Lw’nafh ng yar, ovvero: tutto quello che avreste sempre voluto sapere su H.P. Lovecraft / Seconda Parte
Un’intervista di Francesco Gallo a Gianfranco Calvitti, Providence Press: qui la prima parte.
di Francesco Gallo
1920-1928: l’arco di tempo preso in considerazione da questo secondo volume della biografia di ST JOSHI racchiude una parte importantissima della produzione letteraria lovecraftiana di finzione. Partiamo dal novembre del 1921: dopo essere stato rifiutato per ben due volte da “Weird Tales” e “Fantasy Magazine”, HPL pubblica sulla rivista amatoriale “The Wolverine” un racconto intitolato The Nameless City. Giungiamo all’agosto del 1928, quando HPL porta a termine la prima stesura di The Dunwich Horror, uno dei suoi lavori più suggestivi. (E remunerativi: Farnsworth Wright, l’editore di “Weird Tales”, gli stacca un assegno di 240$, equivalenti a circa 3500$ attuali.)
Nel mezzo, HPL scrive storie come The Music of Erich Zann [1921], Herbert West-Reanimator [1922], Cool Air [1926] e The Case of Charles Dexter Ward [1927]. Il ciclo dei Miti di Cthulhu, tuttavia, inizia qualche anno prima. Dopo alcuni juvenilia (The Little Glass Bottle [1898-99], The Mysterious Ship [1902], The Mystery of the Grave-Yard [1898-99], nel luglio del 1917 HPL scrive due storie: si tratta di esperimenti narrativi scritti con un piglio decisamente adulto. Si intitolano The Tomb e Dagon.
Quest’ultimo, contenente un essere mostruoso dedito al culto della divinità marina omonima (la ritroveremo in The Shadow over Innsmouth [1931]), spalanca le porte di uno dei cicli narrativi più fantastici della storia della letteratura. Come se non bastasse, la pubblicazione su The Vagrant prima, e su Weird Tales poi, fornisce a HPL l’opportunità di scrivere In Defence of “Dagon”.
Di che si tratta? E in che modo ST JOSHI ricostruisce la questione?
In Defence of Dagon (in italiano In Difesa di Dagon) è il titolo collettivo di una serie di tre saggi (La parola alla difesa! del gennaio 1921, Arringa della difesa! dell’aprile 1921, e Parole conclusive del settembre 1921) che Lovecraft diffuse tramite il Transatlantic Circulator, un sorta di “circolo” di corrispondenti che si scambiavano storie e poesie tra Stati Uniti e Inghilterra sottoponendole a un fuoco incrociato di analisi critica. Questi saggi rappresentano, in quel momento, i suoi scritti filosofici più brillanti: Lovecraft li scrisse per difendere la sua metafisica etica e la sua filosofia etica.
S.T. Joshi cita molto spesso stralci dei tre saggi (il cui nome collettivo venne in realtà ideato anni dopo da R.H. Barlow) per sottolineare quella che era la filosofia di Lovecraft all’epoca della stesura, anche se avrebbe mantenuto alcune di quelle convinzioni fino alla fine della sua vita.
Per esempio, all’epoca Lovecraft aveva fatto sua la “dottrina” del materialismo puro come letta nel libro Modern Science and Materialism il cui autore, l’inglese Hugh Elliot, la imperniava su tre principi. Ebbene, Lovecraft spiega e chiarisce questi principi secondo la sua visione, e rimarrà loro fedele per sempre. Ma questo è soltanto uno dei passaggi.
Questi saggi, però, sono importanti perché illustrano quelle convinzioni di Lovecraft che ritroviamo riflesse poi nei racconti.
Il 22 febbraio 1921 HPL si trova a Boston per assistere a una conferenza. Ha trentun anni e sta per trascorre la sua prima notte fuori casa. L’episodio, già di per sé straordinario, ha il merito di dare il via a una lunga serie di viaggi. Nell’aprile del 1922 HPL è a New York. A luglio esplora la “regione delle streghe”. Ad agosto visita Cleveland. Nell’estate del 1930, dopo essere stato a Quebec in Canada per una gita di tre giorni, lavora a un reportage lungo centotrentasei pagine intitolato A Description of a Town of Quebeck. Sarà pubblicato da Donald M. Grant, Publisher, nel 1976, a cura dello scrittore L. Sprague de Camp. (A proposito: c’è la possibilità di leggerlo qui in Italia, prima o poi?) HPL, tuttavia, evita quegli spostamenti in grado di imprimere una sterzata decisiva alla sua vita.
