C’è chi (alle reunion) dice no

Fernando Rennis presenterà il suo libro Charming men alla libreria Giufà, a Roma, mercoledì nove ottobre alle 19. Interverranno con l’autore Anna Trocchi e Patrizio Ruviglioni. (fonte immagine)

di Fernando Rennis

In un quartiere popolare alla periferia di Manchester c’è una abitazione con bagno esterno. Dalla stanza che dividono due dei tre fratelli di casa, lo stereo sparge nell’aria le canzoni degli Smiths. Noel, il più grande, li suona a ripetizione. A Liam, il più piccolo, piace qualche brano, ma non impazzisce per le composizioni di Morrissey e Marr. Siamo a metà degli anni Ottanta e quattro decenni dopo è proprio lui a scrivere su di un social che pagherebbe cifre astronomiche per una reunion del gruppo di There Is a Light That Never Goes Out.

A fine agosto 2024 esplode una delle notizie dell’anno: gli Oasis si riuniscono, dopo tre lustri. I fratelli Gallagher hanno fatto pace e fissato per il 2025 un tour nel Regno Unito. Ovviamente, i biglietti sono stati polverizzati dai fan di tutto il mondo, nonostante il dynamic pricing. Mentre ritorna l’interesse per il britpop e la nostalgia intreccia le generazioni che ricordano vivamente quel periodo, rispolverando parka e polo, con quelle che sono affascinante da un passato mai vissuto, un altro argomento in tendenza si prende la scena: gli Smiths.

A quarant’anni dal loro album d’esordio, il gruppo torna prepotentemente a far parlare di sé. A dire il vero, è successo più volte negli ultimi decenni, ma sempre per questioni lontane dal discorso prettamente musicale. La loro è una carriera per cui mettere la firma: cinque anni, quattro album in studio; tre arrivano al secondo posto, uno al primo. Si guadagnano il titolo di “Beatles degli anni Ottanta”, Morrissey quello di “Dostoevskij nazionale”, Marr di “fottuto mago”, come lo ha chiamato Noel Gallagher.

Agli Smiths riesce una cosa che interi gruppi si sognerebbero nell’arco di intere carriere. Il 24 novembre 1983 vanno a Londra, nei patinatissimi studi della Bbc per suonare in diretta nazionale This Charming Man, un biglietto da visita consegnato attraverso i televisori della nazione. Finito, prendono un treno e filano via verso nord. Tornano in fretta e furia nella loro Manchester per suonare all’Haçienda, il club fondato dai New Order e la loro etichetta artistoide Factory, dove fanno uno dei pochi sold out del locale. Ci vorrà l’esplosione della acid house e di Madchester per vederlo, finalmente, pieno.

L’Haçienda è una bolgia, ci sono fiori dappertutto. A fine serata, il manager della band, e amico di Marr, Joe Moss, dice al chitarrista: “È troppo tardi per fermarsi, Johnny!”. Ha ragione. Lui abbandona presto la nave perché mai a suo agio a gestire il gruppo, mentre gli Smiths sono sparati in orbita: album di successo, nomine a paladini della musica indipendente, portavoce della controcultura giovanile, interviste scandalose, censure, un complesso rapporto tra i quattro e un divario crescente tra loro due, Marr e Morrissey.

Quella degli Smiths è una storia molto semplice. Il chitarrista un giorno bussa a casa del cantante e gli chiede di mettere su un gruppo. Poi, trova un bassista – il suo amico d’adolescenza Andy Rourke – e il batterista Mick Joyce. E, ancora, rimedia un manager – Moss, appunto – e una sala prove, uno studio di registrazione e un primo demo. I quattro non si conoscono tra i banchi del liceo, non hanno molto in comune e non provano in un luogo assieme ad altri gruppi. Anzi, finito di farlo, ognuno se ne va per i fatti suoi. In tour le cose non sono molto diverse. Morrissey si chiude in camera con il suo walkman, Marr sparisce con l’amore della sua vita, Angela Brown, mentre Rourke e Joyce fanno baldoria con il resto della crew.

Questo squilibrio è ancora più evidente sul piano burocratico. Un giorno, durante alcune sessioni di registrazione, Morrissey sparisce nel nulla e ricompare – o, meglio, lo fa la sua voce al telefono – soltanto in serata, per imporre al gruppo una ripartizione alquanto discutibile: il quaranta per cento a testa per lui e Marr, il dieci alla sezione ritmica. Vero, la coppia d’autori scrive i brani, ma questi sono rifiniti in sala prove. Insomma, le percentuali sono alquanto discutibili. Dal canto suo, Marr, che si fa ambasciatore di Morrissey, non se la cava meglio in fatto di empatia. Quando riporta il diktat del cantante a Rourke e Joyce, si premura di aggiungere che, qualora non venisse accettata questa proposta, lui avrebbe lasciato il gruppo.

Se il quadro non fosse già abbastanza compromesso, quando Marr lo lascia per davvero il gruppo, ponendo fine alla storia degli Smiths, nel 1987, la sezione ritmica porta in tribunale la coppia d’autori. Lo fa chiedendo che la ripartizione venga equiparata al venticinque percento per tutti e quattro i membri. Rourke, in difficoltà economica, ben presto lascia perdere, accordandosi per un risarcimento – poco più di ottantamila sterline – e confermando il dieci percento per la sua parte di royalties. Joyce invece si impunta, affermando di aver scoperto delle percentuali soltanto dopo lo scioglimento del gruppo. Il giudice decide, così, che il batterista deve ricevere come indennizzo un milione di sterline, Morrissey fa ricorso all’appello. Marr molla la presa.

