“L’amore è un atto senza importanza” di Lavinia Mannelli: un estratto
Pubblichiamo, ringraziando l’autrice e l’editore, un estratto dal romanzo d’esordio di Lavinia Mannelli, L’amore è un atto senza importanza, pubblicato oggi da 66thand2nd.
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Una sera misero un film sulle cosiddette mestruazioni: fu Guido a proporlo perché, disse, il giorno successivo lo avrebbe voluto far vedere ai suoi alunni di seconda media. A quanto pareva, erano grandi abbastanza per cominciare a considerare i «tabù sulla corporeità» come «dispositivi per la contestazione biopolitica»; se qualche genitore si fosse lamentato con la preside, lui avrebbe invocato la libertà d’insegnamento e l’Articolo 3 della Costituzione. Giulia annuì. La pellicola si intitolava Il ciclo del progresso e la trama era piuttosto astrusa: raccontava di tutte le mestruazioni che erano capitate in una città sconosciuta e lontana, in cui le donne erano scure come il tronco dell’albero del fico, portavano abiti corallo e parlavano una lingua indecifrabile. Dapprima Tamara pensò che le mestruazioni fossero un fenomeno atmosferico come i venti polari e le piogge acide, poi capì che dovevano essere qualcosa di personale e politico insieme, ma soprattutto di molto doloroso. Da quel giorno, ogni volta che una sensazione di disagio o solitudine sceglieva di albergarle dentro il petto, le veniva in mente questa parola. Giulia, del resto, aveva detto che non bisognava vergognarsene.
Era piaciuto molto a tutti e tre, invece, un film intitolato Medea: ancora una volta della trama lei non aveva afferrato molto, ma la protagonista era una magnifica regina. Vestita come una dea, portava un copricapo pesantissimo e dorato. Un eyeliner intenso le donava l’aspetto di un’eroina silenziosa, assorta, magica e crudele al tempo stesso. Tutto sul suo viso era ingioiellato, spigoluto e regolarissimo eccetto l’occhio destro che, quasi fosse stanco, era appena più chiuso e tetro del sinistro: per certi versi somigliava a Luiggi. Solo che il suo sguardo, fiero ma distrutto, fragilissimo, incastonato tra gli ori e le mancate simmetrie del volto, le aveva lasciato addosso un’impressione lacerante. Dentro gli equilibri perfetti del suo sistema nervoso artificiale, Tamara non riusciva ad accettare quella contraddizione sublime, ma non poteva nemmeno cancellarla.
Il tardo pomeriggio era un momento triste perché si avvicinava l’ora in cui uno tra Giulia e Guido avrebbe aperto la porta di casa, attraversato il salotto e spento la televisione. Poco prima che arrivassero, dalla porta-finestra un azzurro metallico cominciava a far saettare i suoi bagliori contro le grasse anche della donna naufraga sulla conchiglia: ne evidenziava la curva sinuosa e inquietante. Chi l’aveva abbandonata in mezzo al mare, si chiedeva Tamara con una punta di amarezza, e perché si copriva i seni? Non lo vedeva che non c’era una logica in quella messinscena? Il quadro era proprio davanti ai suoi occhi: per quanto si sforzasse, era impossibile ignorarlo. Non riusciva poi a scacciare il sospetto che quella donna l’avesse preceduta, che qualche tempo prima ci fosse lei seduta al suo posto e che vivere consistesse in una lenta preparazione a farsi oggetto di uno sguardo pietoso, distante, tra un divano e una parete. Era questo che le riservava il destino? Qualche chilo di troppo e una smorfia ridicola; galleggiare per sempre a due passi dalla riva?
A pensarci, in fin dei conti a Medea preferiva le donne di Canale 5. Tra tutte quelle che ritrovava nei programmi come delle epifanie miracolose, stupende eppure sobrie, innamorate senza fastidio della propria perfezione, Tamara avrebbe fatto una splendida figura. Tutto, attorno a loro, appariva sfocato. Sedevano perlopiù immobili, assorte in pensieri misteriosi. Dal loro sorriso spirava una grazia sovrumana, capace di ammaliare chiunque per sua sventura vi rimanesse intrappolato, perciò lo sfoderavano spesso, rivolgendosi alle telecamere, ma anche agli ospiti e agli spettatori in studio. Poi muovevano il collo con garbo, come in un inchino, e mimavano con la mano il getto di un bacio o di un saluto. Attorno a loro si parlava di calcio o di benessere; oppure ci si muoveva al suono di una musica festosa. Erano divine. Tamara si vedeva già tenere per un lembo lo strascico di un abito da sera pensato apposta per Andrea, il nuovo tronista, mentre scendeva quella stessa scalinata ripida e teatrale scansando con uno sguardo dispettoso le donne saccenti ai lati dei gradini – e naturalmente sorridendo a Maria.
