La voglia. Intervista a Santiago Lorenzo

I libri di Santiago Lorenzo si possono sempre riassumere in una sola frase. Prendiamo ad esempio I milioni, il suo primo romanzo, pubblicato in Italia da Blackie Edizioni nella traduzione di Bruno Arpaia: un terrorista in clandestinità vince la lotteria, ma non può riscuotere il premio. Oppure Gli schifosi: un ricercato per omicidio inizia a fuggire dalla polizia, e finisce per nascondersi al mondo intero. O La voglia, l’ultimo arrivato in libreria, pubblicato sempre dalla stessa casa editrice, questa volta nella traduzione di Elisa Tramontin: un uomo non fa sesso da anni e quando finalmente gliene si presenta l’occasione, è con una donna che gli sembra uguale a sua sorella.

Sviluppare romanzi a partire da un nucleo narrativo così forte può sembrare una furbizia: presentato in questo modo, un libro si vende praticamente da solo. È una scelta però che nasconde pure delle insidie: se la storia può essere riassunta in una sola frase, per giunta tanto attraente, può diventare difficile giustificare la forma del romanzo. Di fronte a ogni allontanamento dalla trama principale, a ogni personaggio secondario, il lettore può ricavare l’impressione di trovarsi di fronte a un riempitivo, e chiedersi se l’autore non gli stia facendo solamente perdere tempo.

Altro che furbizia, insomma: lavorare in questo modo rischia di essere praticamente un autosabotaggio, ma è un pericolo che Santiago Lorenzo riesce puntualmente a schivare. I suoi, anzi, sono libri le cui pagine si sfogliano voracemente, perfetti per essere iniziati e finiti nell’arco di un fine settimana, o di un solo viaggio in treno, a patto che sia abbastanza lungo. È l’effetto di due fattori: agli strumenti del mestiere utili a tenere alta l’attenzione di chi legge, lo scrittore spagnolo affianca una ricerca linguistica continua, alimentata da un gusto tutto particolare e sempre indovinato per la parola inventata.

Un’altra peculiarità della sua scrittura è una naturale predisposizione per la composizione, per la soluzione visiva. Quando, nel romanzo I milioni, il protagonista e l’unica donna di cui si possa fidare osservano insieme l’ufficio della lotteria, e lei indica, inquadra per lui una serie di soggetti, isolandoli e facendoli emergere dall’anonimato del paesaggio urbano, al fine di mostrargli quante persone siano appostate nei dintorni, sulle sue tracce, viene quasi spontaneo immaginare la scena di un film, completa di inquadrature e movimenti di macchina. Non sapevo ancora nulla di Santiago Lorenzo quando ho letto il libro, ma ho pensato che quel passaggio avesse un irresistibile sapore cinematografico. In seguito ho scoperto il suo passato come regista, e tutto ha avuto più senso.

Gli schifosi ruota interamente intorno all’essere visti o non visti, tema criminoso che diventa, col progredire della trama, esistenziale e politico; e anche La voglia presenta un momento del genere: un colpo di scena squisitamente visivo, eppure impossibile al cinema ma solo in letteratura, che in un attimo ridefinisce il profilo psicologico del protagonista. Dirne di più sarebbe un imperdonabile spoiler; di tutto il resto, invece, ho parlato con Santiago Lorenzo.

Partirei proprio dal fatto che i tuoi romanzi possono essere racchiusi in una singola frase: è il risultato di un lavoro di sottrazione o di espansione?

Per molto tempo non ho potuto permettermi il lusso di andare al cinema. Le mie finanze non me lo permettevano. Ma potevo leggere la programmazione dei film sul giornale, quando c’erano i giornali. Lì trovavo le sinossi dei film che non potevo vedere nelle sale. Le sinossi erano composte da poche frasi, due o tre. Un testo molto breve che metteva in moto l’immaginazione, che ti permetteva di iniziare a vedere il film. Che ti collocava in uno scenario possibile con pochissimi strumenti. Io ho sempre cercato di imitare questa seduzione, non so se ci sono riuscito. Quella provocata da sinossi concise composte con un lavoro di sottrazione da parte di chi scrive per cercare di innescare un’espansione da parte di chi legge.