Nel 1924 gli viene proposta la direzione della rivista “Weird Tales”, ma HPL rifiuta perché dovrebbe trasferirsi a Chicago. L’anno successivo, invece di seguire sua moglie nel Midwest, decide di restare a Brooklyn.
Quali sono le ragioni che S.T. Joshi individua in questo suo atteggiamento così ambivalente? C’entra qualcosa la sua famiglia, per caso?
Per quanto riguarda la direzione di Weird Tales e il trasferimento a Chicago, in quel caso influirono più fattori: il disgusto di Lovecraft per la città, le difficoltà che avrebbe potuto incontrare sua moglie Sonia nella ricerca di lavoro, il fatto che Henneberger (uno dei proprietari di Weird Tales e colui che gli aveva fatto l’offerta) fosse pesantemente indebitato — il che significava, in quel momento, la mancanza di garanzie che la rivista non avrebbe chiuso. Accettare la direzione sarebbe stato un salto nel vuoto e New York rimaneva il luogo ideale per chi, come Lovecraft, avesse voluto entrare a far parte, in un modo o nell’altro, del mondo editoriale.
A Lovecraft piaceva viaggiare, soprattutto visitare località “antiquarie”, dove ritrovare l’architettura e le atmosfere del passato (ecco perché amava Quebec e Charleston, in Virginia, per esempio). Tutto questo per dire che Lovecraft non era assolutamente restio agli spostamenti, ma non ebbe, in realtà, molte occasioni di farlo per dare una svolta alla sua vita. E poi, chiaramente, c’era il suo attaccamento all’amata Providence, e quando ebbe l’occasione di tornarvi dopo i due terribili anni a New York non se la fece sfuggire.
Forse è solo qui che interviene malamente la famiglia (e cioè le due zie), e questo intervento, unitamente a un atteggiamento discutibile di Lovecraft, impedì che Sonia potesse seguire il marito a Providence (tutti i dettagli nel secondo volume di Io Sono Providence).
(Vuoi leggere A Description of a Town of Quebeck? Guarda, dopo tre volumi per circa 1800 pagine complessive di biografia lovecraftiana, terrò la saggistica lontana da me con una pertica lunga tre metri. Ma i lettori potranno trovare la storia del viaggio a Quebec nelle prime pagine del terzo volume di Io Sono Providence).
“The oldest and strongest emotion of mankind is fear, and the oldest and strongest kind of fear is fear of the unknown.” Nel novembre del 1925, durante un viaggio a New York, HPL inizia a comporre quello che nel giro di un paio di anni diventa L’orrore soprannaturale nella letteratura: si tratta molto probabilmente del primo saggio critico sulla letteratura dell’orrore. Grazie ai volumi custoditi all’interno della New York Public Library (inaugurata trent’anni prima), HPL tratteggia i confini di una mappa incredibilmente vasta, ma ricca di dettagli.
Prende le mosse da testi antichissimi, come il Libro di Enoch (un manoscritto risalente al I secolo a.C.) e il Clavis Salomonis (un grimorio del XV secolo a.C.). Analizza le opere più importanti degli autori gotici (Horace Walpole, Ann Radcliffe, Charles Brockden Brown). Tributa un intero capitolo a Edgar Allan Poe. Passa in rassegna i maestri contemporanei: Arthur Machen (1863-1947), Algernon Blackwood (1869-1951), Lord Dunsay (1878-1957) e M.R. James (1862-1936). (Nota triste: con l’eccezione di quest’ultimo, tutti gli sopravvivranno.) Il lavoro di HPL, pubblicato per la prima volta su rivista, e ampliato tra il 1933 e il 1935 su The Fantasy Fan, impressiona anche Edmund Wilson, celebre critico letterario americano, noto detrattore dei racconti di HPL.
