“Non dico addio”, il nuovo Han Kang
Pubblichiamo un testo di Milena Zemira Ciccimarra, che è stata la traduttrice dall’inglese di La vegetariana, Convalescenza e Atti umani e che curato la revisione editoriale di Non dico addio.
di Milena Zemira Ciccimarra
In Italia, come nel resto del mondo, conosciamo l’opera di Han Kang grazie a un altro premio, il Man International Booker Prize, che le fu dato nel 2016 per La vegetariana. Da allora Adelphi ha pubblicato già quattro suoi libri e un altro arriverà tra pochissimo, praticamente a giorni: il suo settimo e ultimo romanzo, che qui da noi esce con il titolo Non dico addio nella traduzione di Lia Iovenitti.
Mentre con Lia lavoravamo alla revisione del testo, mi è capitato di guardare online un breve video che Han Kang ha registrato quando era stata pubblicata l’edizione francese. Nel video raccontava in che modo fosse nata l’idea, o meglio l’esigenza, di scrivere il romanzo; e poi lo presentava con poche parole, che però mi avevano colpito, perché riassumevano in modo molto semplice quello che secondo me rende tanto speciali e preziosi tutti i suoi libri. Quando mi chiedono di che cosa parla questo libro, diceva Han Kang, do risposte diverse. A volte dico che è la storia dei massacri compiuti a Jeju alla fine degli anni Quaranta; altre che è la storia di un amore immenso ed estremo; altre ancora che è una candela accesa negli abissi dell’anima umana.
E ovviamente queste parole mi sono tornate subito in mente quando ho letto la notizia dell’assegnazione del Nobel e la motivazione dei giurati, i quali hanno citato la sua «intensa prosa poetica» che «affronta traumi storici e mette a nudo la fragilità dell’essere umano».
Ecco, io ho sempre pensato che l’importanza, la bellezza, la forza della sua scrittura stessero proprio in questo: nel fatto che il piano intimo e personale – nel caso di Non dico addio l’amore tra una sorella e un fratello, per esempio, o quello tra due amiche –, quello storico e collettivo di una comunità e di un paese e quello universale dell’anima umana siano sempre tutti presenti, e siano inscindibili.
E sono convinta che questa letteratura, pur nutrendosi delle proprie radici e senza perdere la propria identità, abbia sempre il potere di dialogare attraverso il tempo e attraverso i luoghi; e quindi che sia capace di parlare a tutti, far risuonare le corde delle nostre comuni fragilità, ma allo stesso tempo di avvicinare realtà diverse, di arricchirci e rafforzarci nello scambio reciproco delle differenze.
L’augurio quindi è che questo premio assegnato ad Han Kang ci porti tante altre traduzioni e ci permetta anche di conoscere sempre meglio, e più a fondo, la letteratura e la cultura coreane.