Il tentativo di trovare un baricentro emotivo: su “L’amore inutile” di Gianfranco di Fiore
di Corrado De Rosa
Ci sono mille modi per leggere un libro. Seguire la trama, ascoltare la lingua, lasciarsi portare dai luoghi narrati, rincorrere un personaggio oppure un’ambientazione. Un modo, uno dei tanti, attraverso cui infilarsi dentro L’amore inutile é farsi portare dall’anima, dalla psicologia dei suoi personaggi, ruvida eppure così complessa, che il libro scandaglia.
Gianfranco Di Fiore apre il racconto con un lungo controcampo sul punto di convergenza fra dolore e desolazione. Su come piano piano, per mille motivi si sbanda, si torna per strada, si deraglia di nuovo, ci si dispera, ci si accartoccia su qualche fallimento piccolo o meno piccolo. Su come si entra in un fuoripista emotivo che può durare un tempo indefinito.
A furia di nutrirsi del giudizio degli altri, lei, la protagonista, vuole diventare più bella, e ancora più bella. Si ritrova in compagnia di un’overdose, di una caramella alla menta, di una crisi isterica e ossessivi conteggi calorici, dei bagni di qualche locale dove incatenare il maschio di turno al suo fascino fatto di tagli e di silicone, di ritocchi e di altri artifici chirurgici. Solo che le crisi, il rumore delle discoteche, la sua bellezza plastificata, le luci delle strade di notte, gli attacchi di panico le servono solo a rimandare i momenti di solitudine. E allora per non farci i conti, con la solitudine, lei chiama lui e lui inizia ad ascoltarla di notte, per ore. La domanda attorno a cui ruota L’amore inutile é: ci si può innamorare di una voce?
La relazione fra lui e lei, i protagonisti di questa storia, é una delle relazioni possibili del nostro tempo. Virtuale, che non significa falsa. Lontana, che non significa distante. Immateriale, che non significa effimera. Un’esperienza extrasensoriale che forse resiste perché non viene saturata dai sensi e, allo stesso tempo, accorcia distanze incolmabili.
L’amore inutile é la storia di due persone di cui sappiamo pochissimo: lei donna interrotta a 24 anni dalla personalità proteiforme, borderline, impregnata di narcisismo; lui fotografo, uomo irrisolto che affoga la sua irresolutezza nelle gocce di Lexotan, con un segreto che probabilmente non sa dire nemmeno a se stesso ma che lo spinge alle latitudini estreme dell’esistenza. Ed è un romanzo che procede come una ricerca di se stessi rimandata all’infinito per paura di restare delusi che va per libere associazioni. Allora se, per libere associazioni, dovessi pensare a un film, dopo aver letto L’amore inutile, penserei a un film David Lynch; se dovessi pensare a un quadro penserei a uno di Niegel Van Weick; se dovessi pensare a una canzone penserei a una canzone di Anthony & The Johnson. Con ciascuno di loro, L’amore inutile ha in comune la capacità di creare una forma d’arte da un simbolo del disagio del nostro tempo, da quella sorta di patologia sociale che è l’incomunicabilità.
Un’incomunicabilità che è distanza relazionale, di stati d’animo, di codici comunicativi, di atteggiamenti, di vissuti personali. Ma che in L’amore inutile si capovolge. Se l’incomunicabilità verso il mondo di fuori consente ai due protagonisti, lui e lei, di essere vicinissimi a una persona eppure di disinteressarsi della sua vita, di sembrare alieni a se stessi, indifferenti agli altri, privi di carica erotica anche se sono nudi, quando lui e lei entrano nel mondo di dentro, nel mondo delle loro telefonate, ecco che costruiscono insieme un intricato sistema di tiranti emotivi che gli fa vedere la vita alla stessa maniera, tiene in piedi entrambi fino a quando non succede un piccolo, grande colpo di scena. Pare che questo sistema così pericolante sfugga a entrambi di mano da un momento all’altro, muoia ogni volta che uno dei due riattacca, e invece resiste, riprende proprio dal punto in cui era rimasto quando uno dei due chiama l’altro di nuovo.
C’è noia, in questo libro. C’è malinconia, c’è accidia, indifferenza, dolore. C’è uno sguardo sugli effetti collaterali della modernità. C’è l’egoismo di chi butta la propria angoscia addosso all’altro quando gli confida di volersi ammazzare. C’è un lungo racconto crepuscolare su equilibri di vita impensabili. Un equilibrio fra i tanti possibili, che nel romanzo é senza tempo, perché non sappiamo in che periodo é ambientato, sappiamo solo che esistono già i cellulari, senza nomi dei protagonisti, perché non sappiamo come si chiamano, senza luogo, perché sappiamo solo che vivono in una piccola città di mare, senza rassicurazioni, senza soluzioni finali consolatorie o artifici narrativi che fanno da ansiolitico per il lettore. Perché la vita é come L’amore inutile di Gianfranco Di Fiore: un costante, pervicace, sfibrato, fragilissimo tentativo di trovare un baricentro emotivo.