Ultracorpi, disumane perfezioni

di Francesca Marzia Esposito

Pubblichiamo un testo scritto da Francesca Marzia Esposito, autrice del libro “Ultracorpi” pubblicato da minimum fax, scritto per la sua partecipazione al Festival Rocksophia*.

In tempi in cui si inneggia al self-love, al seibellissimo-così-come-sei, il canone dominante del corpo perfetto rimane intramontabile. Nonostante abbia creato derive insane, segnando talvolta anche molto dolorosamente i nostri corpi, il gusto e il senso del bello, legati all’armonia e alle proporzioni, rimangono concetti ereditati da quel canone egemonico. Il corpo ideale fa parte di noi. Lo abbiamo introiettato a livello cromosomico. In tutta la sua inarrivabile astrazione, il corpo perfetto rimane stabile e ancora seduce. Con buona pace di tutto il discorso sull’inclusività del molteplice di cui si è fatta portavoce la body positivity.

La perfezione fisica tra gli umani scarseggia. Le imperfezioni ci accomunano e non sono colpe individuali. Nell’ottica di renderci le cose più facili, però, quello che si sta cercando di fare è di ribassare il canone. Di scontornare il modello numero 1. Di renderlo meno rigido, più accomodante. Di creare una versione di corpo prêt-à-porter. Alla moda ma più abbordabile, meno costoso. Sostituire quindi il bello con il carino. Il perfetto con il personale. Affinché si creino delle versioni alternative, modelli B, C, D che, esibendo elementi difettosi, portino a riconfigurarne la polarità negativa di alcuni caratteri recessivi in positiva, occorre avere in testa stampato bene il canone A. Volente o dolente, ci tocca comunque fare i conti con il corpo perfetto. Maschile: muscoloso, sportivo. Femminile: longilineo, fondamentalmente magro.

Un corpo che nella sua ipertrofica perfezione ha influenzato l’immaginario del canone maschile è stato quello di Arnold Schwarzenegger, colui che è riuscito a scavalcare gli argini di un settore ghettizzato e criticato dall’opinione pubblica. I palestrati, fino ad allora derisi come fenomeni da baraccone, attraverso l’ultracorpo di Arnold hanno ottenuto un nuovo status. Arnold era il corpo muscoloso ma non mostruoso. Ipertrofico ma bello. Il faccione sorridente col ricciolo sulla fronte, accoppiato ai pettorali guizzanti, diventava glamour.

Arnold era l’adone. Il semidio. Solare, riuscito, vincente. E così seduceva non solo la nicchia, ma anche il pubblico main stream. La mania per il fitness, che si imporrà nel nostro stile di vita, non farà altro che prendere la spinta estrema del body building e ammorbidirla, imborghesirla un po’. “Muscolosità, dieta, controllo, allenamento, routine, diventeranno gli imperativi del corpo contemporaneo. Il bisogno di stare dentro una forma tonica diverrà sinonimo non solo di bellezza in termini puramente estetici, ma di un sentimento di compiutezza per l’individuo, che di conseguenza acquisterà forza e sicurezza migliorando l’autostima”. Il corpo di Arnold è l’eccezione che indica la strada affinché i nostri corpi comuni si votino al corpo bello in quanto sportivo, sportivo in quanto sano, e sano in quanto: felice?

Per certi versi, il canone dominante femminile ha creato maggiore pressione. I nostri corpi di donna, storicamente vessati e considerati minori, ancora si trovano a dover fare i conti con un’idea di perfezione estetica stereotipata, asfittica e ossificata nel tempo. Il movimento di emancipazione femminile prende avvio dal corpo, lo teatralizza e ne fa luogo scenico di rivoluzione e liberazione dai dogmi. Il corpo della donna rivendica parità, eguaglianza e s-classificazione della forma. E così diventa politico. Rivendicare la libertà del corpo, ostentandone l’esibizione, crea un diabolico cortocircuito. L’atto che nasce come slogan progressista, il sono-libera-di-mostrarmi-nuda, paradossalmente non fa che riattizzare il pensiero maschilista.

Nel momento in cui vorremmo fare del corpo un simbolo della nostra soggettività individuale, ne stiamo anche mostrando il suo simulacro, in tutta la sua appetibile dimensione sessuale. Il pericolo è che, se sbandierarlo in nome della libertà vuol dire fare politica, in un certo senso stiamo optando per del mero populismo. La magrezza non è solo sinonimo di bellezza. Qualità e virtù morali nei secoli hanno strutturato il concetto di donna ideale. Magra in quanto bella. Bella in quanto perfetta. Perfetta in quanto proba, pura, irreprensibile. Il valore etico ha consustanziato una forma fisica.

I corpi delle ballerine hanno vissuto questo percorso iniziatico. Qualcosa di sacro brucia nella loro magrezza. Discendenti delle sante anoressiche, anomale eredi del corpo cavo immacolato, attraverso il sacrificio, la privazione, l’esercizio di volontà, esse si sono donate alla dea Tersicore e hanno vissuto l’estasi e il tormento dell’arte. Emblema della divina leggerezza rimane Carla Fracci. Modello e prototipo imperituro della danza. Eterna fanciulla danzante, la definì Montale.

La Fracci, cristallizzata nella grazia del pudore, con il suo monacale e ligio senso del dovere, getta coordinate etiche ed estetiche sull’immaginario novecentesco del femminile mischiandosi ai corpi patinati di modelle e soubrette televisive. Il corpo leggero e sottile diventa sacro e profano al tempo stesso. E risulta vincente e desiderato. Con l’avvento del virtuale l’entusiasmo per la sottigliezza diventa estremo. Si impone il corpo s-materiale. In assenza di peso, nello schermo, abbiamo creato il corpo che bramavamo. Perfetto a tal punto da eliminare il corpo stesso e rinascere a sua sola immagine. Nel tentativo di estirpare il difetto reale, nuovi corpi galleggiano vitrei nell’etere, mai nati e mai morti, perfettamente utopici. Corpi inesistenti, scartavetrati dai filtri, incamminati sulla strada della reinvenzione. E così facendo corteggiamo proprio quella spinta alla perfezione da cui stiamo cercando di affrancarci. Ci siamo incaricati di rinascere a nuova forma e un delirio di onnipotenza ci attraversa. Si rinasce a sé stessi nella sanificazione della forma. E a questa siamo devoti. Santifichiamo un ultracorpo che non a nulla di religioso ma che profanamente trasuda disumana perfezione.

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* Il festival, ideato dall’associazione culturale Popsophia, è realizzato in collaborazione con il comune di Civitanova e con l’Azienda Teatri di Civitanova, con la media partnership di Rai Cultura e TgR Marche.

 

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