Per quale motivo HPL scrive questo testo?
Il tutto parte da W. Paul Cook (un amico e collega di Lovecraft nel mondo del giornalismo amatoriale) che gli chiede “un mio articolo sugli aspetti del terrore & del bizzarro nella letteratura” (come scrive Lovecraft in una lettera) da pubblicare sulla rivista da lui curata, il Recluse. Cook non aveva specificato il senso dell’articolo: fu lo stesso Lovecraft a decidere l’impostazione cronologica e storica del saggio, e gli occorrerà circa un anno e mezzo per completarlo dopo le maratone di lettura alla Biblioteca Pubblica di New York.
Come giustamente dici, L’orrore soprannaturale nella letteratura è un’opera fondamentale in quel periodo, perché lo studio del genere era praticamente inesistente: c’era stato The Supernatural in the Modern English Fiction (1917), che Lovecraft lesse solo negli anni ’30 bollandolo giustamente come troppo schematico e schizzinoso di fronte ad alcuni autori troppo “spaventosi”, mentre Lovecraft riesce a realizzare un’analisi puntuale e cronologica che raggiunge il suo apice negli ultimi sei capitoli del suo saggio, con un profondo excursus che va dal post-gotico al contemporaneo.
Ma l’altra grande ragione d’importanza di questo saggio è che in esso Lovecraft non solo difende il weird come forma letteraria dignitosa (qui troviamo la nota citazione di apertura “L’emozione più antica e più forte dell’umanità è la paura, e il tipo di paura più antica e più forte è la paura dell’ignoto”), ma cerca anche di definire cosa sia il racconto weird. E tutto questo partendo, se vogliamo, da ciò che aveva già scritto negli altri tre saggi In Difesa di Dagon.
Il 3 novembre 2020 si sono tenute le 59me elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America. A detta di molti esponenti dello stesso partito repubblicano, Donald Trump è stato uno dei peggiori presidenti della storia. Tra le questioni affrontate dalla sua amministrazione (sempre in maniera scellerata, secondo me) c’è anche quella relativa alle «fake news». Durante la notte del 16 ottobre 2020, dopo aver contribuito a diffondere una notizia notoriamente falsa a proposito del suo avversario, Joe Biden (responsabile, secondo un articolo, della messa in scena dell’uccisione di Osāma bin Lāden), a un’intervistatrice che gliene chiedeva le ragioni Trump ha risposto: «That was a retweet, I’ll put it out there. People can decide for themselves.»
Pur restando convinto che l’uomo più potente del mondo dovrebbe saper mettere in pratica un atteggiamento assai più cauto nei confronti di quello che pensa, dice e fa, per primo mi rendo conto che un concetto come «verità», inteso come «proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso», stia diventando sempre più difficile da gestire. HPL, però, si divertiva a mescolare le carte!
Nel 1927 scrive, come fosse autentica, la History of the Necronomicon, cioè la cronologia posticcia del suo più celebre pseudobiblion. Nel 1929, tra le righe del racconto The Call of Cthulhu, inserisce l’indirizzo reale («the Fleur-de-Lys Building in Thomas Street») di un critico e vivace corrispondente di HPL sulle pagine del “Providence Journal”, forse per ripicca personale.
È giusto dire che il rapporto di HPL tra “vero” e “falso”, ma anche tra la “fiction” e “non fiction” e tra “realtà” e “sogno”, non sia mai stato risolto?
Per quanto riguarda la narrativa, la risposta è anche forse troppo semplice, e te la faccio dare direttamente da Lovecraft, che affermò: “nessuna storia weird può davvero generare terrore a meno che non sia concepita con tutta la cura & la verosimiglianza di un vero e proprio imbroglio.” Quindi il falso diventa vero proprio per acquisire una sua forma di realtà che è quella che, poi, deve causare la reazione del lettore.
