Julio Cortázar si diverte
di Silvia Pelizzari
Ci sono autori che si divertono e ci sono autori che soffrono, nella scrittura. A ogni età e livello, che si tratti di esordienti, scrittori amatoriali o premi Nobel.
È una cosa che si nota, ma bisogna farci caso, prestarci attenzione, e una volta che inizi a farci caso non riuscirai a fare a meno di applicare quel metro di misura a ogni cosa che leggerai da quel momento in avanti; non ci sarà romanzo, pagina, che potrà sfuggire a questo nuovo modo di guardare una storia. Non è un giudizio di valore, bensì una nota che aggiunge un tassello, un dettaglio in un quadro più grande.
Sulle autrici e sugli autori che amo di più la mia opinione è abbastanza definita, sebbene possa non essere condivisa.
Jorge Luis Borges si diverte, Joan Didion soffre, Silvina Ocampo si diverte, Ernesto Sabato soffre, Juan Rulfo si diverte, Marilynne Robinson soffre.
Mi ero ripromessa che non avrei mai scritto una riga su Julio Cortázar in vita mia perché di Dio non si scrive. Poi ho letto per la prima volta Il viaggio premio, tornato in libreria da poco per Sur (traduzione Flaviarosa Nicoletti Rossini, revisione di Chiara Gualandrini) e mi sono bastate venti pagine per pensare ad alta voce: guarda come si diverte.
L’elemento ludico nei libri di Julio Cortázar è molto presente. Ha dedicato un’intera lezione agli studenti di Berkeley, nel 1980, su questo tema. È la sesta lezione e si intitola “Il gioco in letteratura e nella scrittura di Rayuela” (Lezioni di letteratura, Einaudi, 2014). In realtà in quella lezione Cortázar afferma che il divertimento nei suoi libri è diventato più esplicito dalla pubblicazione di Storie di cronopios e di famas (Einaudi 2014), che prima la sua era considerata “letteratura seria” ma che a lui non era mai sembrato così, che semplicemente la ludicità era in uno strato meno visibile della sua narrazione, coperta da elementi più drammatici.
Il viaggio premio è il suo primo romanzo (o meglio il suo primo romanzo pubblicato. Ne aveva già scritti due, rifiutati e pubblicati postumi ma scritti tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50) ed è a mio avviso un crocevia nella sua produzione letteraria. È stato pubblicato nel 1960 ma è stato scritto negli anni precedenti e mette le basi per il suo grande capolavoro, Rayuela, del 1963.
Diciotto persone vengono scelte come vincitrici di un viaggio premio, una crociera dai contorni misteriosi. Nessuno sa quanto durerà, né quale sia il tragitto e sulla Malcolm, la nave mercantile allestita per l’occasione, diverse cose non tornano: nessuno riesce a vedere il capitano, l’intera zona di poppa è interdetta ai vincitori della lotteria e presto viene annunciata la presenza di una variante tifoidea tra i passeggeri.
Ne Il viaggio premio il gioco è presente alla base. Cosa porta i diciotto sul Malcom è un gioco, una lotteria, e la fortuna di averla vinta. Il gioco permette di guardare i protagonisti muoversi sulla scena, raccontarli, farli interagire tra loro. Permette di giocare con loro, di metterli alle strette e stuzzicarli, nelle storie dei singoli che si intrecciano in una struttura solida per quanto con molti affluenti. La crociera diventa un micro mondo, con sue dinamiche, leggi, gerarchie. Chi ci vive dentro altro non sono che rappresentanti della società argentina e portegna di quegli anni.
A pensarci, è qualcosa di simile a quello che ha fatto, seppur in modo diverso, David Foster Wallace in Una cosa divertente che non farò mai più. Certo, quello era un reportage, qui parliamo di fiction. Lo scopo era diverso e diverso il mezzo usato, ma a ben vedere entrambe le opere osservano e analizzano sociologicamente la società che hanno sotto gli occhi, giocano con loro mescolando la serietà al divertimento.
Ritorniamo alla nozione di gioco. Suppongo che appartenga al modo attuale di concepire la vita, senza illusioni e senza trascendenza. Ciascuno accetta di essere semplicemente un buon alfiere o una buona torre, di correre in diagonale o di arroccare affinché si salvi il re. Tutto sommato, il Malcolm non mi pare molto dissimile da Buenos Aires. Resta sempre più funzionale e plastica. Sempre più elettrodomestici in cucina e libri in biblioteca.
Il ricco Don Galo e il giovane e temerario Felipe, la seducente Paula, Nora e Lucio, una coppia non sposata alle prese con la paura del giudizio, il colto professor Lopez e il signor Presutti. Persone provenienti da diverse classi sociali e diversi quartieri, obbligate a vivere insieme su questa stramba nave.
