovie, strade, risalenti all’Ottocento e al Novecento, che offrono la possibilità di capire anche il peso della storia industriale dell’Occidente nella formazione di Internet come lo conosciamo. Nel sottosuolo di New York, la fibra corre da un punto all’altro della città (anche) dentro le condutture dell’Empire City Subway, un’azienda consociata con Verizon, che già nel 1891 costruì un network di tubature sotterraneo da affittare a terzi.

È curioso osservare come su Internet e sulla sua formazione tendiamo un po’ tutti ad accontentarci di pochi simbolici momenti di svolta, la nascita di Arpanet, la Boelter Hall della University of California (ucla), il passaggio del 1983 dal protocollo ncp al tcp/ip, ignorando di fatto quale sia stata la sua reale crescita organica, chi detenga il controllo degli snodi, dove siano immagazzinati i nostri dati, come viaggino i pacchetti da un capo all’altro del mondo. In modo avventuroso, con un senso letterario che per certi aspetti ricorda reportage come Underground di Robert McFarlane e un senso per l’epica che talvolta richiama le atmosfere per iniziati della serie di amc Halt and Catch Fire, il libro di Blum offre un contributo essenziale a quella branca di studi dei media nota come infrastractural studies, il cui fine più importante è studiare il modo in cui le infrastrutture, lungi da essere solo un ammasso di tubi attraverso cui viaggiano i contenuti, con i loro limiti e standard influenzano la nostra esperienza dei media.

A tutti noi lettori, invece, fa compiere un viaggio appassionato grazie a cui capiamo un po’ meglio come funziona quel tubo/cordone ombelicale che ci tiene collegati al mondo, costantemente aggiornati alla sua ultima release.

 

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