Il rapporto realtà/sogno è più complesso, sia dal punto di vista pratico che, se vogliamo, filosofico. Nel primo caso, sappiamo che molte opere di Lovecraft sono state ispirate da sogni vividissimi che lui aveva anche il pregio di ricordare perfettamente. Ma questo va a incidere anche sul secondo punto. Cosa sappiamo effettivamente della realtà, a parte ciò che ci ha svelato la scienza? È davvero tutto qui? Forse Lovecraft avrebbe detto di sì, ma sappiamo anche che il sogno ci permette di visitare mondi completamente diversi, “alieni”, che potrebbero avere qualche influenza sulla realtà stessa anche solo nella misura in cui mettiamo su carta quello che abbiamo sognato. Razionale com’era, credo che Lovecraft considerasse il sogno semplicemente un altro aspetto della realtà. Non saprei neanche se, perciò, “risolto” sia un termine che possiamo usare. Da un certo punto di vista, è una questione che non avrà mai una risposta.
Nell’estate del 1921, a Boston, frequentando i congressi della NAPA (National Amateur Press Association), HPL conosce Sonia Haft Greene, una ragazza di trentotto anni con il pallino degli affari (a New York gestisce un negozio di cappelli) e la passione per la scrittura (pubblica poesie, racconti e opere teatrali). Tre anni dopo, HPL e Sonia si sposano. Vanno a vivere nell’appartamento di lei al n. 259 di Parkside, Brooklyn. Il matrimonio, però, ha breve durata. Due anni dopo la coppia si separa. Il 25 marzo 1929 HPL si reca alla Corte Superiore di Providence per presentare un’istanza di divorzio.
Nell’unica lettera a noi pervenuta indirizzata a Sonia [la si può leggere in L’età adulta è l’inferno, Lettere di un orribile romantico, a cura di Marco Peano], HPL scrive: “Il vero amore fiorisce ugualmente bene nella presenza come nell’assenza, dando così prova di essere una forza più alta e immaginativa, diretta verso la parte più eterna, spirituale ed esteticamente sensibile della personalità.”
Cosa ha rappresentato Sonia Greene per HPL? E in che modo questo matrimonio ha segnato la sua produzione?
Sicuramente Sonia fu importante per lui per una certa affinità intellettuale e credo che Lovecraft le volesse bene sinceramente. Ma non era un uomo per cui la vita matrimoniale potesse avere uno stimolo o un significato. Forse si sposò perché è una cosa che i gentiluomini fanno (e per lo stesso motivo non voleva divorziare, anzi era più che disponibile a portare avanti un matrimonio a distanza, lui a Providence e Sonia a New York). Forse, se la coppia avesse vissuto a Providence, le cose sarebbero andate diversamente e probabilmente le opere scaturite sarebbero state molto diverse dalla scarna produzione narrativa di quei due anni newyorchesi. Ma lì Lovecraft si trovò anche in una situazione economica disagevole unita ai rovesci economici patiti da Sonia, e la necessità di trovare lavoro nonché un ambiente cittadino che detestava frenarono la sua creatività. E tutto questo influì molto più del matrimonio.
Durante i primi mesi della pandemia ho letto, con piacere e ammirazione, due testi: Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati, di Francesco Guglieri, e Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani, di Gianluca Didino. Per meglio approfondire certi argomenti, entrambi gli autori hanno fatto ricorso all’immaginario lovecraftiano: Guglieri quando rende omaggio a Stephen Jay Gould, celebre biologo e storico della scienza, Didino quando parla di Mark Fisher, filosofo, critico musicale e blogger britannico.
Fisher, in effetti, è stato il primo a sfruttare la carica immaginativa dei racconti di HPL per mettere a punto alcune categorie fondamentali per la comprensione del mondo contemporaneo. «Le storie di Lovecraft,» scrive Fisher nel suo ultimo libro The weird and the eerie, «si concentrano in maniera ossessiva su ciò che sta al di là: un esterno che irrompe per mezzo d’incontri con entità anomale provenienti dal remoto passato, stati alterati di coscienza, bizzarri contorcimenti nella struttura del tempo. L’incontro con l’esterno si conclude spesso con il crollo e la psicosi.»