Il gruppo a un certo punto si spezzerà in due di fronte ai misteri della nave e la mancate risposte da parte dell’equipaggio. Alcuni si lasceranno trasportare dalle notizie e rimarranno a guardare, ad aspettare il da farsi; altri decideranno di indagare e reagire in una specie di rivolta.
Dopo Il viaggio premio arriveranno nel 1962 Storie di cronopio e di famas, il gioco per eccellenza (“Successe che quando feci leggere quelle storie ai miei amici più intimi, la reazione immediata fu negativa. Mi dissero: Ma come puoi perdere tempo a scrivere questi giochi? Stai giocando! Perché perdi tempo così?”) e nel 1963 Rayuela, che non è solo un anti-romanzo e non è solo uno dei grandi capolavori della letteratura sudamericana del ‘900, bensì il libro che fa giocare il lettore ancor prima di iniziare, lasciandogli scegliere più modi per leggere quella storia.
A differenza di quel che pensavano gli amici più intimi di Julio, la presenza del gioco nei suoi libri non aveva a che vedere con la banalità o con la leggerezza, Cortázar stava cercando e trovando un modo suo, nuovo, per tradurre la realtà che viveva e vedeva attorno a sé, trasferendola sulla pagina. Il gioco gli serviva da ponte per unire la realtà e la finzione.
Il viaggio premio segna a mio avviso un passaggio tra una prima produzione letteraria più realista e misurata di Cortázar e quella successiva, più sperimentale e libera, anche se continuo a credere che tutta la sua opera sia permeata da entrambe le cose, realismo e fantasia, proprio perché per Julio le due visioni, i due modi di guardare le cose, potevano esistere insieme, una non escludeva mai l’altra.
È interessante però vedere come un altro viaggio segni un passaggio nella vita dell’autore. È quello a bordo del Conte Biancamano, il transatlantico con cui nel 1950 lascia l’Argentina e arriva in Europa. Cortázar lascia il suo paese anche per la situazione politica di quegli anni, anche in questo caso con persone che rimanevano a guardare e altre che provavano a reagire.
A bordo del Biancamano conosce Edith Aron, “la maga”, che incontrerà per tre volte e sempre per caso in pochi giorni a Parigi – camminavamo senza cercarci pur sapendo che camminavamo per incontrarci -; chi ha orecchie per intendere intenda.
A Buenos Aires, fino al 1950, Cortázar è uno scrittore glabro e poco conosciuto, insegna in una scuola ed è altissimo e goffo, molto riservato, incline a grandi emicranie, l’unico maschio di una famiglia di sole donne. Parigi, il viaggio verso l’Europa, lo trasformano in un uomo di mondo, un viveur, l’intellettuale sudamericano sbarcato nella ville lumière che verrà ricordato come un donnaiolo, un uomo impegnato, un genio, un illuminato, che fino alla fine ha cercato e trovato il modo di giocare, che fosse scrivendo di Horacio e Lucia, di Lucas e dell’idra, che provasse a raccontare come viaggiano famas e cronopios, come si salgano le scale o come si possa viaggiare senza mai uscire da un’autostrada, in compagnia di un’orsetta che è stata la sua seconda moglie e suo grande amore.
Due viaggi, uno sulla carta e uno reale, che sono appunto crocevia, un nuovo ponte tra le cose, vite diverse, modi diversi di raccontare, ma che in realtà attingono sempre anche dall’altra parte, non riescono ad esaurirsi da sole, perché Julio era entrambe le cose. L’uomo politico, lo scrittore realista e lo sperimentatore, lo scrittore fantastico.
Forse allora non è Storie di cronopios e di famas la prima opera esplicitamente ludica, i semi c’erano già prima, c’erano da sempre, dal primo romanzo scritto e rifiutato che si chiamava – pensa un po’ – proprio Divertimento (Voland, 2007, a cura di Paola Tomasinelli), passando per una lotteria bizzarra e arrivando a un furgone pieno di magagne che lo porta in giro nel suo ultimo viaggio. In mezzo ci sono molte altre cose, tra cui coniglietti vomitati e in generale molti animali, e la grande convinzione che il gioco possa essere non solo impegnato, non solo serio (“sono sicuro che tutti voi ricorderete benissimo che quando [da bambini] giocavamo, giocavamo sul serio”), non solo fortemente intrecciato alla Letteratura senza mai sminuirla, ma che possa essere anche una lente di ingrandimento sul mondo, una cosa divertente da continuare a fare per trovare nuovi modi di raccontare la vita.