Venerdì 31 marzo, all’Angelo Mai, il collettivo bolognese Ateliersi porterà “Al cosmo lettura in ensemble di Tra le rose e le viole. La storia e le storie di travestiti e transessuali di Porpora Marcasciano”. Abbiamo incontrato Fiorenza Menni, curatrice del lavoro e Giorgina Pi, regista teatrale, drammaturga e fondatrice del Collettivo Angelo Mai, per capire quando e perché il personale diventa politico.

Tra le rose e le violeè il titolo di una filastrocca di quando andavo all’asilo. Le suore la insegnavano alle bambine che la cantavano facendo il girotondo. Mi piaceva molto. Essendo un maschietto non potevo entrare nel girotondo delle bambine e quando ci riuscivo ero davvero felice. L’incanto veniva rotto dal rimprovero delle suore e dalle urla di scherno degli altri bimbi. Quando tornavo a casa nella mia cameretta giravo in tondo, sognavo e cantavo: «Tra le rose e le viole…»”.

Queste sono le parole di Porpora Marcasciano, attivista militante nei movimenti di liberazione dagli anni 70 a oggi, una delle fondatrici del MIT (Movimento Identità Trans) e autrice di molti testi, tra cui, appunto, “Tra le rose e le viole. La storia e le storie di travestiti e transessuali” (Alegre), libro fondamentale per la conoscenza e per la trasmissione della storia delle lotte, individuali e collettive per la rivendicazione della propria identità.

Introvabile per moltissimi anni, questo libro è di nuovo disponibile, in una nuova edizione riveduta e corretta: cinquant’anni di battaglie raccontate in dieci interviste, dalle prime pioniere alle esperienze delle giovani d’oggi, una testimonianza che racconta l’urgenza e la bellezza del partire da sé come primo passo di ogni prassi politica.

“Non conoscevo questo testo. Ho avuto modo di scoprirlo durante il lockdown, quando Alegre ne ha curato una seconda edizione. È stata una grande, preziosa scoperta, per me”, afferma Fiorenza Menni, attrice e autrice teatrale che insieme ad Andrea Mochi Sismondi crea gli spettacoli di Ateliersi. “Un libro potente, che attraversa la seconda metà del Novecento italiano, raccontandone la storia parallela, quella delle battaglie per l’ottenimento dei diritti civili, una storia invisibile, quasi sotterranea, che è stata fondamentale per l’autodeterminazione di moltissime persone.

Il progetto ha avuto una prima fase a Bologna, nell’autunno inverno 21/22 prima di arrivare in forma di lettura al festival Short Theatre. A Bologna si è costituito un gruppo di lettori e di lettrici con le quali abbiamo potuto dare vita a questa lettura al cosmo. Creare un’atmosfera di attenzione e di ascolto erano il nostro obiettivo principale. Il percorso laboratoriale, in questo senso, è servito a scoprire, a indagare, a inventare modalità per cui le persone che vengono ad ascoltare si trovino coinvolte emotivamente dalla cura che le persone che leggono si restituiscono reciprocamente. Perché, in fondo, fare una lettura ad alta voce significa creare un contesto di persone che si prendono cura dell’ascolto condiviso”.

“Ancora oggi, anche in ambito teatrale, gli spazi per le donne e per le persone trans sono ridotti e asfittici, in un contesto generale in cui la richiesta di prodotti finiti senza nessuna ricerca è molto alta”, come l’Angelo Mai ricorda nella sua brochure teatrale.

Abbiamo incontrato, quindi, Giorgina Pi, regista teatrale, drammaturga e fondatrice del Collettivo Angelo Mai, uno spazio indipendente che ormai è diventato il simbolo della lotta a “ogni discriminazione  rivolta a corpi e vite non conformi al pensiero patriarcale”. La programmazione teatrale di quest’anno ne è una dimostrazione molto concreta.

Amleta, collettivo femminista intersezionale che racconta la presenza femminile nel mondo dello spettacolo, riporta dei dati inquietanti: disparità sulle paghe tra uomini e donne, attrici vittime di violenze da parte di registi e produttori, totale assenza di donne alla direzione di teatri nazionali italiani. La maggiore consapevolezza del fenomeno sta innescando un cambiamento oppure no?

