Tra squash e scrittura: un’intervista a Chetna Maroo

a cura di Fabienne Rêve

Da dove è nata l’idea di questa storia?

Non ricordo dove fossi esattamente, ma ricordo che avevo l’impressione di essere dentro un campo da squash, e una voce che diceva: “c’erano tre di noi”. Io sapevo che c’erano tre persone nel cortile. Sapevo che c’era un padre sul balcone sovrastante, che parlava e istruiva le ragazze. E sapevo che tutti sentivano la presenza di una madre assente. È raro percepire così chiaramente l’inizio di una storia, ma mi sono fidata. Ho avuto fiducia nella voce e nell’immagine delle tre ragazze in movimento dentro il box di vetro di un campo da squash.

I tuoi scritti precedent sono stati pubblicati in vari magazine, come sapevi che questo sarebbe diventato un romanzo?

Avevo scritto un testo breve che non funzionava ancora ma sembrava vivo in qualche modo. L’ho fatto leggere allo scrittore Thomas Morris che mi chiese: “Hai per caso un romanzo per le mani?”
Non so quando mi sono convinta del tutto. Ho lasciato decantare l’articolo per qualche mese, e nel frattempo mi è ritornata più volte tra le mani una frase di Gail Godwin (citato sia da Lorrie Moore, sia da Hilary Mantel) :

Dietro ogni storia che inizia, “Quando ero un bambino”, esiste un’altra storia in cui degli adulti stanno combattendo per le loro vite.

Questo ha risvegliato qualcosa dentro me ed è così che ho iniziato a scrivere quello che è diventato T.

Cosa significa per te scrivere?

Mi piace scrivere. È lavoro. Quando lavoro, provo piacere a fare qualcosa e a farlo bene, a tradurre le emozioni o un’esperienza in linguaggio.

Giocare a squash richiede rigore e una preparazione fisica costante. Per te, scrivere richiede lo stesso impegno?

Richiede lo stesso rigore, e in entrambi i casi il tempo speso senza senza praticare sport e scrittura è ugualmente importante. Spesso è nelle pause tra periodi di grande concentrazione che i problemi si risolvono e il lavoro si trasforma e assume una forma. Ci sono anche altre somiglianze. Ci sono cose che vengono lasciate alle spalle dopo l’infanzia: giocare, giocare seriamente, fare qualcosa per il semplice fatto di farlo. Ci sono cose di cui si parla difficilmente perché sembrano avanzare pretese misteriose sul fare arte o sport: il modo in cui il tempo passa o si ferma; la sensazione di uscire da sé, di essere connessi a qualcuno oltre noi stessi. Forse, questa in parte, è una risposta alla domanda precedente.

Quali sono i tuoi autori preferiti?

Tove Jansson, Tarjei Vesaas, Haldor Laxness, Charlotte Bronte, Elizabeth Strout, Elena Ferrante, Kazuo Ishiguro, Franz Kafka. Di recente ho letto Il volume del tempo di Solvej Balle, e cercherò tutto quello che scriverà da ora in poi. La mia lista potrebbe essere differente un altro giorno ma il lavoro di questi autori mi accompagna nella mente. Penso, in ogni caso, che questo abbia a che vedere con la sensazione di essere venuta veramente a contatto con il mondo privato di un’altra persona, quello del narratore o dell’autore, o forse di entrambi.

 

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