Nove anni di battaglie legali non fermano i dissidi tra i quattro, che continuano ben oltre gli anni Novanta. Nel frattempo, Morrissey prosegue una carriera solista altalenante, Marr è coinvolto in molte collaborazioni, Rourke e Joyce si danno perlopiù all’attività di dj. La crepa che si era formata nella superficie del rapporto tra il chitarrista e il cantante negli anni Ottanta, col tempo diventa insanabile e subisce un definitivo allargamento nel periodo della Brexit.

A causarla, nelle fasi finali degli Smiths, era stata l’insoddisfazione: quella di Morrissey per un successo commerciale che per lui non era abbastanza – arrivando anche a sparare contro il reggae e paventando un improbabile complotto degli artisti neri ai danni di quelli bianchi. Quella di Marr è legata al suono del gruppo. Il chitarrista è insofferente, ha bisogno di sperimentare. Lo aveva fatto già con How Soon Is Now?, quando il capo della Rough Trade, Geoff Travis, aveva reagito con un preoccupato “cos’ha fatto Johnny?! È solo rumore!”. Lo fa ancora con una b-side strumentale dimenticata, dal titolo The Draize Train, dove il chitarrista si lascia sedurre dall’elettronica che veniva suonata all’Haçienda.

Non è un caso che, poco dopo lo scioglimento degli Smiths, Marr fonderà con Bernard Sumner dei New Order il gruppo Electronic, mentre, scorrendo i crediti di The Queen Is Dead e Strangeways, Here We Come ci si imbatte in ospiti come Hated Salford Ensemble e Orchestrazia Ardwick, invenzioni dietro cui si cela un sintetizzatore, il cui impiego non può essere svelato se Morrissey nelle interviste elogia la tradizione e ripudia la tecnologia.

Un anno prima che gli Oasis si sciogliessero, nel 2008, Marr e Morrissey si incontrano in un pub a sud di Manchester. Parlano del più e del meno, delle voci su una possibile reunion che non hanno mai smesso di brulicare sullo sfondo. Rimangono sul vago, tra un “cosa ne pensi?” e un “e se…?”. Ma non succede nulla. Otto anni dopo nel Regno Unito si vota per l’uscita dall’Unione Europea, riportando in auge un rapporto conflittuale che ha caratterizzato proprio quel governo Thatcher sotto il quale gli Smiths sono fioriti e appassiti. Morrissey saluta la vittoria del leave come “splendida”.

Per molti, il fatto che il cantante si sia guadagnato con i suoi Smiths il ruolo di megafono della controcultura a suon di sferzate contro monarchia, conservatori e le istituzioni in generale è uno shock. Per i più attenti una conferma. Tempo prima, in un’intervista, aveva affermato: “Mi piace molto Nigel Farage […] I suoi punti di vista sono abbastanza logici, soprattutto per quanto riguarda l’Europa”. Ecco perché, negli anni successivi, a quanti chiederanno a Marr di una reunion, lui risponderà con immagini e riferimenti al leader dello Ukip, dimessosi proprio all’alba della vittoria referendaria. Come a dire: certo, è possibile. Ma alla chitarra ci vedrete Farage, non certo me.

E arriviamo all’agosto 2024. Quando ancora l’incredulità attorno alla notizia della reunion degli Oasis aleggia negli occhi di fan, giornalisti e appassionati di musica, ecco che Morrissey svela in uno dei suoi messaggi al mondo che gli Smiths (cioè lui e Marr, anche perché Rourke, nel frattempo è venuto a mancare) hanno ricevuto un’offerta stratosferica per rimettersi insieme sul palco e pubblicare un greatest hits. Lui avrebbe detto di sì – facendo una storica retromarcia sull’argomento – e Marr avrebbe ignorato il tutto. Il comunicato termina con il solito fare piccato del cantante: “A novembre Morrissey intraprende un tour negli Stati Uniti che registra il tutto esaurito. Marr continua in tour come ospite speciale dei New Order”.

In realtà non è così. Dopo giorni di silenzio, Marr pubblica il suo comunicato. Conferma un’altra cosa che aveva svelato Morrissey, ovvero di essere diventato il proprietario del cento per cento del marchio “Smiths”, per tutelarne l’eredità culturale. Precisa poi di non aver ignorato le offerte, ma di essersi espresso con un secco “no”. All’indomani di questo ulteriore colpo di scena, Morrissey licenzia il suo management.

Se ai Fontaines Dc non può fregare di meno della reunion degli Oasis perché bisognerebbe guardare avanti, la resistenza di Johnny Marr è senz’altro encomiabile – anche se giustificata evidentemente da fratture insanabili – e il rifiuto alla proposta di rimettere in piedi gli Smiths finisce col rappresentare indubbiamente una parte importante di un fascino ancora oggi potente, esercitato anche sulle nuove generazioni.

Non che i ritorni siano il male assoluto, ma negli anni Ottanta gli Smiths offrivano un’alternativa e, nonostante molte controversie, la rappresentano ancora. Il gruppo che si spartisce con loro il ruolo di capostipite dell’indie, gli R.E.M., hanno trovato una terza via: decidere di finire la propria carriera pacificamente. Insomma, nella pioggia di retromania, anniversari, tour e raccolte celebrative, c’è chi dice no. Thatcher aveva torto, there’s no alternative.

Aggiungi un commento