La scrittura e il nuoto: dentro il destino di Charles Sprawson

di Michele Neri

Per chi avesse letto L’ombra del massaggiatore nero pubblicato esattamente trent’anni fa e tradotto da Adelphi nel 1995, e si fosse già immerso in quelle pagine così enigmatiche da farsi leggere più volte senza che svelassero il motivo della loro seduzione singolare e duratura, ascoltare la voce sperduta nel caos della mente disfatta del loro autore, l’inglese Charles Sprawson, è uno shock. Perché avevi accettato che di lui non si sarebbe saputo più nulla. Che fosse quel tipo inglese eccentrico e autolesivo che avrebbe potuto scrivere altri cinque grandi libri e avesse detto uno basta. O che fosse affogato ma felicemente nel corso di una delle sue ardimentose battaglie con l’acqua. Del nuoto come ragione di vita, del nuoto come droga e fissazione, del nuoto eroico e che esalta amicizie e corpi, del nuoto in letteratura e cinema, degli exploit e delle tragedie acquatiche tra gli altri di Byron ed emuli, di Leandro, Shelley, Zelda Fitzgerald, Cheever e Tennessee Williams (il titolo è tratto dal suo racconto Desire and the Black Masseur), parla questo saggio unico e in parte autobiografico.

Ecco un destino, ti eri detto: scrivere un libro soltanto; amatissimo, per primo da James G. Ballard e non a caso. Perché entrambi provenienti dall’Oriente (Sprawson era nato in Pakistan, cresciuto in India; Ballard a Shanghai) e disadattati in Occidente. Perché nel suo confondere confini del corpo e acqua, Sprawson crea una terza creatura, sovrumana e permeabile agli elementi, come i protagonisti dei romanzi della catastrofe di Ballard. Fratelli nell’ossessione. Pensavi che fosse forse tornato al suo lavoro di esperto d’arte vittoriana. Ma restava un dubbio, l’implicita attesa di un libro. Così hai ripreso a scandagliare fino a leggere che è morto di polmonite nel gennaio del 2020, a 78 anni. Hai trovato una registrazione audio della BBC: l’ha realizzata il suo amico Alex Preston, nel 2019. Sprawson è ricoverato da tre anni in una casa di riposo. Soffre da tempo di demenza vascolare. Quando un parente, la seconda moglie oppure l’autore del documentario vanno da lui, lo trovano che si aggira per i corridoi, barcollante e attratto da qualcosa che non c’è. Apre le porte in cerca di piscine, cerca un barbaglio di luce dove tuffarsi. Si alza di colpo dal letto per dire con voce in frantumi, il tono di una radio che si spegne: eccomi, sono pronto, oggi è una bellissima giornata per nuotare.

Scendi fino al 2018, leggi il resoconto di una tentata intervista da parte di un inviato dell’Economist. Sprawson si lamenta delle malattie che l’hanno rallentato nella scrittura di un testo, cui aveva pensato a lungo ma ammette, con britannica accettazione: «Scrivo lentamente… e ovviamente mi sono ammalato». Da anni alle prese con la fine del suo secondo libro, su uno dei più grandi nuotatori di resistenza, lo sloveno Martin Strel (ha conquistato a bracciate il Danubio, il Mississippi, i seimila chilometri del Rio delle Amazzoni). Sprawson no, non ce l’ha fatta.

Da quell’angolo solitario e non scambiabile della libreria, estrai di nuovo L’ombra. Il sottotitolo è Il nuotatore, questo eroe. Eroi come lui che celebra l’inizio della sua missione nell’acqua – questo misterioso “massaggiatore nero”– decidendo di attraversare i Dardanelli con la figlia, sulla scia di Leandro che ogni notte varcava a nuoto lo stretto per raggiungere l’amata Ero dall’altra sponda dell’Ellesponto. Sprawson è spericolato ma timoroso, nuota sul fianco perché ha paura di vedere quello che c’è sotto, il tratto di mare è profondo, nero, le correnti li spingono verso l’Egeo, le navi li sfiorano. Ce la fanno, lo stesso non avverrà quando decide di attraversare il Tago: lo ferma la marina militare portoghese. Tanto è ironico e sans-façon rispetto alle proprie imprese da amateur, quanto è ammaliato dalla Storia, da Leandro che scomparve in tempesta, dal diverso atteggiamento nei confronti dell’acqua di Greci, Romani, Romantici inglesi.

Un capitolo è dedicato all’analogia tra la dipendenza dalle droghe e dall’acqua: cita Thomas De Quincey che, all’inizio delle Confessioni, descrive la dipendenza dall’oppio come una cosa iniziata con diffidenza, come uno che scenda da una spiaggia digradante in un mare sempre più profondo, conscio dei pericoli, corteggiandoli, facendo mostra di sfidarli. Il libro presenta un costante perdersi tra fiumi, torrenti e mari, blu o grigi o dorati, in acque inquinate, purificatrici, erotizzate, insieme a squali, meduse, idrocarburi, alcol, coraggio o sventatezza, stili diversi – insuperabile quello di Eton, lento, controllatissimo. Alla ricerca di cosa significhi “sentire l’acqua”, come riassume il campione australiano Iain Murray Rose e di che cosa abbiano provato nella corrente Rupert Brooke, Jack London, Mishima, Omero.

Quando si finisce il libro, del nuoto non importa più nulla. Un po’ perché sembra non ci sia altro da scoprire;  e per la forza di un destino inseguito, casuale, svelato. Sprawson cerca di essere tutt’uno con il mito e la natura: per farlo si libera di difese, uniformi, ruoli; sa di non poter far altro che cercare la propria via. Osa, non si risparmia, così come T.E. Lawrence o un altro scrittore inglese troppo bravo per essere tanto ignorato: James Hamilton-Paterson. Ponte alle Grazie nel 2001 pubblicò Sette decimi. In viaggio per i mari. Parlando delle proprie disavventure natatorie nelle Filippine, James Hamilton-Paterson descrive la sensazione di leggere l’unico libro di Sprawson: “L’effetto di ascoltare il rumore della barriera corallina di notte. È più della nudità di non indossare quasi nulla, è più che vulnerabilità. È la sensazione di messaggi animali che passano attraverso di te come se, fatto per sette decimi d’acqua, il proprio corpo fosse trasparente”.

Dopo il successo del Massaggiatore Sprawson abbandona il suo lavoro, la passione per la pittura vittoriana e si mette a scrivere. Divorzia. Si ammala. Nei necrologi usano questo verbo: marooned. Significa bloccato (in un ospizio fuori Londra), e naufragato.

 

Aggiungi un commento