Nonostante la consapevolezza del fenomeno stia diventando più concreta, ancora oggi continuiamo ad operare in un teatro che è interamente in mano agli uomini, viviamo una profonda disuguaglianza di genere – nelle paghe e negli atteggiamenti.

L’Angelo Mai è un centro di produzione artistica, ma soprattutto è un centro di incontro autogestito e quindi, inevitabilmente, è un luogo politico. L’autogestione è il primo passaggio per interrogarsi su quanto il patriarcato ci abbia tolto, perché proprio nell’autogestione si comprendono meglio le modalità in cui si sarebbe potuto vivere, in sistemi più equi, quindi più felici, che non ci sono stati concessi e che ancora oggi non vengono minimamente considerati a livelli istituzionali, ad esempio, nel teatro italiano. In questa prospettiva, la nostra idea di autogestione è un’idea di responsabilità dal punto di vista transfemminista, una responsabilità molto alta che ha a che fare con la possibilità di agire continuamente sul presente e sulle cose che ci accadono.

In questi giorni – 24, 25, 26 marzo – in scena all’Angelo Mai, ci sarà uno spettacolo molto atteso, Of the Nightingale I Envy the Fate della compagnia Motus, con Stefania Tansini – Premio Ubu 2022. Un lavoro che, partendo dalla figura di Cassandra, indaga le molteplicità del femminile, un tema caro e fondante dell’Angelo Mai.

Con questa rilettura del mito di Cassandra i MOTUS ci riportano ad un nodo attualissimo, che è quello che ci parla di come essere corpo femminile e pensiero femminile non conforme al diffuso, imperante desiderio maschile, generi un grande dolore.

Gli spettacoli in programmazione all’Angelo Mai hanno come minimo comune denominatore il senso della condivisione tra persone, compagnie, performance che hanno il desiderio di raccontare qualcosa che non è più così semplice dire, e penso che questo qualcosa sia anche molto urgente. Nella maggior parte dei casi, la capacità di far detonare questi temi ce l’hanno proprio le donne. Penso agli spettacoli in scena da noi, che sono principalmente opere di donne – da “Con la carabina” di Licia Lanera  alle riflessioni di Emilia Verginelli fino alle azioni più intime di ricerca di Elena Basotgi e del suo “senza titolo (mâcher ses mots)”, più legato al mondo della filosofia e della danza.

L’Angelo Mai è un luogo dove le artiste sanno che possono creare disponendo di tutto i tempo di cui hanno bisogno.

È questa la nostra idea di fuori formato: un’esperienza annuale formata da nuclei che hanno la stessa identica importanza, che si tratti di spettacoli,  residenze, laboratori o incontri.

Il 31 marzo, invece, ci sarà un evento dalla portata simbolica molto potente. Il collettivo Ateliersi, propone “Al cosmo lettura in ensemble di Tra le rose e le viole. La storia e le storie di travestiti e transessuali di Porpora Marcasciano”. Com’è nata l’idea di questo spettacolo e cosa vuol dire oggi tornare su questo testo?

L’idea della lettura in ensemble a cura di Fiorenza Menni, intellettuale, regista e interprete, rientra proprio in quella visione di fuori formato che accade all’Angelo Mai: il nostro fuori formato è l’espressione di quel bisogno di quanto il teatro si possa e si debba abitare, in termini di ore, di giorni, periodi di prova e in termini di incontri, di linguaggi. In sostanza, quanto di più attualmente distante dalla normativa e dalla gestione dei teatri pubblici.

Ateliersi e Angelo Mai, due realtà diverse, di due diverse città, si incontrano sul testo di Porpora Marcasciano, figura chiave di un pensiero politico, di una responsabilità e di una visione artistica altra.

Com’è l’Angelo Mai del futuro?

L’Angelo Mai del futuro sarà il luogo dove interrogarsi su come creare nuove, giuste proposte collettive.

 

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gpborghese@minima.it

Giornalista, si occupa di teatro, viaggi e società. Collabora, tra gli altri, con le riviste Il Tascabile e CheFare.

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