Da qualche mese l’Italia è costellata di mostre di fotografe, itineranti o meno, che si susseguono in diverse città, in palazzi sontuosi o sale essenziali, teatri, università. Dopo un viaggio di un paio di mesi per visitarle mi sono accorta che, lasciando le città che le ospitavano, mi portavo dietro occhi, occhi di donne fotografate da donne, che rimanevano nella mia mente, nella mia memoria, formando una comunità immaginata molto grande. Mi sono sentita, tra tutti questi sguardi che dentro uno scatto raccontavano la loro storia, in una sorta di buon tempo e buon luogo dove stare. Ad aggiungere un alone di bellezza la presenza, in questo mio pellegrinaggio, di amiche care con cui ho condiviso commenti, pareri, silenzi. La presenza predominante, in questa comunità immaginata che porto con me, sono gli occhi di Sugri Zenabu, che nel campo di Gambaga, in Ghana, è leader del “campo delle streghe”, una comunità di donne.
Lee-Ann Olwage, fotografa sudafricana, fissa al centro del suo obiettivo Sugri Zenabu, immobile, le mani in grembo, un sorriso fermo e gli occhi a guardare di lato, mentre tutto attorno a lei sembra movimento: quattro donne che le girano intorno, sul retro una lavagna nera lunga rettangolare con segni di cancellature, come fosse il passato confuso, e con qualche rimasuglio di parola qui e lì. Il gioco dell’immagine, come in un ribaltamento di specchi, suggerirebbe la stabilità della soggetto al centro quando invece la narrazione è concentrata sulla demenza di Sugri, e dunque di come il resto della realtà le sfugga. Questa è una delle foto che si incontrano a metà percorso dell’esposizione World Press Photo 2023, ora in vari luoghi d’Europa, fino a pochi giorni fa era a Torino ma nelle prossime settimane è visitabile a Lucca e a Bari per poi proseguire in altre città.
Il World Press Photo – premio che nasce nel 1955 grazie a un gruppo di fotografi olandesi che organizza un concorso internazionale per esporre il proprio lavoro a un pubblico globale – in tanti decenni ha sempre attraversato le nuove sfide, anche tecnologiche, divenendo uno dei premi prestigiosi al mondo. La filosofia che lo sostiene da sempre sta nell’importanza di mostrare e vedere storie visive di alta qualità; pertanto non solo la serietà e la professionalità come premio ma anche il mandato preciso di far circolare nel mondo le immagini selezionate, con mostre allestite in moltissime città e paesi in tempi diversi.
Gli occhi di donne che Lee-Ann Olwage presenta nei suoi lavori sono elementi imprescindibili di una collaborazione, difatti la fotografa punta a uno spazio in cui le persone svolgono un ruolo attivo nella creazione di immagini che raccontino le loro storie. Il grande oblio, il titolo di questa immagine che mi accompagna da giorni, è la testimonianza di una perdita di memoria e confusione, capovolgendo il punto di vista usuale: qui è l’attorno che non è fissato, la donna invece sorride apparentemente stabile e granitica.
Rivoltare i punti di vista, far parlare le situazioni in altro modo, sembrano dirci questo le molte fotografe presenti nel World Press 2023, come negli scatti dell’artista domenicana-americana Ashley Peña in cui le poche donne che fanno parte di un modo ultra maschile, il Drill, hanno un volto. Un mondo maschile e sempre sotto controllo, visto il legame tra questo tipo di genere musicale e bande che perpetuano crimini, in cui le donne dicono la loro, anche negli scatti che le rappresentano.
Di questo avvenimento sempre più ampio, di fotografe riconosciute e premiate da parte dell’ambitissimo Word Press Photo, se ne sono accorti anche l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi e l’Università Roma Tre che, con World Press Photo Foundation, hanno ideato l’esposizione Resilience – Stories of Women Inspiring Change. Si tratta di una selezione di storie premiate, nei concorsi dal 2000 al 2021, in cui la tematica è la resilienza e le sfide sostenute dalle donne nel mondo.
Tra le bellissime e forti immagini selezionate per la mostra al Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, gli occhi di donne che rimangono attorno per giorni e giorni, in una condivisione forte di sguardi, sono molti, io rivedo spesso quelli delle donne e delle bambine che imparano a nuotare e a prestare soccorso nell’Oceano Indiano: sono sguardi che raccontano la sfida in una contesto di allegria colorata, bambine che per decenni non hanno potuto imparare a nuotare soprattutto per una questione di abbigliamento, alzando moltissimo il tasso di annegamento in età giovane e adulta. In questi scatti, vestite e col capo coperto, prendono confidenza con l’acqua e Anna Boyiazis sceglie di inquadrale sempre in comunità, in gruppi di donne che si sostengono tra di loro in questo cammino. Anche gli scatti della fotografa iraniana Forough Alaei agganciano occhi nel mondo, sono le tifose iraniane che si travestono da uomini per potere avere accesso agli stadi e sostenere i diritti delle donne.
Gli occhi delle donne e delle bambine di Tina Modotti ti inseguono per circa trecento scatti in mostra a Rovigo, a Palazzo Roverella. Sono quelle donne che combattono il quotidiano come forma di sopravvivenza nella lotta politica e civile, lungo le strade, i mercati, nelle manifestazioni. Tra tutte, compresi i ritratti ad amiche e artiste, spiccano gli occhi di Tina stessa che sbucano dalle fotografie segnaletiche, di autore anonimo, dopo il suo arresto in cui parla nel silenzio della sua battaglia. È una mostra ampia e a grande respiro, che non si ferma alle vicende di Tina Modotti fotografa, ma la segue anche nel suo periodo di vita successivo, apparentemente lontano dalla fotografia, ma in modo totale addentro all’impegno di vita che si era posta, per i senza nome, per chi non ha voce.