Alcuni passaggi nei tuoi romanzi hanno un sapore cinematografico: ti capita di approcciarti al testo da regista? La descriveresti più come un’inclinazione involontaria o come una tecnica di scrittura?

Parte dei miei romanzi sono scritti a partire da copioni che nessun produttore mi ha voluto finanziare. Ho lasciato il cinema nel 2007, stanco di ricevere rifiuti. E stufo del fatto che, quando finalmente riuscivo a far partire un progetto, tutto era un problema. Problemi che spesso erano più difficili da creare che da risolvere. Così ho iniziato a considerare la letteratura come un esercizio in cui dirigevo i miei copioni. Senza cataclismi economici, senza dovermi attenere per obbligo a ciò che un produttore imponeva (ce n’erano di molto stupidi). Facendo quello che volevo. Da allora ho vissuto i momenti più belli della mia vita. E sì, suppongo che tutto profumi un po’ di cinema. Mi piace individuare le scene, immaginare un costume, un montaggio… È meraviglioso scrivere, bisogna dirlo.

I tuoi protagonisti non sono mai in controllo del proprio destino. Gli schifosi parla di un ricercato per omicidio; I milioni e La voglia presentano un gruppo clandestino di terroristi di cui neanche il protagonista conosce le identità, e un’azienda di Bristol con cui è molto difficile comunicare, che svolgono un ruolo simile nella trama. Quando poi le rispettive vicende si risolvono, è più per effetto del caso che per le azioni dei protagonisti. Hai una visione fatalista della vita?

Trovo molto stimolante avere un ragazzo – o una ragazza, o un gruppo di ragazzi e ragazze – a cui le cose vanno storte. Che stavano tranquilli a casa loro, con un sacco di problemi gravi, a cui si sovrappongono complicazioni ancora più insormontabili. Quando è successo a me, mi sono sentito molto male inizialmente. Poi, non so perché, ho riso. Sia quando i problemi sono stati risolti sia quando non sono stati risolti. In quest’ultimo caso, la risata era ancora più forte. Non riesco a trovare una visione fatalista della vita. Credo sia perché la fatalità genera sempre storie di finzione che sarà molto divertente – molto anti-fatalista, pertanto – scrivere.

Un altro tratto comune ai tuoi protagonisti è il fatto di essere personaggi per molti versi spregevoli, ma simpatici in quanto sfortunati, e comunque non così ignobili da non meritare una certa dose di benevolenza, o quantomeno di pietà. Ho l’impressione che ti interessino soprattutto per il rapporto che si può instaurare tra te, loro e il lettore. Come mai cerchi sempre queste figure?

Sono basati su amici e conoscenti, compreso me stesso (sono un mio amico). I miei protagonisti mi piacciono molto, con i loro grandi difetti (che nei romanzi di solito si correggono). Vorrei parlare qui di un esercizio molto utile e molto divertente per passare il tempo. Si inizia scegliendo mentalmente un individuo della vita reale il cui comportamento ci sembri malsano. Può essere conosciuto di persona o solo tramite i mezzi di comunicazione, non importa. Successivamente, il gioco consiste nel cercare di trovare nei suoi comportamenti tratti di legittimità, razionalità, purezza o decenza. Si tratta di cercare tratti positivi, per vedere se, con un po’ di buona volontà, si riescono a giustificare o perdonare gesti che in linea di principio sono ripugnanti. Di solito si traggono conclusioni interessanti. Perché un gran numero di individui ne esce beneficiato. Ci sono soggetti, tuttavia, con i quali il gioco non funziona. Persone marce per le quali non si può trovare uno straccio di giustificazione, per quanto si tenti. Mettere in moto gli appartenenti all’uno e all’altro gruppo finisce sempre per sfociare in un nuovo romanzo.

Finora abbiamo parlato di temi o aspetti ricorrenti in tutti i tuoi romanzi, ma dato che l’occasione per questa intervista è l’uscita italiana di La voglia, vorrei chiederti in cosa invece, secondo te, questo libro è unico nella tua opera.

Di tutti i libri che ho scritto, è sempre stato quello che mi è piaciuto di più. Parla di un ragazzo che non è riuscito a fare sesso con nessuno per tre anni. Passerei tutta la vita a scrivere nuove variazioni di questo tema.

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