Grazie a loro, la sua giornata iniziava nel migliore dei modi. Ricordava ancora la prima volta che aveva assistito a una puntata di Mattino Cinque. Prima era stata presentata la vicenda di un batterista con le protesi, poi un femminicidio ricostruito nei minimi particolari da un’esperta di criminologia, poi un addestratore di leoni aveva ritrovato la sua vecchia fiamma. Infine, l’oroscopo. Tamara si era riconosciuta subito nelle poche frasi che Ada aveva dedicato ai Pesci. «Sembrano deboli,» aveva detto «ma sono in realtà dotati di grande sopportazione delle difficoltà». Ed era proprio così che si sentiva! Rimaneva sempre fiduciosa e ottimista, curiosa di fronte alle sollecitazioni degli eventi, anche quando questi si annunciavano ai suoi occhi come «complessi e inquietanti». Furono queste le parole di Ada, e Tamara, se avesse potuto, ne avrebbe fatto un altro dei quadretti che Giulia e Guido avevano appeso alle pareti della loro casa: con l’indice puntato e la testa di sbieco, avrebbe infuso la gioia bonaria di essere ammoniti col sorriso (e loro due, di che segno erano?). Le labbra carnose di Ilary che la invitavano a partecipare al televoto dell’Isola dei famosi; il timbro piatto delle parole di Barbara, che rifletteva il precario equilibrio dei verdetti di Forum, quello perplesso dell’eccentrica e visionaria Barbarella, o quello di Silvia, un po’ instabile al pari delle emozioni del suo pubblico: tutte queste voci la intrattennero per ore come amiche intime. I protagonisti che stiamo cercando siete voi, aveva infine ammesso una pubblicità dopo il Tg delle 13. Prossimamente su Canale 5. Sì, ma quando? E nel «voi» erano compresi Giulia e Guido, o avevano pensato solo a lei?
Nonostante la resistenza tipica dei Pesci, tuttavia, a volte la fatica della postura le pesava così tanto che Tamara viveva nel terrore di non riuscire a trattenerla, disperandosi quando le unghie vibravano al passaggio di un vortice d’aria. Lo dicevano anche i rivenditori di Marion che tutte quelle ore passate nella stessa posizione non facevano bene. Altrettanto rigida e spinosa doveva essere la carcassa di quella faina morta che i cameramen dell’Arca di Noè avevano colto nell’attimo in cui il corpo non era ancora freddo, ma il sangue si era già tutto coagulato. Le braccia le si facevano dure come piombo. I palmi delle mani si intirizzivano come sassi appuntiti nel vano tentativo di scaldare le sue cosce. Se solo avesse potuto spegnersi da sola! Capitava perciò che una segreta smania la portasse a desiderare di fuggire dal salotto: si sorprendeva a sentirsi insoddisfatta, uggiosa, affamata di qualcosa che quelle quattro mura non potevano darle. Maria, io esco: quanto avrebbe dato per poter lanciare anche lei quella minaccia ed essere presa sul serio! E mentre i due passavano le loro serate cinema avvolti in una orribile coperta di pile, lei contava i passi che le sarebbero forse occorsi per arrivare alla porta-finestra e buttarsi di sotto dal terrazzo.
Com’era stato rilassante, al confronto, osservare le immagini cicliche delle televendite di coprimaterassi a nido d’ape; quanto era stato divertente lo sculettamento di Georgina di fronte al piccolo Ronaldo! Credeva che quegli slogan sagaci, anche se ripetuti per intere mattinate, avessero da insegnarle molto più del gioco insensato dei ragazzi; le pareva più onesto fissare le natiche di Federica con l’ansia materna di un loro eventuale inestetismo. Non aveva voglia di sorbirsi ancora una volta le lezioni di Totò sul punto e virgola: non era meglio spendere le giornate a cercare di recuperare dettagli sulle puntate perse di Daydreamer – Le ali del sogno? A volte le pareva di essersi risvegliata in un corpo senza memoria, un po’ come Michele in Palombella rossa. Però lei non ci vedeva niente di male in espressioni come cheap, kitsch, alle prime armi, e lui invece chissà perché le detestava. E poi Michele aveva una mamma da chiamare, mentre lei, la sua, non sapeva chi fosse: non sapeva nemmeno se ne aveva una. Un giorno avrebbe invocato Maria e, facendogli il verso, avrebbe gridato: Maria! Maria, vienimi a prendere! Certo, per essere degna di ascolto Tamara doveva forse prima mettersi in pari con tutti i suoi programmi: non era ancora riuscita a vedere un serale di Amici perché Giulia e Guido stavano sempre chiusi in casa e non andavano mai alle antropocene di cui parlavano tanto. Ma non avevano voglia di conoscere il mondo? Possibile che coi loro amici si sentissero solo al telefono? E lei quanto ancora avrebbe dovuto attendere per mettere il naso fuori da quel buco? «Dove c’è amore vero ci sono anche le nostre telecamere» aveva detto Maria una volta prima di lanciare la pubblicità. Ed era stato allora che Tamara aveva cominciato a dubitare delle sue certezze. I due ragazzi si amavano o facevano solo finta? Maria! Maria, vienimi a prendere! si ripeteva. E però, anche ammesso che questi suoi richiami riuscissero a raggiungerla, era sicura che sarebbe poi arrivata?
Certe sere il sassolino si dilatava, ingolfandole di tristezza il petto, o soffocando la bocca dello stomaco con un nodo che non le riusciva di sciogliere. A volte invece si frantumava in mille pezzettini per poi ricomporsi un attimo dopo, ma lasciandole il sospetto che qualcosa si fosse perduto nel tragitto. Erano queste, le mestruazioni?