Torino e poi Firenze hanno ospitato gli occhi delle donne fotografati da Lisetta Carmi nella mostra dal titolo Suonare Forte: in anni e in un percorso di vita diversissimo, Carmi si lega a Modotti nell’impegno civile della sua arte, un impegno che per tutta la sua attività di fotografa, ma anche lei non solo in questo ambito, l’ha condotta a ritrarre donne in molti luoghi del mondo e metterle al centro dell’obbiettivo e dunque al centro di un discorso che riguarda l’umanità intera. La riscoperta di Lisetta Carmi in questi anni porterà di certo altre mostre dedicate a lei, basta stare vigili.
Se sono le donne nei mercati nelle piazze a legare in un filo rosso alcune foto di Modotti e quelle di Carmi, è un abbraccio quella che lega Modotti nel suo scatto del 1929 in Messico, Madre con bambino di Tehuantepec alle molte immagini di Dorothea Lange di madri con bambini in braccio nella California degli anni ‘30.
Le fotografie di Lange, in mostra a Torino fino a poco tempo fa, sono ora al Museo Civico di Bassano del Grappa in oltre 200 scatti allestiti sotto il titolo L’altra America. Anche Lange, impegnata a documentare i grandi temi che negli anni ’30 venivano ignorati, per non conoscenza e anche per comodità politica, cerca con l’obbiettivo gli ultimi, i senza voce, gli invisibili. Lei li vede e le vede, e declina la sua attività fotografica su di loro, la sua arte per documentare la storia delle migrazioni, gli effetti della crisi climatica, le conseguenze della Grande Depressione tra discriminazioni, povertà e abbandono. Tra le celeberrime sue immagini ci sono quattro occhi su tutti che non mollano nemmeno quando stai già scendendo dal treno per rientrare a casa, sono quelli della donna con una bambina in braccio durante il viaggio in cerca di fortuna nel 1939: la donna porta occhiali grandi tondi e il vetro delle lenti amplifica il suo sguardo verso un altrove che probabilmente lei vede già privo di molte cose.
La foto che ritrae due bambine senza casa in Ungheria nel 1945 parla, e parla anche dell’autrice di questo scatto, la fotografa Lee Miller. Fino a gennaio inoltrato alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, a Torino, un centinaio di scatti raccontano questa fotografa finalmente non più come compagna di, ispiratrice di, modella di, ma come artista. La mostra conduce nel suo labirinto di passioni e di vita, sempre trascinata dal desiderio di scoperta e dall’insofferenza per una quiete imbonitoria. Le foto, dall’amore per la moda con Vogue alla Guerra, entrando senza indugio nei campi di concentramento, nelle baracche di soccorso nei campi di battaglia, tra la gente senza casa, al capezzale dei bambini negli ospedali pediatrici, fino alla vasca di Hitler in cui Miller, lasciati gli anfibi a terra sul tappetino e la divisa a lato sulla sedia, si immerge e si fotografa, il 30 aprile 1945.
Una foto famosissima, che ha ispirato libri – come La vasca del Führer di Serena Dandini – e dibattiti, e che ha segnato profondamente l’esistenza di Lee, la quale dopo tanto esporsi alle brutalità del mondo si dirige verso la ripresa, faticosissima, di una sua vita. Di Lange colpisce il suo forte desiderio di essere artefice della sua arte, di lavorare con la fotografia e al contempo con la parola, notissimi i suoi articoli che corredavano le sue immagini sui giornali, così come le didascalie delle sue foto; il desiderio di sottrarsi agli obbiettivi che la volevano immortalare fino a dichiarare “Preferisco fare una foto che essere una foto”.
Lee e Lange si incontrano con le loro fotografie anche nella bellissima mostra Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo, a Venezia a Palazzo Grassi fino a fine gennaio. Un viaggio incredibile attraverso oltre 400 fotografie, provenienti dall’archivio Condé Nast, che documentano il mondo dagli anni ’10 agli anni ’70. La moda fa da padrona di casa, e con essa la Storia, i luoghi, gli artisti e le artiste: un universo che si snoda di sala in sala. Gli occhi della donna che si volta e guarda nell’obbiettivo in Soldati giocano a baseball di fronte a Les Invalides, Parigi, Francia, scattata da Lee Miller nel 1944 e quella, dello stesso anno, della donna francese con il capo rasato perché accusata di aver fraternizzato coi tedeschi, sono occhi che nella loro fissità delimitano la soglia oltre la quale si stendono l’umanità e la conoscenza.
Ci sono molti cataloghi e libri che raccolgono l’opera di donne fotografe in Italia e nel mondo, e ci sono state mostre dedicate a donne che fotografo donne – Io Lei L’altra. Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste lo scorso anno in mostra a Trieste al Magazzino delle Idee, non più messa in circolazione ma esiste un bel catalogo in commercio, o Agli occhi di lei. Donne al lavoro dagli anni ’50 a oggi, fino a pochi mesi fa alla Galerias Municipais a Lisbona -, basta stare all’erta, perché non sono talvolta tra le più pubblicizzate, cercarle e andare a instaurare un dialogo di occhi con loro e con gli occhi delle donne che hanno fotografato. Un racconto per immagini che si snoda nella lettura di ogni persona, storie visive che si intersecano e articolano con la nostra vita. Un viaggio bellissimo.
Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali.