L’«entità anomala» con la quale stiamo attualmente facendo i conti, però, non è giunta in mezzo a noi dall’esterno, come accade al fattore Nahum Gardner nel racconto The Colour Out of Space, ma, sulla base di quanto ha spiegato (addirittura preconizzato) lo scrittore David Quammen in Spillover. L’evoluzione delle pandemie, in mezzo a noi c’è sempre stata; nascosta in una grotta, magari nel corpicino di un pipistrello, ma qui, sulla Terra.
L’influenza spagnola, l’epidemia che tra il gennaio 1918 e il dicembre 1920 causò 50.000.000 di morti, arrivò anche negli Stati Uniti. Lovecraft se n’è mai occupato? Il freddo razionalismo che caratterizzava il suo pensiero si basava su quale concezione del pianeta?
La sua concezione di un universo che obbediva alle leggi della Natura si rifà al materialismo meccanicistico citato all’inizio. Questo lo portò fin dall’inizio a considerare il genere umano quasi con l’occhio di un entomologo che studia le formiche e, di conseguenza, a vedere il pianeta semplicemente come un ingranaggio di un meccanismo sconfinato. Ecco perché noi siamo irrilevanti ed ecco perché non ha alcun senso parlare di un dio interessato alle faccende degli uomini. È quello che è stato definito il “cosmicismo” di Lovecraft.
Quanto sopra è una sintesi anche fin troppo scarna del pensiero di Lovecraft. In realtà le sue posizioni sull’argomento sono molto ricche di argomentazioni, esempi, sfumature. Nella biografia, Joshi analizza tutto questo nel dettaglio fornendo un ritratto particolareggiato della ricchezza della filosofia di Lovecraft che, anche se si collocò su queste posizioni fin da giovanissimo, ebbe sempre una mente aperta e una visione delle cose in costante evoluzione, sia con le nuove teorie scientifiche (in quegli anni nacque anche la Teoria della Relatività che mise in crisi la fisica classica e con cui anche Lovecraft dovette fare i conti per poterla inserire nella sua filosofia) sia con i modi di vedere la realtà delle correnti artistiche di inizio Novecento.
Nelle sue lettere, Lovecraft cita diverse volte l’epidemia di spagnola che si abbatté anche sugli Stati Uniti e fece centinaia di vittime anche nel Rhode Island e a Providence. Non saprei dirti quanto questo abbia in qualche modo suggestionato Lovecraft (non ho approfondito la questione), fatto sta che, per esempio, in Herbert West, Rianimatore troviamo cadaveri causati da un’epidemia, e magari la visione dei morti accatastati in fosse comuni nella sua città proprio a causa dell’impatto dell’epidemia può aver influenzato alcuni dei primi lavori di Lovecraft. Secondo alcuni critici è avvenuto proprio questo.
Tra il 1920 e il 1928, lo abbiamo detto, HPL scrive soprattutto racconti. Interrompe la scrittura di lavori scientifici. (L’ultimo suo lavoro in questo ambito resta The Truth about Mars [1917].) Rallenta la stesura di saggi di argomentazione filosofica. (Restano importanti: Nietzscheism and Realism [1922], East and West Harvard Conservatism [1922] e The Materialist Today [1926].) Mantiene costante il componimento di poesie. Si concentra maggiormente sugli scritti giornalistici, seppure pubblicati in ambito amatoriale; durante la nostra precedente chiacchierata, in effetti, avevi già spiegato come a un certo punto HPL fosse diventato «un vero e proprio “gigante” di quell’ambiente». Negli stessi anni, tuttavia, HPL dà il via ad alcune importantissime corrispondenze. Il 12 agosto 1922 inizia il carteggio con lo scrittore e poeta Clark Ashton Smith.
Quattro anni più tardi è la volta di August W. Derleth. È anche il periodo in cui inizia a intensificarsi una seconda attività, purtroppo per HPL sempre più indispensabile per ragioni economiche: la revisione, e in certi casi la vera e propria scrittura, di manoscritti altrui. Tra i nomi più celebri a beneficiare del talento di HPL, c’è stato anche Harry Houdini, il famoso illusionista.
