Il carnevale di Nizza e lo stupore nei racconti giovanili di Irene Némirovsky
di Giuseppe Bonvegna
Amare significa dire all’altro: «tu non morrai». Non sappiamo se Gabriel Marcel, il filosofo cattolico parigino autore di questa frase, l’abbia mai detta a Irene Némirovsky, prima della morte di lei, nel 1942, a trentanove anni, nel campo di sterminio nazista di Auschwitz. Quel che è certo è la stima di Marcel verso di lei, scrittrice ebrea nata a Kiev nel 1903, fuggita nel 1919 a Parigi con la famiglia per scampare alla rivoluzione socialcomunista (il padre era uno zarista) e battezzata nella Chiesa cattolica nel 1939 (forse anche come tentativo di “soluzione” al rifiuto della Terza Repubblica francese di concederle la nazionalità in quanto ebrea apolide).
Nemica di coloro che avrebbero dovuto essere i suoi amici (i francesi) e infine arrestata nel 1942 dai nazisti, che avevano occupato la Francia due anni prima (e dai quali forse continuò a sperare una clemenza in forza del suo anticomunismo), Némirovsky condivide, dal punto di vista dell’incomprensione presso gli amici, una sorte simile a quelle della comunista Rosa Luxemburg (fucilata a Berlino dai Freikorps paramilitari di destra nel 1919 ma con il benestare della neonata repubblica socialdemocratica tedesca) e della filosofa ebrea-tedesca Hannah Arendt: fu infatti sullo stesso scorcio degli Anni Trenta e da parte della stessa Terza Repubblica francese, che rifiutava la nazionalità alla scrittrice di Kiev, che Arendt, prima di emigrare negli Usa all’indomani dell’occupazione nazista della Francia, fu internata in un campo di concentramento in Francia….
Forse anche a causa di questa incomprensione in patria, Némirovsky sarebbe rimasta, com’è noto, voce sconosciuta per oltre mezzo secolo, cioè fino alla pubblicazione postuma, nel 2004, dell’incompiuto Suite francese (sull’occupazione nazista della Francia), per interessamento delle due figlie avute dal matrimonio con l’ingegnere russo Michel Epstein.
Eppure, è proprio da Suite francese che si desume come, quasi fino alla fine, la scrittrice ebbe fiducia nel popolo e nella nazione che l’avevano accolta in fuga dalla Russia bolscevica, al punto da non seguire il consiglio degli amici che l’invitavano a fuggire in Svizzera: una fiducia che adesso riceve ulteriore conferma dalla recente ripubblicazione di alcuni suoi racconti per Adelphi, l’editore che ha fatto conoscere in Italia Suite francese nel 2005, un anno dopo la sua prima apparizione assoluta in Francia (Il carnevale di Nizza e altri racconti, p. 288, euro 18.50).
Sono racconti che testimoniano del primo periodo parigino della scrittrice, quello degli Anni Venti della frequentazione alla Sorbona, tra studio, balli e flirt, un tempo spensierato (ma anche intriso di rimpianto per le occasioni mancate), non a caso caratterizzato dalla propensione per le forme brevi e per l’ibrido tra il racconto e la sceneggiatura, in un momento in cui il cinema si stava appena affermando: e veniva da lei considerato come «l’arte più imparentata con la verità» e che «più si avvicina alla vita», anche perché «non bisogna aver paura di sperimentare cose nuove, anche se non riescono bene».
Siamo ancora molto lontani dai drammatici anni dell’inizio della Guerra, con l’internamento e poi con l’occupazione nazista e la deportazione: vi si scorge, ad esempio, in Fiumi di vino, non solo l’insofferenza per un ambiente claustrofobico, ma anche una frustrazione per la vita coniugale e un desiderio di evasione che sfumano nel racconto di un episodio della Guerra Civile Finlandese del 1917-1918 tra comunisti e controrivoluzionari “bianchi”, che però serve a descrivere un baccanale onirico, dato che quel racconto riguarda il saccheggio delle cantine imperiali.
C’è anche la fatica della scrittura e la riflessione sulla modalità per rappresentare l’infanzia, che è uno dei temi più ricorrenti tra le righe della narrazione, ma soprattutto ne I giardini di Tauride, il racconto inedito in italiano che chiude la raccolta: dove il legame con la biografia della scrittrice risulta quindi particolarmente evidente, in quanto ciò che le interessa mettere in scena è il momento in cui, in una bambina «più amara e più vera», stanno per dissiparsi «le dolci tenebre interiori».
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Giuseppe Bonvegna, docente di filosofia e storia, attualmente collabora alla pagina culturale di Avvenire e a Gutemberg (inserto del venerdì di Avvenire), fa parte del Comitato Scientifico del Centro Studi Filosofici di Gallarate ed è Consigliere Nazionale dell’Associazione Docenti Italiani di Filosofia. Ha collaborato anche con diverse scientifiche in ambito filosofico, tra le quali Rivista di Filosofia e Rivista di Storia della Filosofia.