Come è nato l’incontro tra i due? È vero che dovevano scrivere un libro?
Houdini aveva proposto a Lovecraft di scrivere un libro (assieme a C.M. Eddy) intitolato The Cancer of Superstition, che doveva essere una lunga critica nei confronti delle superstizioni di ogni tipo e che fosse permeato di un certo rigore accademico. Di questo libro è rimasto solo uno schema delineato da Lovecraft e un’introduzione scritta quasi certamente da Eddy, ma il progetto si bloccò perché Houdini morì improvvisamente e sua moglie non volle portarlo avanti.
Subito prima, Houdini aveva incaricato Lovecraft (pagandolo in anticipo) di scrivere un articolo che attaccasse l’astrologia. Non sappiamo se Lovecraft lo abbia mai fatto: questo articolo non è mai spuntato fuori.
Il primo “incontro” tra Lovecraft e Houdini avvenne tramite il sopracitato Henneberger. Poiché Weird Tales non andava bene, Henneberger reclutò Houdini, allora all’apice della fama, affinché scrivesse per la rivista pulp (anche se in realtà i racconti di Houdini vennero scritti da alcuni ghostwriter). Quindi Henneberger si rivolse a Lovecraft per fargli mettere su carta una storia che Houdini voleva far passare per vera (quella che sarebbe diventata Sotto le Piramidi). Houdini fu entusiasta del racconto e invitò Lovecraft ad andarlo a trovare (non si sa se questo accadde), e in seguito cercò anche — senza successo — di dargli una mano nella sua ricerca di lavoro.
Non so te, ma io ho un problema con le trasposizioni cinematografiche delle opere di HPL. Sul grande schermo i suoi orrori cosmici mi paiono rimpicciolirsi, farsi grossolani e posticci.
L’anno scorso il regista Richard Stanley ha girato Color Out of Space, ma, a parte la scriteriata mimica facciale di Nicolas Cage nel ruolo del protagonista, l’ho trovato un film piuttosto mediocre. Anche il thriller fantascientifico Underwater [2020] devo considerarlo un film lovecraftiano “ufficiale”: il mostro che appare nelle sequenze finali, ha svelato il regista, non presenta soltanto delle somiglianze con Cthulhu. È proprio lui! Il Sognatore Immenso di R’lyeh. Peccato la pellicola sia stata un’altra occasione mancata.
Le storie lovecraftiane che preferisco sono quelle che trattano HPL in maniera obliqua. Penso a In the Mouth of Madness [1994] di John Carpenter, con la storia di John Trent, un investigatore privato che si perde negli oscuri labirinti narrativi dello scrittore dell’orrore Sutter Cane. Mi viene in mente The Lighthouse [1919] di Robert Eggers, una storia di violenza maschile, isolamento e creature marine presa, in realtà, da un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe.
Lo scorso agosto è arrivata Lovecraft Country della HBO. Tratta da un romanzo dello scrittore Matt Ruff, la serie, prodotta da Jordan Peele (regista di Get Out [2017] e di Us [2019]), narra la vicenda di Atticus “Tic” Freeman, un ex soldato impegnato a ritrovare il padre negli Stati Uniti degli anni 50 durante la segregazione razziale. Un’ironia davvero beffarda e perfetta: la prima trasposizione televisiva (quindi: popolare) dell’universo cosmico di HPL ha per protagonista un uomo afrodiscendente!
Quali credi che siano i limiti e i meriti delle trasposizioni cinematografiche di HPL? Come mai i suoi orrori continuano ad affascinare?
Gli orrori di Lovecraft toccano più livelli. A quello più elementare, li possiamo concepire quasi come una sfida dei “buoni” contro i “mostri malvagi venuti dallo spazio esterno”, quindi una sorta di contrapposizione tra bene e male che però era qualcosa di completamente distante dalla filosofia di Lovecraft e dalla sua visione dell’universo (anche se poi queste concezioni tornano lo stesso nella sua narrativa). A livello più elevato, quello che accade è che i vari protagonisti delle storie di Lovecraft si trovano di fronte qualcosa che mette in crisi il loro concetto di realtà, qualcosa che dimostra l’irrilevanza del genere umano e dei suoi obiettivi, che perdono significato di fronte alle incarnazioni dell’ignoto del cosmo. Ecco perché molti dei personaggi di Lovecraft, nel migliore dei casi, perdono il senno: non solo perché si ritrovano a fronteggiare l’inconcepibile, ma anche perché il risultato finale è che il loro sistema di valori e di credenze è andato in pezzi, e non potrà mai tornare integro.
Questa è la parte che il cinema fa fatica a mostrare. Ci sono state eccezioni (Il Seme della Follia che citi, ma aggiungerei anche qualcosa come Fog e Il Signore del Male, sempre di Carpenter, e anche l’Alien di Ridley Scott), ma credo che derivi in parte dai limiti narrativi del mezzo e in parte dall’assenza di registi in grado di interpretare la filosofia di fondo di Lovecraft (l’unico a riuscirci è stato Carpenter, a mio avviso).
Il progetto della Providence Press, costellato da libri proiettati verso “un orizzonte sconosciuto, dove perdersi e dal quale, forse, mai più tornare”, continua a proporre opere interessanti. Confermate l’amore per Robert E. Howard, il creatore di Conan il Cimmero, pubblicando un secondo volume di racconti con protagonista il detective del macabro Steve Harrison, e una seconda raccolta di storie con al centro il personaggio di Francis Xavier Gordon, ovvero: El Borak. Avete pubblicato da poco un’antologia di racconti weird di guerra, Weird War Tales, e Il ragno del tempo, il nuovo romanzo del Premio Urania Maico Morellini. Avete dato alle stampe un libro-game, Malice della Valle di Mezzo di David Sharrock, e presto toccherà al sesto numero della vostra rivista di saggi e racconti, Providence Tales.
Augurando a te e a tutta la tua squadra di poter andare oltre i limiti delle pubblicazioni programmate, ti chiedo se ci sono ancora dei testi o magari degli autori che vorresti introdurre nel panorama editoriale italiano.
Tra le ultime uscite ci sono il secondo volume di El Borak (che sarà un balenottero di 488 pagine dove un centinaio sono dedicate al carteggio tra Howard e Lovecraft), il sesto numero di Providence Tales (incentrato sui racconti horror a sfondo natalizio) e anche il volume di Flaxman Low, uno dei primi detective dell’occulto pubblicato originariamente a fine Ottocento e che precede anche i più famosi John Silence e Carnacki.
Tra febbraio e maggio arriveranno Aylmer Vance di Alice & Claude Askew, ancora un altro detective dell’occulto (il libro è già pronto ma in questi ultimi mesi abbiamo fatto molte uscite e non volevamo esagerare), il settimo Providence Tales (quasi esclusivamente dedicato all’horror marittimo), e il primo volume di una collana dedicata alle scrittrici di horror e fantastico (la prima sarà un’autrice americana molto poliedrica che ha scritto una piccola antologia secondo noi molto valida). A fine anno, sperando di riuscire a chiudere in tempo il terzo e conclusivo Io Sono Providence, ci sarà un altro scrittore americano misconosciuto ma autore di piccoli gioielli straordinari e, forse, un altro detective dell’occulto, anche lui creato da un autore americano.
E dopo un 2021 di matrice quasi esclusivamente yankee, ci concentreremo su un 2022 di stampo britannico. Ci sarà sicuramente un volume di Algernon Blackwood e presumibilmente un paio di volumi di ghost stories dal sapore tipicamente inglese.
Non menzionerò gli autori, ma posso garantire che saranno collection assolutamente intriganti. E poi chissà, di autori e progetti ne abbiamo anche troppi… Se purtroppo o per fortuna, devo ancora capirlo.
Permettimi, in queste ultime righe, di ringraziare te per lo spazio che ci hai dedicato e tutti i lettori che ci seguono e che, dopo quattro anni e poco più di una trentina di uscite, ci permettono di continuare a presentare storie e autori ingiustamente dimenticati o trascurati. E poiché siamo stoici come gli eroi di Robert E. Howard, non abbiamo intenzione di fermarci.